spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

mercoledì 31 luglio 2013

DECRESCITA FELICE

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Decrescita felice 31 luglio: "Viaggi in punta di piedi"

RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE

Legge elettorale, sì all’iter d’urgenza: “Riforma al voto entro ottobre”

La conferenza dei capigruppo dà l'ok all'unanimità: il testo resterà in commissione al massimo per un mese. Letta: "Ora ognuno si prenda le proprie responsablità: io sono No Porcellum". Cicchitto: "Il Pd ha fretta di andare alle elezioni". Stessa richiesta presentata al Senato

Legge elettorale, sì all’iter d’urgenza: “Riforma al voto entro ottobre”
Il primo firmatario della proposta a Montecitorio è Roberto Giachetti (Pd), sostenuto però da parlamentari di quasi tutti gli schieramenti (c’è anche Antonio Martino, Pdl). “Con la deliberazione della urgenza deliberata all’unanimità dalla Conferenza dei capigruppo – dichiara Giachetti – la riforma elettorale come norma di salvaguardia sarà al primo punto dell’agenda politica e parlamentare da settembre. Questo è un primo importantissimo risultato che fino a ieri sembrava impossibile. Resto convinto che, in attesa della conclusione del percorso delle riforme costituzionali a cui dovrà essere legata la nuova e definitiva legge elettorale, il ritorno al ‘Mattarellum‘ sia la soluzione migliore e più rapida per il varo della legge elettorale ‘ponte’”. “Ciò detto una cosa sarà chiara nel confronto parlamentare che ci attende – conclude Giachetti – Si misureranno due opzioni: l’abolizione del ‘Porcellum’ o la sua correzione. Su questo sarà, come giusto, il Parlamento a decidere”.
Ma la procedura d’urgenza crea già qualche malessere nella maggioranza: “Il fatto che il Pd chieda la procedura d’urgenza per l’approvazione di una nuova legge elettorale – dice Fabrizio Cicchitto– vuol dire che ha una gran fretta a fronte dell’ipotesi fin ora affermata che il governo Letta duri i famosi 18 mesi. Poi la scelta del giorno per avanzare questa richiesta apre ulteriori interrogativi”. Tuttavia il sì in conferenza dei capigruppo è arrivato anche dal Pdl. Ma Francesco Paolo Sistoinsiste: “Se si avvia un percorso rapido verso una nuova legge elettorale vuol dire una mancanza di fiducia nell’investimento delle riforme”.
Intanto Montecitorio ha fissato la discussione di altre leggi. Il 2 agosto sarà esaminata quella sul finanziamento pubblico ai partiti (con votazione tra l’8 ed il 9 agosto). Dal 5 agosto inizierà la discussione sulle norme per il contrasto dell’omofobia (votazione tra l’8 ed il 9 agosto). Il disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa sarà all’esame dell’Aula dal prossimo 5 agosto (voto ancora tra l’8 e il 9), mentre lo svuotacarceri sarà esaminato il 2 e sarà votato il 5 agosto. Infine ildecreto lavoro e Iva (appena approvato al Senato sarà esaminato il 6), mentre il 7 sarà all’ordine del giorno il decreto “del fare”

La profezia, Stefania Craxi: “Papà avvertì Berlusconi: ‘Agiranno contro di te’”

L'ESPLOSIONE DEL DEBITO PUBBLICO, di Gianluca Dipierri

IL “DIVORZIO” TRA BANCA D’ITALIA E TESORO E L’ESPLOSIONE DEL DEBITO PUBBLICO

di Gianluca Dipierri , 31.07.2013



Nei principali programmi di attualità, di informazione politica ed economica si sente molto spesso parlare della simpatica storiella del problema del debito pubblico come conseguenza degli enormi sprechi di spesa pubblica che secondo i vari commentatori (ahimè sia di destra che di sinistra) sono la sola causa del suo enorme accumulo nei vari decenni.

 
L’Italia non è di certo il paese “modello” per quanto riguarda l’efficienza nella gestione delle risorse pubbliche. Perciò è inutile soffermarsi sui soliti argomenti tipo “l’enorme debito pubblico è da attribuire alla corruzione, ai magna magna a destra e a sinistra, i costi abnormi della politica, le auto blu, gli sprechi ecc.” che tutti ben conoscono ma che non forniscono alcuna valida spiegazione scientifica a tale problema. Per questo motivo è necessario soffermarsi su tesi che il mainstream dimentica (volutamente) di evidenziare e che permettono di dare una spiegazione scientificamente provata da molti economisti sull’ esplosione del debito pubblico in Italia. Il 1981 ha rappresentato un anno fondamentale per quello che riguarda la storia della Repubblica italiana. Infatti è l’anno del cd. “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
In cosa consiste questo “divorzio”? 

Semplicemente la Banca d’Italia venne sollevata da qualsiasi obbligo d’ acquisto di titoli di debito pubblico italiano. La Banca d’Italia fu così resa “indipendente” dal governo e quest’ultimo non poteva finanziare parte dei disavanzi di bilancio emettendo moneta. Per poter finanziare il debito pubblico l’Italia dal quel momento dovette ricorrere esclusivamente ai mercati. Il problema per le finanze pubbliche iniziò proprio da li. Se prima l’Italia poteva finanziare il proprio debito (anche ricorrendo ai mercati) a tassi d’interesse guidati dall’autorità monetaria (Banca d’Italia), da quel momento in poi i tassi di interesse li decidevano i mercati. Ad ogni asta i tassi d’interesse erano (e sono ancora oggi) in balia del  giudizio che i mercati esprimevano nei riguardi dell’Italia. Infatti dal 1981 al 1994 il debito pubblico raddoppiò passando dal 60% al 120% del Pil.




Fonte: Fondo monetario internazionale (WEO)



Ma perché in poco più di un decennio il debito pubblico è raddoppiato?

La risposta è da ricercare nella spesa per interessi che l’Italia ha iniziato a pagare dopo il “divorzio”. Nel 1981 la spesa per interessi si aggirava intorno al 5% del Pil mentre nel 1984 (dopo tre anni appena) raggiunse l’8,3% del Pil fino ad arrivare al 12% nel 1992. Se prima del 1981 l’Italia poteva finanziare i propri disavanzi con tassi d’interesse reali vicini allo 0 (o addirittura negativi negli anni ’70 causa dell’ inflazione elevata in seguito ai due shock petroliferi), dopo il “divorzio” i tassi di interesse reali (ovvero al netto dell’inflazione) iniziarono a salire toccando inizialmente il 4% per poi arrivare al picco dell’ 8% nel 1992.                                       



Fonte: Database AMECO



Fonte: Ministero economia e finanze (1970-1979),
 database AMECO (1980-2012)


Nei due grafici si può notare che i tassi d’interesse e la spesa per interessi diminuiscono dopo il 1996. Attenzione, il mainstream dice che l’Italia ha beneficiato del “dividendo” dell’euro perché l’adozione della moneta unica  ha permesso di beneficiare di tassi di interesse più bassi e quindi di risparmiare sulla spesa per interessi.

 Ma si tratta dell’ennesima falsità per una serie di ragioni. Nel 1996 non c’era nessuna certezza che sarebbe nata la moneta unica ma soprattutto che l’Italia ci sarebbe entrata vista la situazione dei conti pubblici rispetto ai parametri che il trattato di Maastricht imponeva al riguardo del rapporto debito/Pil e deficit/Pil . Quindi l’Italia non ha beneficiato del “dividendo” dell’euro, ma bensì della discesa mondiale dei tassi interesse che si è registrata soprattutto nell’economie avanzate.
Quali sono le ragioni che hanno spinto l’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azelio Ciampi e il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta ad operare questa scelta?

Innanzitutto lo chiedeva l’Europa con lo SME (Sistema monetario europeo) perché la banca centrale indipendente era una delle prerogative fondamentali per la creazione dello SME e successivamente della moneta unica. Lo dimostra il fatto che il divieto di finanziamento monetario dei disavanzi diventa legge con la ratifica del Trattato di Maastricht. Ma la ragione principale secondo cui la banca centrale doveva essere indipendente è quella del contenimento dell’inflazione.
Secondo molti la causa dell’inflazione è da attribuire esclusivamente alla quantità di moneta in circolazione (cd. teoria quantitativa della moneta). Rendendo indipendente la Banca d’Italia quest’ultima non era più obbligata ad emettere moneta per acquistare i titoli di debito che non erano stati collocati sul mercato agevolando così il controllo dell’offerta di moneta attraverso politiche monetarie restrittive. Ovviamente attribuire la causa dell’inflazione solamente alla politica monetaria è da incompetenti per un semplice motivo. Se l’inflazione  dipende esclusivamente dalla politica monetaria, con la moneta unica (euro) i Paesi che l’hanno adottata avrebbero dovuto registrare negli anni successivi all’adozione lo stesso tasso d’ inflazione. Così non è stato perché i dati dimostrano che ogni anno essi hanno registrato sempre tassi di inflazione differenti (con differenziali di 1-2 punti %). Perciò ideologia alla base del divorzio è falsa perché nessun economista serio ha mai creduto alla storia della moneta che causa i prezzi. Le ragioni della discesa dell’inflazione degli anni ‘80 sono da attribuire ad altre motivazioni. Innanzitutto all’aumento della disoccupazione degli anni ’80 causata indirettamente dal “divorzio”. L’aumento dei tassi di interesse da un lato scoraggiava gli investimenti privati, dall’altro costringeva lo Stato a ridurre la spesa primaria per far fronte alla crescente spesa per interessi. Investimenti e spesa pubblica sono due componenti  della domanda aggregata e la loro diminuzione causò una flessione della crescita e conseguente aumento della disoccupazione.
Cosa c’entra l’aumento della disoccupazione con l’inflazione? 

L’inflazione in larga misura si controlla attraverso la disoccupazione. La disoccupazione non è altro che una misura di eccesso di offerta rispetto alla domanda nel mercato del lavoro che causa la diminuzione dei salari e quindi dell’inflazione. Se c’è molta disoccupazione, i salari si mantengono bassi, i costi per le imprese si riducono, la domanda cala (perché molti disoccupati non hanno reddito disponibile per effettuare acquisti) e quindi di conseguenza l’inflazione si mantiene bassa. E’ una relazione nota alla teoria economica come  Curva di Phillips.


Perfino Beniamino Andreatta, uno dei due artefici del “divorzio”, 10 anni dopo in un’ intervista disponibile negli archivi del sole 24 ore   (http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=891110&chId=30)   ammise che l’aumento dei tassi di interesse reali a seguito del “divorzio” avrebbe fatto aumentare il fabbisogno del tesoro (ovviamente per la spesa per interessi) e la crescita del debito pubblico rispetto al Pil. Quindi i problemi e le conseguenze (in termini di costi sul debito) erano chiari già ai tempi in cui venne operata la scelta. Nel 1981 in Italia fu creato un'altro potere: dopo quello legislativo, esecutivo e giudiziario fu la volta di quello monetario il cui potere affidato ad un organo indipendente (Banca d'Italia) in cui direzione non veniva e non viene eletta (ora con la BCE) neanche democraticamente.

fonte Gianluca Dipierri

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