spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

venerdì 22 agosto 2014

SE L'ISIS VEDE IL BLUFF SAUDITA

la terza colonna

geo-politiche dello sviluppo sostenibile


Se l’Isis “vede” il bluff Saudita

Bennett-Jones ci propone sulla London Review of Books una notevole analisi comparata delle esperienze statuali dei vari movimenti jihadisti, con un focus particolare sull’ISIS (o IS) e le prospettive del Califfato. Ove si spiega perché la cosa più stupida ora sarebbe un intervento militare occidentale sul campo.
In sintesi gli aspetti notevoli messi in luce sono
  1. quando i jihadisti si costituiscono in forza politica territoriale, o qualcosa di simile a uno stato sovrano, tendono a dispiegare forze che li porteranno in breve all’autodistruzione.. sono (stati)costituzionalmente incapaci di mantenere il consenso iniziale, semplicemente perché in realtà non esprimono alcuna capacità di governare, a cominciare da sè stessi e dal caos di violenza e regolamenti di conti che li ha portati al potere. l’IS(IS) viene da una costola di Al Qaeda, da cui fu scomunicato anche per un uso troppo indiscriminato della violenza. appare opportuno mantenere la calma e sedersi sulla riva del fiume.
  1. quando parliamo di jihadisti in realtà si tratta quasi sempre di movimenti molto compositi politicamente e culturalmente, coalizioni di forze i cui obbiettivi spesso sono limitati al territorio del conflitto. Così è per lo stesso IS(IS), effettivamente. la resistenza a una forza di pacificazione/invasione occidentale non potrebbe che consolidare quella precaria alleanza.
Nello stesso Iraq settentrionale occupato dall’IS(IS) operano forze laiche, contrarie alla prospettiva di un califfato, insorte più che altro in opposizione al corrotto e settario governo di Al Malii e favorevoli a una partizione (ed eventuale ricomposizione confederale) dell’Iraq in tre parti.
Per la verità operano anche forze e pressioni esterne, a cominciare dalle compagnie petrolifere occidentali che ora hanno scelto di trattare direttamente con la regione (o repubblica semi-indipendente) del Kurdistan iracheno (KRG).
  1. il pericolo di un “ritorno di fiamma” terrorista, del ritorno in patria di militanti occidentali con propositi di esportazione terrorista del jihad nelle nostre città appare più limitato di quanto si pensi. di fatto il ritorno è quasi sempre un abbandono del jihad
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questa la ricostruzione, in estrema sintesi, di Bennett-Jones.
Per parte nostra tracciamo due scenari da tenere sott’occhio, in filigrana al Califfato.
uno è lo svilupparsi di un vasto movimento di ristrutturazione delle sovranità, della mappa geopolitica tra Mediterraneo e Golfo, tendente a stabilire          
a) una patria Curda tra Turchia, Iraq, Siria, Iran, a partire dal nucleo attuale del KRG e di una intesa  Curdi-IS(IS) su parti di territorio siriano
b) un territorio sunnita (attualmente in mano all’IS(IS)) tra Siria e Iraq centrale
c) un’entità sciita nel sud iracheno, destinata a ricongiungersi con Teheran
ipotesi disturbante per Riyad, che si troverebbe l’Iran alle porte (avendo al suo interno, e proprio nel territorio che ospita i più grandi giacimenti petroliferi, una forte minoranza sciita).
l’altro scenario è invece proprio terrorizzante, per i Sauditi.
Riyad, l’Arabia Saudita è inevitabilmente il Sacro Graal di un po’ tutte le tensioni che attraversano il grande Medio Oriente. La stessa corsa iraniana al nucleare è interpretata come una partita per l’egemonia nel Golfo Persico e il controllo, più o meno indiretto, delle immense risorse saudite (e della capacità di riserva, che fa di Riyad una sorta di Banca Centrale Globale del petrolio, in grado di “allentare” in qualsiasi momento le tensioni sui mercati dell’energia, aprendo i rubinetti), nonché della leadership OPEC. La stessa faglia religiosa Sciiti/Sunniti si può leggere come contrapposizione irano-saudita.
Non sarebbe la prima volta che nel grande Medio Oriente assistiamo a una storia di apprendisti stregoni: l’Iraq di Saddam, copiosamente finanziato e scagliato (nel 1980) contro l’Iran rivoluzionario da Riyad, nel 1990 avrebbe rapidamente travolto la monarchia saudita se gli Usa, supportati da una vastissima coalizione politica (che arrivò a comprendere la stessa Urss di Gorbaciov-Shevardnaze), non fossero prontamente intervenuti. Fu messa alla prova la dottrina Carter, enunciata nel ’79 e all’epoca apparentemente rivolta ai Sovietici (o agli Iraniani) e l’Iraq fu travolto e annientato. E’ chiaro e fu allora verificato che qualsiasi attacco militare di tipo convenzionale, da parte di una entità statuale e di forze armate regolari in campo, esporrebbe quel paese alla reazione di un enorme dispositivo di difesa aeronavale (di garanzia geopolitica, potremmo dire): la Quinta Flotta americana di stanza, con portaerei e tutto, nel vicino Bahrein, e tutto l’apparato (altra flotta e altra portaerei) dislocato nell’Oceano indiano.
Photo taken 12 May 1979 of President Jimmy Carter
I talebani e lo stesso Bin Laden e tutto l’islam iperconservatore esportato dai Sauditi e incubato in Pakistan, già combattenti della libertà in funzione antisovietica, si rivelarono un cattivo investimento per gli Usa: Al Qaeda, tra altre cose, rappresentò – se pure questo non è molto presente ai non addetti ai lavori – un secondo tipo di strategia per la presa di Riyad: la cospirazione terrorista, la guerra asimmetrica. Ebbe un acuto nel 2006 con l’assalto alla grande raffineria di Abqaiq, «il più vulnerabile e spettacolare obiettivo del sistema petrolifero del paese», secondo l’ ex agente della Cia, Robert Baer – ma di fatto fu respinto o comunque circoscritto e isolato anche quello.
La minaccia rappresentata dall’IS(IS) è però di altra natura, rispetto a quella convenzionale di uno stato sovrano con proprie forze armate, e rispetto alla galassia terrorista di Al Qaeda. Ha una qualità ibrida, e soprattutto ha una natura, una consistenza politica, in molti sensi. per questo può essere molto insidiosa.
l’IS(IS) è stato considerato da praticamente tutti gli osservatori qualificati fino ai primi di agosto un fenomeno senza una una reale consistenza militare: non si tratta che di poche migliaia di uomini, si è detto, per quanto addestrate nella spaventosa guerra civile siriana (e prima ancora in quella irachena, da cui viene l’organizzazione e il suo leader). In realtà hanno mostrato una notevole capacità di sorprendere: dagli analisti della grande stampa internazionale ai blog specializzati in materia strategica, ai siti di intelligence professionali,  fino all’intelligence vera e propria (perchè è indubbio che gli stessi americani son stati sorpresi e son dovuti correre tardivamente e poco efficacemente ai ripari: loro stessi ammettono esplicitamente che l’intervento aereo non solo non è risolutivo, ma “I in no way want to suggest that we have effectively contained or that we are somehow breaking the momentum of the threat posed by IS(IS).”, dice Mayville,  responsabile delle operazioni del Pentagono nel teatro di guerra), tutti sono rimasti spiazzati dall’offensiva d’agosto. E ora riconoscono che le forze dell’IS(IS):
a) dispongono ora di armamenti pesanti sofisticati in grande quantità (questo in realtà era già ben noto, dopo che l’esercito iracheno si era liquefatto a Mosul lasciando sul campo una panoplia di sistemi d’arma), diversamente dai peshmerga curdi, che scontano la “saudizzazione” (già) del Kurdistan iracheno, cioè le debolezze tipiche degli stati petroliferi (economia dipendente, forze armate di mercenari poco o nulla motivate, vasta corruzione)
 b) mostrano una notevole (inattesa) capacità di dispiegare offensive su più direttrici contemporaneamente, e di sviluppare sul campo tattiche piuttosto sofisticate, con diversioni e tutto
 c) rivelano una grande capacità di ridislocare l’armamento sui fronti dove è necessario
Detto questo, dalla strategia dispiegata in questi mesi si vede come l’IS(IS) eviti accuratamente il confronto con entità politiche e società coese (fino a ieri il KRG – Kurdistan iracheno, ma anche il sud sciita, e a maggior ragione Turchia, Iran, e la stessa Giordania – in sé fragile e minata, ma potrebbe coinvolgere Israele) e affondi, lanci delle OPA su società fallite, come appunto l’Iraq sunnita.
Di fatto ha costituito un embrione di stato, che si vuole califfato.
L’IS(IS) non è (ancora?) uno stato e non è più una semplice organizzazione terrorista. Rispetto a un arcipelago terrorista come Al Qaeda, e allo stesso “talibanistan” afgano, ha messo in evidenza una diversa qualità nell’azione di “nation building”, sembra stia sviluppando funzioni di governo del territorio di una certa consistenza e soprattutto ha messo in mostra una notevole presa sulle risorse petrolifere del territorio, una discreta capacità di (ri)costruzione delle filiere energetiche e commerciali – se pure nella forma decisamente  limitata (nell’accesso a capitali, tecnologie  e know-how) che lo status (di organizzazione terroristica) consente.
Questa capacità di (ri)stabilire canali e flussi petrofinanziari (con i quali alimentare una embrionale amministrazione del territorio) è però, oltre che in sé limitata, di breve respiro, destinata a deteriorarsi e collassare in tempi relativamente brevi, se non ci sarà il salto di qualità alla condizione (e legittimità) statuale vera e propria.
Rimane che comunque, allo stato, e se pure con prospettive molto incerte, l’IS(IS) sembra disporre di flussi finanziari notevoli, rispetto a una comune organizzazione terrorista. Questi possono essere convertiti in una notevole capacità militare (come sembra evidenziare la riuscita offensiva parziale contro i Curdi), ma può rappresentare anche una risorsa (geo)politica. O anche evidenziare una notevole sapienza politica.
Questo è uno degli aspetti più interessanti del fenomeno: le direttrici di espansione militare e le stesse “relazioni internazionali” dell’IS(IS) appaiono sapientemente orchestrate per garantire all’organizzazione un adeguato sfruttamento delle risorse petrolifere del territorio. Ma si potrebbe capovolgere il ragionamento e vedere un disegno ancora più politico: l’utilizzo in chiave geopolitica delle risorse petrolifere, per garantire la sicurezza del territorio e dell’organizzazione.
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E’ noto che una parte del petrolio estratto dai territori siriani sotto controllo IS(IS) è stato utilizzato per trattare con Assad e ottenerne una sorta di non belligeranza. Questo ha consentito all’organizzazione di dedicare risorse alla resa dei conti con altre forze della “resistenza” siriana fino ad assicurarsene l’egemonia.
il Kurdistan iracheno non solo è stato rispettato (fino a ieri) ma anche utilizzato, avvalendosi di uomini d’affari della regione curda per intermediare il contrabbando petrolifero necessario a dare sbocco alla produzione dei territori iracheni. E d’altra parte, il Kurdistan non aveva dato alcun esito alle ripetute richieste del governo centrale di Bagdad (nè alle più discrete, o ambigue, pressioni americane) per un intervento contro l’invasione/insurrezione dell’IS(IS).
Un altro aspetto cruciale della natura politica dell’IS(IS), della sua minaccia su Riyad, è quello “interno”. Secondo alcuni osservatori non solo tende a costituirsi come forza e struttura statuale, ma – aldilà della spaventosa violenza settaria messa in mostra anche con la presa dell’Iraq centrosettentrionale – tende a porsi come forza rivoluzionaria, di eversione sociale oltre che di mobilitazione religiosa, e in questo pare orientata a superare la fitna, la faglia sunni-sciita, per coinvolgere anche le forze potenzialmente insurrezionali dello sciismo (ed è noto che l’Arabia Saudita ospita una nutrita minoranza sciita, da alcuni anni piuttosto inquieta).
Questa tesi è sostenuta da Marek Halter su Repubblica con molta chiarezza: “Infatti, con il califfato si aboliscono le frontiere politiche e si ritorna all’idea originaria dell’Islam, dove i ricchi saranno costretti a spartire i loro beni con i poveri e dove sarà la religione a risolvere ogni problema. È un’idea seducente, che piace a molti. Per metterla in opera, Al Baghdadi e i suoi hanno capito che è necessario superare la guerra tra sciiti e sunniti, e hanno perciò creato brigate sciite che marceranno assieme ai sunniti, scongiurando il rischio di provocare un’ennesima fitna, una guerra civile tra musulmani”.
Ma è confermata da altri osservatori.
Ora, è evidente che in questa analisi mettere a fuoco le debolezze e le contraddizioni strutturali, le faglie sociaeli dei possibili teatri di guerra (civile, asimmetrica..), degli antagonisti/obbiettivi geopolitici del neoCaliffato, è almeno altrettanto importante che delineare le capacità e i punti di forza dell’IS(IS): perchè la vera forza dell’IS(IS) è la debolezza interna che mina questi paesi-obbiettivo, e l’intelligenza politica che questa debolezza vede, conosce e innesca.
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La questione sull’Arabia Saudita e la non sostenibilità della sua economia è, come si suol dire, vaste programme,  sicuramente una delle diramazioni di questa analisi, cui riservare uno studio a sè – ma si può tranquillamente dire che Riyad sta cadendo a capofitto nel cannibalismo delle sue stesse enormi risorse.
E’ noto che il re anestetizzò prontamente le tensioni che emergevano nel paese durante la primavera araba del 2011, provenienti da una dinamica demografico/economica non troppo dissimile da quella egiziana (espansione demografica incontrollata, economia sottosviluppata e incapace di integrare le nuove generazioni istruite, consumi energetici interni spaventosamente fuori controllo e che ormai intaccano pericolosamente l’export e dunque il flusso finanziario che droga costantemente l’economia, anzi la società) attingendo massicciamenti ai flussi e fondi petrofinanziari per una sorta di quantitative easing sociale a base di drastici aumenti di stipendio e assunzioni nell’amministrazione.
Flussi che sono ora stabilmente dedicati all’anestesia sociale del paese, non certo al suo sviluppo (se si eccettua un discreto piano per lo sviluppo del nucleare civile (?), utile a recuperare almeno una quota del cannibalismo energetico del paese e dunque della rendita).
Scopriamo anche, in questo sguardo dal ponte sulla latente crisi saudita, che in realtà il reddito medio è tut’altro che svizzero, molto più modesto di quanto comunemente si pensi.
Ora, senza toccare la questione sciita in sottofondo (già oggetto delle attenzioni dell’intelligence di Riyad), e senza approfondire la situazione socioeconomica del paese, è comunque evidente che esista una soglia del dolore incorporata nelle quotazioni petrolifere, per Riyad: sotto un certo prezzo quei flussi anestetici non son più disponibili. con quel che può conseguire in termini di destabilizzazione o vulnerabilità del paese.
In effetti l’IS(IS), notoriamente finanziato massicciamente da donatori (e anche in parte costituito da volontari) sauditi, è servito decisamente allo scopo: come han riconosciuto quasi tutti gli osservatori sin dai primi di giugno, la caduta di Mosul e la presa di gran parte dell’Iraq centrale e settentrionale da parte di una forza comunque destinata a rimanere (come parte di una guerra civile permanente, se non come vero e proprio neostato), se nell’immediato non ha significativamente intaccato l’export petrolifero della Mesopotamia (proveniente in larga parte dal sud sciita e in più piccola quota dal KRG curdo, che anzi ha visto rilanciate le proprie capacità di export e la credibilità agli occhi dei grandi investitori petroliferi), ne ha comunque compromesso stabilmente per molti anni la capacità di attrarre investimenti. Quegli investimenti incorporati nelle (cioè indispensabilmente connessi alle) previsioni di formidabile espansione estrattiva da anni formulate per il paese tra i due fiumi.
Mentre infatti sono convogliate immense risorse finanziarie nei progetti di estrazione non convenzionale (shale oil, artico, sabbie bituminose, pre-salt brasiliano..) è dall’Iraq che si aspetta la gran parte dei nuovi flussi di petrolio sicuro e a basso costo (diretto concorrente di quello saudita dunque).
E d’altra parte non è mai molto chiaro in questi casi chi gioca e chi è giocato: Riyad può ben aver scatenato l’IS(IS) contro la rinascente potenza petrolifera irachena a egemonia sciita, ma ora sembra sia l’Iran ad aver lasciato via libera agli uomini del califfato nella regione dell’Anbar e verso la frontiera con l’Arabia Saudita. E la massiccia smobilitazione delle forze regolari di Bagdad da quel confine è stata davvero una spontanea diserzione di massa, o non piuttosto l’esecuzione di ordini del centro?
Di sicuro un brivido è corso lungo la schiena ai principi sauditi, che sono corsi ai ripari, inviando trentamila uomini alla frontiera. Una mobilitazione così imponente come non si verificava dall’agosto 1990 di Saddam.
Ma l’aspetto più interessante è che contestualmente Riyad abbia chiesto di inviare truppe all’Egitto e al Pakistan, calibani del Prospero saudita (che però rischia di essere veramente alla sua ultima Tempesta).
L’insediamento di al Sisi, e la relativa normalizzazione di un Egitto che minacciava di diventare un po’ troppo “movimentista”, è notoriamente considerato un capolavoro dei Sauditi. Quanto al Pakistan deve a Riyad quantomeno il suo arsenale nucleare, di fatto nucleare saudita delocalizzato.
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Questo segnala con la massima evidenza la debolezza di un regime, quello di Riyad, che può contare su un apparato militare debole e poco affidabile (composto di mercenari) ma probabilmente anche il timore del contagio ..contagio per vie claniche nelle tribù del nord prossime al confine e contagio nelle stesse forze militari.
La condizione di petro-stato, e le inerenti debolezze economiche e sociali, sono state in questi giorni chiamate in causa per spiegare la sorprendente fiacchezza di una società e di un apparato militare (i peshmerga del Kurdistan iracheno) che si riteneva tra i più coesi e agguerriti della regione e ha capitolato nei giorni dell’offensiva IS(IS) senza quasi offrire resistenza, finchè l’intervento aereo Usa non ha raffreddato la spinta (ma in nessun modo compromesso le capacità strategiche) degli uomini di Al Baghdadi. Ma ovviamente l’Arabia Saudita è il petrostato per antonomasia, e il KRG può almeno contare su una coesione nazionale e nazionalista da contrapporre a un sunnismo arabo storicamente oppressivo per i Curdi.
http://hyeron.wordpress.com/2014/08/17/se-lisis-vede-il-bluff-saudita/

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