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lunedì 11 agosto 2014

Un popolo massacrato nel nome di Allah La tragedia dimenticata degli yazidì

Un popolo massacrato nel nome di Allah
La tragedia dimenticata degli yazidi

Prima Saddam e la politica disastrosa di Bush. Oggi gli islamici di Al-Baghdadi e la reazione lenta e tardiva di Obama. La strage di un popolo che crede nella tolleranza. Condannato a morte dal fanatismo





Li stanno macellando in nome di Allah, gli yazidì, sotto gli occhi di un Occidente troppo a lungo imbelle e decisosi a intervenire coi primi raid aerei solo quando gli islamici di Al-Baghdadi e del suo sedicente Califfato sono ormai alle porte della curda Arbil. Uccidono gli uomini e rapiscono le donne per usarle o venderle come schiave. Distruggono i loro templi. Cercano di cancellarli definitivamente, per l'ennesima volta nella storia di questo popolo che affonda le sue radici in un credo religioso mesopotamico vecchio di millenni, amalgamatosi sincretisticamente nei secoli con lo Zoroastrismo, il Cristianesimo, l'Islam.

Saddam gli yazidì li aveva dapprima deportati, poi tollerati ma iscritti d'ufficio come “arabi” nel censimento del 1975: per il resto, che pregassero chi volevano, acqua, aria, terra e sole. Anche i mullah, sotto quel regime, si disinteressavano di loro: non hanno un Libro da contrapporre al Corano, “Jelwa” e “Masshafi Rash”, i loro due testi sacri, sono irrimediabilmente perduti, non ne restano che frammenti tramandati per via orale. Nel 2003, quando li abbiamo incontrati durante la guerra, erano circa 300 mila, concentrati soprattutto a Lalesh, il loro centro spirituale, Shingar, Bashika e Tilkef, nell'area sunnita a ridosso di Mosul, e nel Kurdistan, fra Duhok, Sumel e Zakho: al pari dei curdi loro vicini e unici difensori, salutavano l'intervento americano come la liberazione da un regime che alternando brutalità e condiscendenza ne erodeva l'identità. Ma lo sconcertante fallimento strategico e culturale dell'America di Bush, in un paese che aveva occupato senza sapere cosa farne, di fatto regalato metà all'Iran e metà ad Al Qaida, ha portato nel 2007 all'ennesimo massacro, con la distruzione di due villaggi yazidi da parte dei terroristi islamici e la morte di quasi mille persone. Poca cosa, rispetto al dramma di oggi, con l'America di Obama lenta e tardiva, incapace finora di riparare ai disastri di quella di Bush.





Parlano “sorani” e “kermanji seru”, due dialetti curdi. Pregano individualmente, in piedi con le mani giunte, le palme rivolte al sole. Come luogo di culto hanno in ogni villaggio una costruzione a cono in un terreno che è anche reliquario e cimitero, dove festeggiano con canti e balli una volta l'anno, a primavera. I più non sono neppure gran che praticanti, certo non dei fanatici, al contrario. Eppure sono noti come i “Devoti del diavolo”. Ed è vero, ma non nel senso che intendiamo noi. Ce lo spiegò, in quel 2003, uno dei loro esponenti di punta, all'epoca ministro del governo curdo di Suleymanija: «Per noi non ci sono Dio e il diavolo, “horamest” e “ahriman”. Dio, inconoscibile, è bene e male insieme. E così i suoi sette angeli. Quando Dio ordinò loro di inchinarsi ad Adam, l'uomo, uno di loro, Azazil, si rifiutò. Non venne punito e cacciato all'Inferno, come secondo i cristiani e gli islamici, ma invece premiato e messo a capo di tutti gli angeli: che aiutano il bene o il male, come Dio ordina».
Teorici di un mondo in cui bene e male si intrecciano e si accavallano:  l'unica sopravvivenza è nella tolleranza e nella comprensione delle ragioni altrui. Gli yazidì si ritrovano oggi massacrati dai fanatici di un credo che non concepisce altra verità se non se stesso, cui tutti si devono assoggettare. O perire.

http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/08/08/news/un-popolo-massacrato-nel-nome-di-allah-la-tragedia-dimenticata-degli-hazidi-1.176514?ref=fbpe


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