spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

venerdì 31 maggio 2013

L’ESPROPRIO GLOBALE

I SIGNORI DELLA FINANZA PREPARANO L’ESPROPRIO GLOBALE

- V. Katasonov – Sovross.ru -
Innanzi tutto facciamo osservare che i signori della finanza hanno già progettato la fase finale della operazione per l’esproprio della ricchezza nazionale della Russia. Il paravento ideologico-propagandistico dietro il quale si attua il disegno di “esproprio globale” è costituito dalla campagna per la lotta al terrorismo internazionale condotta dagli USA e iniziata dopo l’11 settembre 2001. Questa campagna è stata via via integrata da altri strombazzati programmi contro la corruzione, l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro “sporco”, la criminalità internazionale, ecc.
  
In realtà, queste nobili intenzioni di mettere ordine nel mondo intero, e di ”salvaguardare gli interessi nazionali degli Stati Uniti”, servono a mascherare la corsa della oligarchia finanziaria internazionale verso il dominio planetario. Si stanno infatti creando gli strumenti idonei all’esproprio globale, allo smantellamento degli stati sovrani, alla costituzione del governo mondiale ed alla formazione di un regime totalitario di dimensioni universali (il “lager mondiale”).
Il completo esproprio di tutti i beni e la loro concentrazione nelle mani di una ristrettissima èlite internazionale è la condizione sine qua non per la realizzazione del nuovo ordine mondiale. A tal fine i circoli dominanti dell’Occidente in campo finanziario e bancario puntano ai seguenti obiettivi:
1. cancellazione del segreto bancario;
2. eliminazione dei paradisi fiscali (zone offshore);
3. introduzione di procedure semplificate di congelamento e confisca dei beni di
privati cittadini e società da parte delle autorità dei paesi del miliardo d’oro;
4. limitazione della circolazione del contante e obbligo per le persone fisiche di usare i
mezzi di pagamento e reglolamento senza contante;
5. costituzione da parte degli uffici finanziari e fiscali di reti di propri agenti ed informatori in banche e società;
6. commistione degli enti finanziari e delle banche centrali con i servizi speciali;
7. approvazione da parte degli USA di leggi extraterritoriali per la lotta agli evasori fiscali e  trasformazione di tutti gli stati, le banche e le società del mondo in agenti degli uffici tributari americani;
8. incentivazione dei processi di accentramento del capitale bancario, riduzione del
numero delle banche con parallela espansione della rete di succursali e filiali delle stesse;
9. concessione di ulteriori poteri e funzioni alla banche centrali (mantenendone invariata l’ “indipendenza” dallo stato);
10. realizzazione, tramite accordi internazionali, di una rete di scambio di informazioni finanziarie sulle persone fisiche e giuridiche (dati personali, dati su conti e  transazioni) tra uffici fiscali, servizi investigativi finanziari e dicasteri delle finanze;
11. preparazione e svolgimento di operazioni di “sterilizzazione” di enormi masse di liquididità in giro per il mondo (contante e non, innanzi tutto dollari USA) prevalentemente tramite riforme monetarie e cambi della moneta.
In altri termini, si sta confezionando un “cappuccio” bancario-finanziario sulla intera popolazone terrestre. Banche e società finanziarie cesseranno di essere dei semplici isituti commerciali per trasformarsi in organizzatori materiali dell’esproprio fino a farsi strumento della èlite mondiale per il controllo assoluto della popolazione. Di qualcosa del genere iniziò a parlare e scrivere l’economista e socialista tedesco Rudolf Hilferding nel libro intitolato “Il capitale finanziario”, uscito a ridosso della prima guerra mondiale. Più avanti, negli anni venti, l’autore aggiornò le proprie idee sulla società totalitaria assoggettata alle banche, riproponendole in forma di teoria del “capitalismo organizzato” (è significativo che egli salutasse l’avvento di un sistema del genere come anteprima del socialismo).
Le autorià statali, gli esponenti politici ed i cittadini della Russia debbono avere chiari i piani dell’oligarchia fianziaria mondiale e le minacce che ne derivano. Si prenda, ad esempio, il punto tre dell’elenco riportato, riguardante le procedure di congelamento e confisca dei beni di privati cittadini e società. Le “innovazioni” sono chiare. I fatti dello scorso marzo a Cipro dimostrano che ora non occorrono più motivazioni giuridiche di alcun genere per confiscare i depositi bancari. Le decisioni sono giustificate con nessità eonomico-finanziarie (“misure di stabilizzazione”). Comincia a valere il principio di “opportunità”, non politica, ma economica e fananziaria.
La Svizzera, rinomata per la tutela del segreto bancario, ha approvatto una legge, in base alla quale i mezzi di qualsiasi persona fisica o giuridica possono essere d’ora in avanti congelati sul suo conto  già dall’avvio delle indagini e non più dopo la pronuncia della sentenza. Questa novità può essere meglio interpretata, se si considera che gli USA hanno di recente approvato una legge, secondo cui ogni persona (sia negli USA che fuori dei suoi confini) può essere considerata un potenziale terrorista e indagata. La legge s’intitola National Defense Authorization Act 2012 (NDAA). Dato che USA e Svizzera hanno stipulato fra loro un accordo di cooperazione in campo finanziario, lo zio Sam ha ora la facoltà di congelare i mezzi di qualsiasi persona fisica o giuridica depositati in banche elvetiche.
Gli oligarchi ed i funzionari corrotti di tutta la Russia non debbono illudersi che la loro lealtà al Gotha finanziario li ponga al riparo dalla eventualità dell’esproprio. Debbono scordarsi delle loro ricchezze accumulate “con tanta fatica” e chi sa se riusciranno a salvare almeno la vita e la libertà. Se i cleptomani russi capiscono la situazione, dovrebbero per primi chiedere la revisione delle privatizzazioni-truffa degli anni novanta. Dovrebbero pentirsi dei furti di denaro pubblico, degli atti di corruzione e di ogni altra frode economica, comprese le esportazioni di capitali. Certo non sarà facile mettersi d’accordo con il popolo, ma i margini di garanzia saranno certamente maggiori. La proditorietà, la vigliaccheria e l’ipocrisia dell’èlite occidentale appare ormai evidente persino a chi ha scarsa cognizione della storia dell’Occidente.
Va detto, inoltre, che una parte della ricchezza nazionale della Russia è stata esportata legalmente. Penso innanzi tutto alle riserve valutarie governate dalla Banca centrale. Occorre dunque modificare le leggi del paese e rimpatriare quelle somme partendo dalle nuove regole. Non si tratta di operazioni inedite.
All’inizio del 1914, molti politici e statisti russi, ma anche gente comune, avvertirono il pericolo imminente e gran parte delle somme di società e privati cittadini russi, nonchè della Banca di Stato dell’Impero, depositate in istituti tedeschi e austro-ungarici furono alla svelta riportate in Russia. Questo paese si trova oggi alla vigilia di una guerra non meno globale, alcuni esperti anzi sostengono giustamente che essa sia già cominciata senza nessuna dichiarazione ufficiale. In una situazione siffatta i dirigenti ed i comuni cittadini della Russia debbono agire con prontezza e puntualità in varie direzioni, ivi compresa la tutela degli interessi parimoniali non solo nazionali, ma anche  personali.

È bastato poco a quelli che hanno affossato il PD in questi anni a rialzare la testa.

Uniamo la buona compagnia del PD

amicimiei
È bastato poco a quelli che hanno affossato il PD in questi anni a rialzare la testa. Nessuna sorpresa, le avvisaglie c’erano tutte. Basta rivedere la vicenda delle postazioni di sottogoverno e delle commissioni parlamentari. Basta ricordarsi che è stato eletto Epifani segretario con la volontà di bloccare ogni processo di cambiamento e con l’intento di rimandare il congresso quanto più lontano nel tempo.
Ma il risultato delle amministrative ha fatto rialzare la testa improvvisamente a troppi. C’è chi si è divertito a prendere in giro Grillo su twitter, c’è chi si è attribuito la vittoria senza nemmeno aver speso una parola per i candidati, c’è chi non si è assunto la responsabilità della sconfitta di febbraio, ma il merito della vittoria alle amministrative di maggio. Addirittura l’altra sera Bersani ha detto che una smacchiatina al giaguaro in fondo il PD l’ha data.
Proprio l’intervista a Bersani ci dice moltissimo di quello che avverrà nel PD e del nuovo patto di sindacato Bersani-Letta-Franceschini che governa il partito. L’ex smacchiatore di giaguari ha affermato che il premier già c’è, mandando un messaggio chiarissimo alle aspirazioni legittime di Matteo Renzi. E sul congresso ha nicchiato sui tempi, sui modi, affermando la prevalenza dei temi rispetto alle persone. Una formula classica e molto retorica per mandare il pallone in calcio d’angolo. Un segnale molto chiaro per tutti quelli che vogliono un congresso vero aperto e contendibile da Civati a Cuperlo.
Ieri le parole della Finocchiaro e di Franceschini sulla mozione Giachetti, che chiedeva una cosa banale e auspicata da tutti gli elettori del PD, ovvero il ritorno al Mattarellum, (mozione poi affossata nella discussione del gruppo parlamentare), indicano chiaramente la volontà di bloccare qualsiasi iniziativa che possa modificare lo status quo nel PD e nella vicenda politica del Paese.
Molti, in questi mesi, hanno vissuto nell’illusione che la sconfitta alle politiche mettesse in un angolo i responsabili del disastro nel PD. Molti di noi si erano illusi che di fronte ai segnali popolari di sconforto e di richiesta di cambiamento quel curioso articolato di potere che va sotto il nome di patto di sindacato si disintegrasse e ogni sottoscrittore del patto si facesse gentilmente da parte.
Dopo alcuni mesi ritornano le vecchie certezze. Chiunque sia portatore sano di dissenso, viene trattato come un problema e non come un’opportunità per il PD. Mentre Renzi continua a riscuotere consensi nell’elettorato, mentre Barca gira in lungo e in largo nei circoli PD del paese come Pasolini ai tempi dei comizi d’amore, mentre Civati ottiene sempre maggiore sostegno alla sua candidatura a segretario del PD, mentre i nomi migliori e spendibili del PD come Serracchiani e Marino ci mettono la faccia e le mani per non lasciar morire il partito, a Roma invece si lavora perché un governo di emergenza diventi sempre di più un muro di gomma contro cui fa sbattere ogni richiesta di innovazione del Paese, e si lavora ad un congresso già deciso in partenza e che si terrà quando saranno sicuri che Epifani (o chi per lui) sia certo della sua elezione a segretario del PD.
Per questo vogliono guadagnare tempo, e lentamente depotenziare la forza di Renzi, vanificare il lavoro di Barca, disarticolare la candidatura di Civati, rendere impossibile a tutti gli uomini e le donne di buona volontà nel PD in giro per il paese la permanenza in questo partito. È bene che di questo siano consapevoli i protagonisti di cui sopra e ciascuno di noi che auspica un PD diverso aperto democratico e vincente. Contro questo stato di cose non c’è rimedio, se non quello che io anche ingenuamente chiamo la buona compagnia del PD: mettere insieme le migliori energie del PD, che ci sono in tutte le aree/correnti e in ogni circolo del paese, e che non aspettano altro che qualcuno, qualcosa, un progetto politico possa federarli e rompere gli schemi, i personalismi, le storie umane che fin qui hanno prevalso.
Questa è la strada. L’unica. Questa è la speranza: tutti noi insieme.
Altrimenti vinceranno loro. Ancora una volta.
Ma il Pd è una palla al piede?

di Luca Sappino












E' quanto sostengono Debora Serracchiani e Matteo Renzi, secondo cui i buoni risultati alle comunali sono solo merito dei singoli candidati e non del partito. Ma tra i democratici c'è chi si ribella: 'E' una stupidaggine'(31 maggio 2013)«Dire che ci hanno votato nonostante il Pd è un filino supponente. Ci hanno votato perchè i candidati a sindaco, a consigliere comunale e i volontari, che nonostante tutto hanno ascoltato e fatto proposte, sono il Pd». Così Giuditta Pini, neodeputata modenese, una dei più noti nella pattuglia dei Giovani Democratici, risponde d'orgoglio a Debora Serracchiani. A confronto sono due diverse letture dei risultati delle amministrative. «Io e Ignazio Marino vinciamo nonostante il Pd: il mio partito non ha dato una mano ai suoi amministratori», dice infatti la nuova governatrice del Friuli. L'opinione però, è tutt'altro che condivisa, e il Partito non ci sta a farsi liquidare come "bad-company". 

Il secondo turno delle amministrative, con quasi ovunque i candidati di centrosinistra avanti e spesso convinti della vittoria, potrebbe confermare quella che ormai è una tendenza: il centrosinistra e il Pd vincono quando il candidato è estraneo alle burocrazie romane, al Partito, e più progressista. O almeno quando come tale è vissuto. E' stato così ai tempi dei sindaci arancioni, Emiliano, Pisapia e Zedda. E' stato così per Debora Serracchiani. E ora sembra che così sarà per Ignazio Marino e per i candidati di questa tornata. La teoria vuole che questa dirigenza diffusa e insofferente possa riscattare il Pd, perché dal Pd dei palazzi romani e delle larghe intese sono cosa assai diversa. E' così? 

Sì, almeno secondo Matteo Renzi: «I sindaci salveranno il partito democratico», dice a La7, il sindaco di Firenze, facendo finta di non parlare anche di se. «Non è stato il Pd ad eleggere i sindaci» spiega, perché «fare il sindaco significa sistemare le buche, tenere aperte le scuole, lavorare concretamente: quando mettiamo facce credibili, i sindaci danno una mano». Poi però Renzi aggiunge, per spegnere l'ultimo entusiasmo: «noi abbiamo fatto il sorpasso in retromarcia, perché è calata l'affluenza». Diciamo quindi che, nonostante i sindaci salvatori (spesso - si intende - renziani), «abbiamo perso meno degli altri». Merito della goodcompany, che a Roma, ad esempio, per  Angelo Rughetti, renziano di Rieti, conferma che «una politica positiva, slegata dai pasticci che combina il Pd a livello nazionale, e che ha il suo riferimento nel lavoro di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio», porta «un risultato importantissimo». 

Non solo i sindaci, dunque, ma anche e soprattutto i partiti locali, che quindi scaricano le colpe su «un partito nazionale», a questo punto non si capisce bene delegato da chi. E se Giuditta Pini fa notare che dietro le vittorie dei sindaci ci sono i militanti e quel Pd tanto maltrattato, Enzo Lattuca, anche lui neo deputato, il più giovane di tutti, dice appunto che così è, ma solo nei territori: «Non è vero quello che dice la Serracchiani - secondo Lattuca - perché il Pd che vince non è il suo né quello di altri, ma è il Pd dei territori, che vince, unito, perché è cosa assai diversa dal Pd romano». Diverso e migliore, si intende, «perché chi fa politica nei territori è ancora al contatto con la realtà», cosa che a chi sta a Roma, e comanda il partito, evidentemente non riesce. 

Nico Stumpo è uno di loro, forse il simbolo, quando era responsabile dell'organizzazione del Pd, con Bersani segretario. «Non c'è nessuna badcompany», dice. E il motivo è semplice: «Il voto dato al Pd è un voto dato al Pd», perché di Pd ne esiste uno, anche se complesso, che soprattutto «vince in virtù delle scelte politiche che fa». Per Stumpo è indiscutibile il valore aggiunto portato dai candidati, «che è il risultato anche di un sistema elettorale che li mette al centro dell'attenzione e della coalizione». Senza la ditta, però, andrebbero poco lontano: «anche il migliore dei candidati - dice Stumpo - se si candida altrove non prende certo i voti del Pd». 

Altro uomo simbolo è il tesoriere Misiani che - prima di difendere il finanziamento pubblico, paventando la cassa integrazione per i quasi duecento dipendenti del partito - twitta: «E' una stupidaggine dire che vinciamo nonostante il Pd». Anzi, «il Pd è stato determinante per il buon risultato del centrosinistra in queste amministrative». In perfetta linea col segretario

Reddito per tutti.

Piattaforma per il reddito di base e i diritti

A Roma diverse reti sociali si stanno confrontando sulla necessità di costruire uno spazio pubblico di movimento che abbia al centro la rivendicazione del reddito di base e incondizionato (RBI) e la riconquista dei diritti dentro ed oltre il lavoro. Negli ultimi anni la crisi e le politiche di austerity adottate dietro “il ricatto del debito” hanno agito come un dispositivo di “livellamento verso il basso” – facendo regredire garanzie sociali e i diritti acquisiti – seppur con un intensità diversificata e stratificata, rendendo la precarietà una condizione sociale generalizzata. Le riforme Monti-Fornero hanno ulteriormente flessibilizzato il mercato del lavoro e tagliato i fondi del nostro sistema previdenziale e welferistico. Questa è una bozza in progress di una carta d’intenti, immaginata come strumento di sensibilizzazione e ricomposizione sociale che si pone come obiettivo praticabile quello di aprire un confronto vero tra le diverse realtà sociali attive da anni su questo terreno: il sindacalismo conflittuale, i movimenti per il diritto all’abitare, le rete associative, i collettivi di precari, le reti studentesche, i lavoratori precarizzati, i centri sociali e tutti coloro che vogliono contribuire ad intensificare, coordinare e generalizzare il conflitto sociale necessario per imporre in forma adeguata il reddito di base e incondizionato come orizzonte di ridefinizione dei nuovi diritti.
· L’Italia resta al di fuori dei parametri europei continuando a disporre di un lacunoso ed iniquo sistema di ammortizzatori sociali che esclude il variegato universo dei precari e dei soggetti non coperti da nessun sistema di protezione sociale.
· L’istituzione di un reddito di base e incondizionato rappresenta un mezzo per lottare contro la precarietà (sociale e) lavorativa e il basso livello di remunerazione (in Italia i salari sono tra i più bassi d’Europa), evitando che una parte crescente della popolazione – com’è avvenuto nei 6 anni di crisi – cada nella “trappola della povertà”. Il reddito di base e incondizionato fornirebbe ai precari e ai precarizzati il potere di non accettare qualsiasi lavoro e di opporsi alla precarizzazione. Quindi il reddito di base e incondizionato è un freno alla politica di ribasso del costo del lavoro.
· Per reddito intendiamo un intervento economico universale ed incondizionato, ovvero l’erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perenne in grado di garantire la riproduzione delle vite singolari. Oltre al reddito diretto vogliamo garantiti i bisogni comuni (formazione, comunicazione, mobilità, socialità, abitare) attraverso forme di reddito indiretto che possono essere erogate attraverso le competenze degli enti locali (in questo senso la Legge 4/2009 nella regione Lazio dovrebbe garantire questi diritti).
·Il reddito è il riconoscimento della produzione sociale permanente di cui siamo portatori, ricompensa forfettaria dell’appropriazione finanziaria che le forme della cattura e sottomissione producono dentro le leve della nuova valorizzazione capitalistica, della sua continua innovazione produttiva e tecnologica. Quindi non si tratta esclusivamente di redistribuire la ricchezza- il ché non sarebbe poco in questo momento, se avvenisse senza il ricatto dell’impiego precario da accettare – ma si tratta anche di riconoscere – e quindi retribuire – la produzione sociale che avviene ogni giorno.
· Il reddito è un diritto fondamentale della persona (quindi soggettivo) che tutela il diritto ad un’esistenza autonoma, libera e dignitosa, indipendentemente dalla prestazione lavorativa effettuata per questo respingiamo i provvedimenti annunciati dal neo-governo Letta che parlano di reddito minimo esclusivamente per le famiglie bisognose con figli a carico.
· Il reddito è un diritto non discriminante nei confronti di nessuno che deve essere erogato a nativi e migranti a prescindere dalla cittadinanza perché concorre a definire la piena cittadinanza sociale e il pieno godimento delle libertà civili.
· Il reddito non è un sussidio di povertà, quindi non è una forma di salarizzazione della miseria e dell’esclusione sociale. Il reddito non è un sussidio di disoccupazione.
· Il reddito non è vincolato all’accettazione di nessuna offerta formativa e/o lavorativa, di conseguenza non ha un regime sanzionatorio, fondamentale strumento di controllo sociale utilizzato nelle attuali politiche attive del lavoro basate sul welfare to work.
· Partendo dalla rivendicazione di reddito (RBI) chiediamo che venga istituito per tutti e tutte a prescindere dalla cittadinanza un salario minimo orario che stabilisca il principio che un’ora di lavoro non venga pagata meno di un certo valore.
· Nonostante il nostro iniquo ed arbitrario sistema di ammortizzatori sociali ci sembra fondamentale sostenere le lotte per il rifinanziamento delle cassaintegrazioni in deroga
· Per costruire un senso comune che ricomponga la rivendicazione del reddito con quella della liberazione di parte del tempo di vita con la riduzione d’orario a parità di salario per redistribuire intanto il lavoro che c’è, riteniamo fondamentale sostenere e promuovere iniziative di lotta come l’esproprio e l‘autogestione delle aziende che chiudono riappropriandosi di parte della ricchezza socialmente prodotta.

contro le politiche economiche neoliberiste

Tanti chiedono “di essere salvati”

Crisi del mercato immobiliare, crisi dei consumi, disoccupazione sempre crescente, imprese che chiudono, crisi del settori automobilistico ed edilizio e la lista sarebbe ancora lunga…
Quando si accorgerà la politica europea che è il momento di agire, subito, senza se e senza ma?
Quando di accorgerà la politica europea che l’elenco di cose suddette sono comuni a tanti paesi europei e che c’è bisogno di interventi repentini?
Quando si accorgerà la politica europea che è il momento di “cambiare rotta” e dire basta all’austerità e al rigore?
I vari leader europei agli occhi di tanti cittadini sembrano “ufficiali” che stanno guidando la loro “nave” contro un “immenso iceberg”, verso un evento catastrofico senza rimedi, immane nelle sue proporzioni.
Tanti cittadini europei chiedono politiche keynesiane totalmente opposte a quelle attuali, tanti cittadini europei chiedono “di essere salvati” dal “gorgo” della crisi economica più grave dal dopoguerra.

La democrazia è la via più breve per l’oligarchia

RIFLESSIONI SULLA DEMOCRAZIA

DI GIANNI PETROSILLO




















La democrazia è la via più breve per l’oligarchia. Difficile contestare questa affermazione alla luce degli sviluppi dei nostri sistemi occidentali, diretti da ristrette cerchie di potere le quali richiamandosi alle supreme leggi del mercato e ad un comune uso degli strumenti ideologici e politici di condizionamento dei vari strati della popolazione, tentano di plasmare a loro immagine e somiglianza le sfere dell’agire umano, dove opera uno storicamente specifico rapporto di ri-produzione sociale che per carenza categoriale definiamo ancora capitalistico nonostante si sia distanziato, in alcuni tratti fondamentali, dalla sua configurazione precedente.

Tuttavia, è bene ribadire che queste élite di comando non sono tutte sulle stesso piano, benché spesso si alleino in organismi sovranazionali, sposino il medesimo modus operandi, le stesse parole d’ordine, simili regole comportamentali, scale valoriali, diritti e doveri sociali ecc. ecc.. Vi è una matrice che influenza tutte le altre nella nostra parte di mondo, quella che l’economista Gianfranco La Grassa chiama la formazione dei funzionari (privati) del capitale di derivazione statunitense, emersa dalla dissoluzione di quella borghese di “genealogia” inglese, nata con la rivoluzione industriale. Questi gruppi dominanti che fra loro sono in una relazione di preminenza/subordinazione, quindi in un rapporto conflittuale determinante una egemonia gerarchica, sia nella segmentazione dello spazio mondiale che nella stratificazione di quello nazionale, si sono appropriati del concetto di democrazia e ne hanno fatto un paravento per il loro assolutismo pubblico.

C’è un interessante saggio del filosofo francese Jacques Ranciére che analizza in dettaglio questa metamorfosi dell’idea di democrazia, divenuta un indiscutibile congegno di mascheramento della sovranità autoritaria dei pochi sui molti, col consenso passivo di quest’ultimi. In Ranciére però manca totalmente quella dimensione conflittuale, quale complesso di strategie politiche erompenti dalla disputa tra drappelli dirigenziali, tanto nell’estensione mondiale che in quella nazionale, fattore che gli impedisce di comprendere e di pesare la consistenza geopolitica e i concreti differenziali di potere tra i suddetti raggruppamenti preminenti di ciascuna formazione statale, i quali pur facendo riferimento ad uno speculare sistema di progetti e obiettivi occupano postazioni più o meno privilegiate (di potenza) nell’area globale, indirizzandone (o subendone) i processi e le risultanze.

Da questo ragionamento errato viene impropriamente inferita l’esistenza di una fantomatica classe dominatrice unificata a livello planetario, di tipo tecnocratico o finanziario, che ambirebbe, ricavandone la forza da una necessità teleologica (il trionfo della tecnica e della produzione illimitata) ad occupare e sottomettere l’intero orbe terraqueo, spodestando stati e popoli.

Prescindendo da questo approdo discutibile, Ranciére ci fornisce una serie di riflessioni sulla democrazia che colgono nel segno, specialmente laddove egli individua e spiega evidenti effetti distorcenti, sociali, ideologici, politici, rispetto ai quali i nostri intellettuali da riporto sono sempre pronti a fornire giustificazioni e rappresentazioni di comodo. Soprattutto sesi tratta di respingere in blocco fenomeni di protesta o di resistenza, accelerati dal default economico in quanto riflesso di un più profondo squassamento geopolitico, che rischiano di sfuggire di mano e che vengono immediatamente bollati come populisti. Cito di seguito i passi più significativi del suo testo sperando di contribuire ad una riflessione più ampia sull’argomento.

“..Ciò che chiamiamo democrazia è, infatti, un funzionamento dello stato e del governo esattamente opposto; eletti eterni che accumulano o alternano funzioni municipali, regionali, legislative o ministeriali e che si legano alla popolazione rappresentando gli interessi locali; governi che fanno le leggi; rappresentanti del popolo che escono dalle scuole di amministrazione; ministri e collaboratori di ministri risistemati nelle imprese pubbliche o semipubbliche; partiti finanziati con la frode sui mercati pubblici; uomini d’affari che investono somme colossali per ottenere un mandato elettorale; padroni di imperi mediatici privati che, grazie alla loro funzione pubblica, si appropriano dell’impero delle telecomunicazioni di stato. Insomma, la requisizione della cosa pubblica da parte di una solida alleanza fra l’oligarchia statale e l’oligarchia economica. Si capisce che i denigratori dell”‘individualismo democratico” non abbiano niente da rimproverare a questo sistema di predazione della cosa e dei beni pubblici. Questo iperconsumo delle funzioni pubbliche non dipende, infatti, dalla democrazia. I mali di cui soffrono le nostre “democrazie” sono innanzitutto i mali legati all’insaziabile appetito degli oligarchi. Non viviamo in una democrazia. Non viviamo nemmeno in un campo, come sostengono certi autori che ci vedono tutti sottomessi alla legge d’eccezione del governo biopolitico. Viviamo in uno stato di diritto oligarchico, cioè in uno stato in cui il potere dell’oligarchia è limitato dal duplice riconoscimento della sovranità popolare e delle libertà individuali. I vantaggi di questo tipo di stato sono noti, come pure i loro limiti. Le elezioni sono libere. Servono essenzialmente ad assicurare la riproduzione del medesimo personale dominante sotto etichette intercambiabili, ma le urne non sono in genere strapiene ed è possibile rendersene conto senza rischiare la vita. L’amministrazione non è corrotta, tranne in quegli affari di mercato pubblico dove finisce per confondersi con gli interessi dei partiti dominanti. Le libertà individuali sono rispettate, a prezzo di considerevoli eccezioni per tutto quello che riguarda la difesa delle frontiere e la sicurezza del territorio. La stampa è libera: chi voglia fondare, senza l’aiuto di potenze finanziarie, un giornale o una rete televisiva capace di raggiungere l’insieme della popolazione incontrerà serie difficoltà, ma non finirà in galera. I diritti di associazione, di riunione e di manifestazione permettono l’organizzazione di una vita democratica, cioè di una vita politica indipendente dalla sfera statale. Permettere è evidente mente una parola ambigua”.

“…il sistema cosiddetto maggioritario elimina i partiti estremi e fornisce ai “partiti di governo” il mezzo per governare in alternanza: permette così alla maggioranza, cioè alla minoranza più forte, di governare senza
opposizione per cinque anni e di prendere, nella certezza della stabilità, tutte le misure che l’imprevisto delle circostanze e la previsione a lungo termine richiedono in vista del bene comune. Da un lato, questa alternanza soddisfa il gusto democratico del cambiamento. Dall’altro, i membri di quei partiti di governo,
avendo fatto gli stessi studi nelle stesse scuole dalle quali escono anche gli esperti nella gestione della cosa comune, tendono ad adottare le stesse soluzioni che fanno prevalere la scienza degli esperti sulle passioni della moltitudine. Si crea così una cultura del consenso che ripudia gli antichi conflitti, abituando a oggettivare senza passione i problemi che a corto e a lungo termine le società incontrano, a chiedere soluzioni agli esperti e a discuterle con i rappresentanti qualificati dei grandi interessi sociali”.

“…E’ finito, quindi, il tempo in cui la divisione del popolo era abbastanza attiva e la scienza abbastanza modesta perché i principi opposti potessero sopportare la loro coesistenza. L’alleanza oligarchica della ricchezza e della scienza esige oggi tutto il potere ed esclude che il popolo possa ancora dividersi, moltiplicarsi. Ma la divisione, che è stata espulsa dai principi, ritorna da tutte le parti. Ritorna nell’impulso dei partiti di estrema destra, dei movimenti identitari e degli integralismi religiosi che, contro il consenso oligarchico, fanno appello ai vecchi principi della nascita e della filiazione, a una comunità radicata nel suolo, nel sangue e nella religione dei padri. Ritorna anche nella molteplicità delle lotte che rifiutano la necessità economica mondiale, di cui si avvale l’ordine del consenso per rimettere in discussione i sistemi sanitari e pensionistici o il diritto del lavoro. Ritorna infine nel funzionamento stesso del sistema elettorale, quando le uniche soluzioni che si impongono tanto ai governanti quanto ai governati debbono sottostare alla scelta imprevedibile di questi ultimi. Il referendum europeo ne ha fornito la prova. Nello spirito di coloro che sottomettevano la questione a referendum, il voto doveva intendersi secondo il senso originario che ha l’”elezione” in occidente: come un’approvazione data dal popolo riunito a coloro che sono qualificati per guidarlo. Doveva essere così, anche perché l’élite degli esperti di stato era unanime nel dire che la questione non si poneva più, che si trattava soltanto di proseguire la logica degli accordi già esistenti e conformi agli interessi di tutti. La maggiore sorpresa del referendum è stata che una maggioranza di votanti ha ritenuto invece che quella questione fosse una vera questione, che essa non dipendesse dall’adesione della popolazione, ma dalla sovranità del popolo e che solo il popolo potesse rispondere sì o no. Il resto si sa. Si sa anche che di questa sciagura, come pure di tutte le difficoltà del consenso, gli oligarchi, i loro scienziati e i loro ideologi hanno trovato subito una spiegazione: se la scienza non riesce a imporre la sua legittimità è colpa dell’ignoranza. Se il progresso non progredisce è colpa dei ritardatari. Una parola, continuamente salmodiata da tutti gli esperti, riassume questa spiegazione: il “populismo”. In questo termine rientrano tutte le forme di secessione nei confronti del consenso dominante, sia quelle che derivano dall’affermazione democratica sia quelle che nascono dai fanatismi razziali o religiosi. E si cerca di dare a questo insieme così eterogeneo un unico principio: l’ignoranza degli arretrati, l’attaccamento al passato, al passato dei vantaggi sociali, degli ideali rivoluzionari e della religione dei padri. Populismo è il facile nome sotto il quale si cela la contraddizione esasperata fra la legittimità popolare e la legittimità scientifica, nonché la difficoltà del governo della scienza ad adattarsi alle manifestazioni della democrazia e perfino a quella forma mista che è il sistema rappresentativo. Questo nome maschera e allo stesso tempo rivela il grande desiderio dell’oligarchia: governare senza popolo, cioè senza divisione del popolo, governare senza politica. É permette al governo dei sapienti di esorcizzare la vecchia aporia: come può la scienza governare coloro che non la capiscono?”

“…L’ignoranza che viene rimproverata al popolo è semplicemente la sua mancanza di fede. La fede storica ha cambiato campo. Oggi sembra l’appannaggio dei governanti e dei loro esperti. Perché asseconda la loro compulsione più profonda, la compulsione naturale al governo oligarchico: la compulsione a sbarazzarsi del
popolo e della politica. Dichiarandosi semplici gestori delle ricadute locali e della necessità storica mondiale, i nostri governi si industriano a eliminare il supplemento democratico. Inventando istituzioni sovra-statali, che non sono stati a loro volta e che quindi non sono responsabili di fronte a nessun popolo, i nostri governi realizzano il fine immanente alla loro stessa pratica: depoliticizzare le questioni politiche, sistemarle in luoghi nonluoghi che non lasciano spazio all’invenzione democratica di luoghi polemici. Così gli stati e i loro esperti possono intendersela…”

Chi è ancora convinto che la democrazia sia il governo del popolo dovrebbe fermarsi a ragionare. Troppe contraddizioni e deformazioni insinuano dubbi sul significato d’antan della parola. Forse, non aveva tutti i torti Carmelo Bene quando sosteneva che la “democrazia è il popolo, che prende a calci in culo il popolo, su mandato del popolo” ma, aggiungiamo noi, a vantaggio di conchiuse e prepotenti oligarchie.

Gianni Petrosillo

2016...........ma che stupidaggini raccontano raccontano.

Funerali di Franca Rame, il figlio Jacopo Fo: "Siate ottimisti perché Dio c'è ed è comunista

Giulietto Chiesa - Un sorpresa nel Trattato di Maastricht

VOI CI CREDETE? 20.000 POSTI DI LAVORO DOVE? MA SE IN PIU' DI 20 ANNI NON LO HANNO FATTO.

Petrolio Basilicata, un aiuto per uscire dalla recessione




L'Italia potrebbe diventare il terzo produttore di greggio in Europa. Dallo sviluppo delle attività estrattive, 20 mila nuovi posti di lavoro.

NEW YORK-WSI





Dai giacimenti del petrolio della Basilicata potrebbe arrivare l’ancora di salvezza contro due anni di recessione. Così si legge in un articolo pubblicato dall’agenzia Bloomberg, secondo cui Eni e la francese Total stanno pianificando di raddoppiare la produzione giornaliera di petrolio, portandola a circa 200.000 barili al giorno, rendendo così l’Italia il terzo produttore di petrolio in Europa alle spalle della Gran Bretagna e la Norvegia.

Da quando, negli anni Novanta, sono iniziate le attività di estrazione (si calcola che la regione sia seduta su 1 miliardo di barili di petriolio ndr), una serie di impedimenti di carattere ambientale e burocratico hanno rallentato lo sviluppo della produzione di oro nero.

Ma secondo, Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell'Istituto Bruno Leoni, questi ostacoli stanno progressivamente scomparendo, dietro la necessità sempre più urgente del governo di portare il paese fuori da sei trimestri consecutivi di recessione.

In Basilicata "c'è un potenziale enorme di sviluppo", ha affermato Claudio Descalzi, direttore generale Eni, in un'intervista all'agenzia Bloomberg. L'Italia spende ben 60 miliardi di euro per la produzione. "Ma dall’incremento delle attività estrattive può risparmiare circa 5 miliardi di euro e creare circa 20.000 posti di lavoro".

Nell’ambito delle politiche energetiche 2012, l’esecutivo guidato da Monti ha fissato tra gli obiettivi un incremento della produzione di petrolio e gas. L'ex primo ministro aveva allo stesso tempo dato il via libera al nuovo giacimento di Tempa Rossa in Basilicata, mentre l'Eni e le autorità locali sono in trattative per aumentare la produzione nella regione Val d'Agri.

Nel 2012, l’Italia ha prodotto circa 101 mila barili al giorno di petrolio, pari al 7% del consumo totale, la maggior parte del quale arriva dalla Basilicata. L’obiettivo è quello di arrivare a 170 mila barili al giorno, il 68% in più rispetto allo scorso anno.

"Parlare di indipendenza energetica è un’esagerazione, ma un aumento della produzione potrebbe senza dubbio rappresentare un’opportunità per l’Italia", ha messo in evidenza Stagnaro, specificando che "la questione reale è se i guadagni di Eni, dopo aver rispettato le leggi, siano tali da spingere la compagnia ad andare avanti nelle attività". 

USCITA PAESI PIU' COMPETITIVI.

Euro: task force economisti per uscita paesi più competitivi


Borghi, Sapir e Bagnai (foto) sottoscrivono manifesto di solidarieta' per avviare ricostruzione secondo un principio di "condivisione dei costi" e per risolvere squilibri area euro.
ROMA (WSI)
















Per arginare la crisi e proporre la loro soluzione agli squilibri dell'Eurozona, un gruppo di economisti italiani ha deciso di sottoscrivere un manifesto di solidarieta' europeo, in cui si promuove una strategia di "uscita" dal blocco a 17 dei paesi più competitivi.

"Riteniamo che la strategia che offre le migliori possibilità di salvare l’Unione Europea, la conquista più preziosa dell’integrazione europea, sia una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, decisa di comune accordo, dei paesi più competitivi": questo e' il passaggio cruciale del breve pamphlet.

Pur avendo visioni differenti su altri temi, i partecipanti sono tutti concordi nella ricetta per uscire dal tunnel: l'unica via percorribile e' seguire il principio di "condivisione dei costi" nell'area euro.

Tra gli accademici figurano diversi euro scettici, come Alberto Bagnai, professore di politica economica presso l'Università Gabriele d’Annunzio a Pescara, e Claudio Borghi, Professore della Cattolica di Milano.

Tra le personalita' di piu' alto spicco si segnalano Jacques Sapir, Professore di economia presso la Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali, Jean-Jacques Rosa, fondatore della Science Po di Parigi, e Hans-Olaf Henkel dell'Universita' di Mannheim.

Di seguito e' riportato il testo integrale del Manifesto, pubblicato sul blog Goofynomics.

Solidarietà europea di fronte alla crisi dell’Eurozona

La segmentazione controllata dell’Eurozona per preservare le conquiste più preziose dell’integrazione europea.

La crisi dell’Eurozona mette a rischio l’esistenza dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo.

La creazione dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo si colloca fra le maggiori conquiste dell’Europa post-bellica in campo politicoed economico. Il notevole successo dell’integrazione europea è scaturito da un modello di cooperazione che beneficiava tutti gli stati membri, senza minacciarne alcuno.
Si era ritenuto che l’euro potesse essere un altro importante passo avanti sulla strada di una maggiore prosperità in Europa. Invece l’Eurozona, nella sua forma attuale, è diventata una seria minaccia al progetto di integrazione europea.

I paesi meridionali dell’Eurozona sono intrappolati nella recessione e non possono ristabilire la propria competitività svalutando le proprie valute. D’altra parte, ai paesi settentrionali si chiede di mettere a rischio i benefici delle proprie politiche finanziarie prudenziali, e ci siaspetta che in quanto "benestanti" finanzino i paesi del Sud attraverso infiniti salvataggi. Questa situazione rischia di portare allo scoppio di gravi disordini sociali nell’Europa meridionale, e di compromettere profondamente il sostegno dei cittadini all’integrazione europea nell’Europa settentrionale. L’euro, invece di rafforzare l’Europa, produce divisioni e tensioni che minano le fondamenta stesse dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo.

Una strategia nel segno della solidarietà europea

Riteniamo che la strategia che offre le migliori possibilità di salvare l’Unione Europea, la conquista più preziosa dell’integrazione europea, sia una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, decisa di comune accordo, dei paesi più competitivi. L’euro potrebbe rimanere – per qualche tempo – la moneta comune dei paesi meno competitivi. Ciò potrebbe comportare in definitiva il ritorno alle valute nazionali, o a differenti valute adottate da gruppi di paesi omogenei. Questa soluzione sarebbe un’espressione di vera solidarietà europea. Un euro più debole migliorerebbe la competitività dei paesi dell’Europa meridionale e li aiuterebbe a uscire dalla recessione e tornare alla crescita. Ridurrebbe anche il rischio di panico bancario e il collasso del sistema bancario nei paesi dell’Europa meridionale, che potrebbe verificarsi se questi fossero costretti ad abbandonare l’Eurozona o decidessero di farlo per pressioni dell’opinione pubblica nazionale, prima di un abbandono dell’Eurozona da parte dei paesi più competitivi.

La solidarietà europea sarebbe ulteriormente sostenuta trovando un accordo su un nuovo sistema di coordinamento delle valute europee, volto alla prevenzione di guerre valutarie e di eccessive fluttuazioni dei cambi fra i paesi Europei.
Naturalmente sarebbe necessario, in almeno alcuni dei paesi meridionali, un abbuono (haircut) deidebiti. La dimensione di questi tagli e il loro costo per i creditori,tuttavia, sarebbero inferiori rispetto al caso in cui questi paesi restassero nell’Eurozona, e le loro economie continuassero a crescere al disotto del proprio potenziale, soffrendo una elevata disoccupazione. Posta in questi termini, l’uscita dall’Eurozona non implicherebbe che le economie più competitive non debbano sopportare un costo per la diminuzione dell’onere del debito dei paesi in crisi. Tuttavia, ciò accadrebbe in circostanze nelle quali il loro contributo aiuterebbe quelle economie a tornare a crescere, al contrario di quanto accade con gli attuali salvataggi, che non ci stanno portando danessuna parte.

Perché questa strategia è così importante?

Non occorre dire che è nostro comune interesse che l’Unione Europea torni alla crescita economica – la migliore garanzia per la stabilità e la prosperità dell’Europa. La strategia di segmentazione controllata dell’Eurozona faciliterà il conseguimento di questo risultato nei tempi più rapidi.

I firmatari

Alberto Bagnai (@AlbertoBagnai) – Professore associato di politica economica presso il Dipartimento di Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio a Pescara (Italia), e ricercatore associato al CREAM (Centro diricerca in economia applicata alla globalizzazione, Università di Rouen). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulla sostenibilità del debito pubblico ed estero nelle economie emergenti; ha lavorato come consulente per l’UNECA (Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite) su progetti relativi alla convergenza macroeconomica delle unioni monetarie in Africa. Per contribuire alla divulgazione dei temi economici ha aperto nel novembre del2011 il blog goofynomics.blogspot.it e contribuisce a "Il Fatto Quotidiano" come opinionista e blogger. Il suo ultimo libro "Il tramonto dell’euro", pubblicato nel 2012, ha riacceso in Italia il dibattito su costi e benefici dell’Eurozona. Alberto Bagnai è cittadino italiano.

Claudio Borghi Aquilini (@borghi_claudio)– Professore incaricato di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sua esperienza lavorativa lo ha portato a occupare posizioni manageriali di spicco nel settore finanziario in Italia. Ha lavorato per Deutsche Bank Italia a Milano (2001-2008) e prima per Merril Lynch. Attualmente collabora con "Il Giornale" come opinionista. Claudio Borghi Aquilini è cittadino italiano.

Brigitte Granville – Professore di Economia Internazionale e Politica Economica alla School of Business and Management dell’Università Queen Mary di Londra, dove dirige il Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CGR). In diverse occasioni è stata consulente su temi economici – in particolare, politica monetaria – per vari paesi emergenti o in via di sviluppo, fra i quali la Russia, il Kazakistan, l’Ucraina, l’Uzbekistan e la Costa d’Avorio, per conto dei rispettivi governi, o di organizzazioni pubbliche quali la Commissione Europea o la Banca Mondiale. Nel triennio 1992-1994 Brigitte è stata membro del team di consulenti economici del Ministero delle Finanze russo, diretto dal professor Jeffrey Sachs. In quel periodo ha svolto un ruolo guida nel motivare la necessità di uno smantellamento dell’area del rublo, che comprendeva diverse repubbliche sovietiche, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica. Il suo ultimo libro, "Remembering inflation",è stato pubblicato dalla Princeton University Press. Cittadina francese, Brigitte Granville ha ricevuto nel 2007 l’onorificenza di Chevalier des Palmes Académiques – accordata dal governo francese per onorare contributi significativi allo sviluppo della cultura.

Hans-Olaf Henkel (@HansOlafHenkel)– Professore di Management Internazionale all’Università di Mannheim, già presidente della Confindustria tedesca - BDI (1995-2000). Ha lavorato in IBM dal 1962, ha diretto IBM Germania (1987-1992), poi è stato amministratore delegato di IBM Europa (1993-94). Dal 2001 al 2005 è stato presidente dell’associazione Leibniz. Commendatore della Legion d’onore nel 2002. Hans-Olaf Henkel è cittadino tedesco.

Stefan Kawalec – Amministratore delegato di Capital Strategy, una società polacca di consulenza strategica. Dal 1989 al 1994 ha svolto un ruolo significativo nella preparazione e nell’implementazione del piano di stabilizzazione e trasformazione dell’economia polacca come capo dei consulenti del Vice primo ministro e Ministro delle Finanze Leszek Balcerowicz,e successivamente come sottosegretario alle Finanze. È stato membro attivo dell’opposizione democratica e del movimento Solidarnosc sotto il regime comunista in Polonia. È co-autore dell’articolo "Smantellamento controllato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e il Mercato Comune Europeo", German Economic Review, Febbraio 2013. Stefan Kawalec è cittadino polacco.

Jens Nordvig – Amministratore delegato di Nomura, la banca di investimento globale, dove dirige la Fixed Income Research, ed è capo delle strategie valutarie globali. In precedenza ha lavorato come Senior Currency Strategist alla Bridgewater Associates, e come Senior Global Markets Economist presso Goldman Sachs. Nel 2012 si è classificato primo nella categoria "ricerca sui mercati valutari" nella rassegna Institutional Investor. Jens Nordvig è cittadino danese.

Ernest Pytlarczyk – Economista capo alla Banca BRE (sussidiaria della Commerzbank, e terza banca commerciale della Polonia), dove dirige il dipartimento ricerca. Ha cominciato la propria carriera come analista finanziario alla BRE nel 2002, ès tato assistente all’Università di Amburgo (Istituto per il Ciclo Economico) e ricercatore presso la Deutsche Bundesbank. Coautore dell’articolo "Smantellamento controllato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e il Mercato Comune Europeo", German Economic Review, Febbraio 2013. Ernest Pytlarczyk è cittadino polacco.

Jean-Jacques Rosa – Professore Emerito di Economia e Finanza all’Institut d’Etudes Politiques (Parigi). Coordinatore e fondatore del dottorato in economia di Sciences Po a Parigi dal 1978 al 2004. Curatore della rubrica economica "Cheminement du Futur" su Le Figaro dal 1987 al 2001. Ha ottenuto nel 1995 il premio "Economista dell’anno" dal Nouvel Economiste.Jean-Jaques Rosa è cittadino francese.

Jacques Sapir (@russeurope) –Professore di economia presso la Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali (EHESS) e professore visitatore presso la MSE di Mosca. Ha studiato scienze politiche e economia all’IEP di Parigi e ha scritto la sua tesi sulle politiche del lavoro nell’Unione Sovietica nel periodo fra le due guerre mondiali, e la tesi di dottorato sul ciclo degli investimenti nell’Unione Sovietica nel periodo postbellico. Ha lavorato all’università di Nanterre prima di entrare all’EHESS dove è diventato direttore del Centro di Studi sui Modi di Industrializzazione (CEMI) nel 1997. È stato fra i pochissimi economisti a prevedere il crac russo del 1998. Da allora si è specializzato sul modello economico russo e sulle conseguenze macroeconomiche dell’Unione Economica e Monetaria. Conduce un blog piuttosto frequentato http://russeurope.hypotheses.org. I suoi ultimi libri: "Faut-il sortir de l’euro?", Parigi: Le Seuil, 2012 (tradotto in italiano); "La transition vingt ans après" (con Ivanter, Kuvalin andNekipelov), Parigi-Ginevra, Les Syrtes, 2012 (in corso di traduzione in russo). Jacques Sapir è cittadino francese.

Juan Francisco Martín Seco – Docente universitario di Introduzione all’economia, Teoria della Popolazione, e Finanza pubblica. Appartiene all’ordine dei Revisori dei conti (Ministero delle Finanze spagnolo) e al servizio di vigilanza delle cooperative di credito del Banco de España. Ha prestato servizio come Revisore dei conti dell’Amministrazione centrale e del Ministero delle Finanze. Opinionista per diversi giornali e riviste: "El Pais","Cinco Dias", "Gaceta de los nogocios", "Diario 16". Ha fatto parte del comitato di redazione di "El Mundo" e di "Publico". Attualmente è editorialista per "República". Autore di numerosi libri, fra i quali: "La trastienda de la crisis" (2010), "¿Para qué servimos los economistas? (2010), "Economía.Mentiras y trampas" (2012), "Contra el euro" (2013). Juan Francisco MartínSeco è un cittadino spagnolo.

AlfredSteinherr – Professore presso la facoltà di Economia e Management della Libera Università di Bolzano, della quale è stato fondatore (1998-2003). In precedenza, economista e direttore generale del dipartimento per l’economia e l’informazione della Banca Europea degli Investimenti, Lussemburgo (1995-2001). Ha fatto parte del Dipartimento di ricerca del Fondo Monetario Internazionale a Washington, e consulente economico della Commissione Europea. Alfred Steinherr è cittadino tedesco.

ATTENTI... PROSSIMO PRELIEVO FORZATO.

Spagna cambia costituzione: prelievi dai conti possibili.

Mentre a Cipro si studiano modi per controllare i capitali in fuga, grazie a un blitz costituzionale in Spagna d'ora in avanti consentita tassa sui depositi bancari: apre la porta a tassazione dei risparmi. Con la scusa di uniformare pressione fiscale a livello regionale. Foto: ministro PA Montoro.







NEW YORK (WSI) - Il contagio e' gia' in atto. Mentre il ministro spagnolo dell'Economia Luis De Guindos ha proclamato in Senato che "i depositi in banca sotto i 100 mila euro sono sacri e che i risparmiatori non si devo allarmare", la Spagna ha cambiato una norma costituzionale che consente una tassa sui depositi delle banche. Una norma prima proibita per legge, che potrebbe in caso di bisogno aprire la strada a un prelievo forzoso una tantum dai conti bancari, nella forma di una tassazione dei risparmi. Il concetto e': se le banche vengono tassate dallo Stato, a chi faranno pagare il conto se non ai correntisti?

Per il momento lo stato sostiene che tale tassa, che gli istituti dovranno pagare allo Stato in proporzione all'entita' dei propri depositi, "non sara' molto piu' alta dello 0%" e che e' rivolta a quelle regioni che "non hanno compiuto alcuno sforzo per raccogliere entrate fiscali".

Nel frattempo l'esecutivo in Nuova Zelanda sta valutando l'ipotesi di imporre in futuro una confisca in stile cipriota dei risparmi, per evitare un eventuale crack delle banche.

Come riporta il quotidiano spagnolo El Pais, il ministro della Pubblica Amministrazione,Cristobal Montoro ha difeso la misura, sottolineando che la sua presenza nella costituzione e' giustificata dalla volonta' di uniformare la pressione fiscale tra le varie regioni della nazione indebitata.

Il governo sta preparando una proposta di legge sull'ammontare che le banche dovranno versare alle casse pubbliche. Anche se una misura simile potrebbe rappresentare una violazione dei movimenti liberi di capitale in Europa, e quindi essere bloccata dalla Commissione Ue, cosi' com'e' strutturata lascia la porta aperta a una tassazione dei risparmi dei cittadini, che potrebbe tradursi in un imposta patrimoniale in stile cipriota.

A proposito di capitali, per scongiurare la fuga dei ricchi patrimoni russi, Cipro sta studiando il varo di un piano di emergenza che prevede il controllo dei capitali, tra cui l'imposizione di limiti sui prelievi giornalieri dai conti bancari e di un tetto alle somme di denaro che possono essere prelevate per via elettronica dal paese. Non che' l'introduzione di controlli di frontiera piu' severi, nel tentativo di mettere un freno alla fuoriuscita di capitali dal paese mediterraneo.

Il tutto mentre jet carichi di denaro appartenente agli oligarchi russi stanno volando via dalla piccola isola, che con la sua crisi finanziaria ha aperto il vaso di Pandora in Europa.

OLTRE LA RETE C'E' QUESTO, LE CHIACCHIERE NON SERVONO.

Francoforte: assedio alla Bce e scontri
Sono partiti all’alba di oggi i blocchi organizzati dai manifestanti provenienti da tutto il continente europeo che protestano contro le politiche di austerity della Bce e della Troika. Bloccata la Bce, invaso l'aeroporto. La diretta da GlobalProject.

Fin dall'alba sono partite in corteo dal campeggio di Rebstock le varie coalizioni internazionali, che in corteo e aggirando un massiccio schieramento di polizia hanno raggiunto il centro di Francoforte. Partiti da tre diversi concentramenti, alle 7 sono iniziati i blocchi della Eurotower, il grattacielo sede della Banca Centrale Europea.

Sei diversi blocchi, per un totale di oltre tremila manifestanti, hanno ostruito tutte le vie d'accesso agli uffici della BCE, che transennati e presidiati da centinaia di poliziotti in assetto antisommossa apparivano come un fortino sotto assedio.

A questo punto è risultato impossibile per i dipendenti della Banca Centrale raggiungere i propri uffici, dal momento che, nonostante alcuni provocatorii interventi della polizia (tentativo di strappare ai cordoni e di fermare singoli manifestanti, uso di spray urticanti al peperoncino), tutti e sei i blocchi hanno tenuto, intensificando anzi la pressione sulle transenne di sicurezza e mettendo a dura prova l'apparato militare della Bundespolizei.

Un assedio effettivo della BCE che ha provocato al paralisi di tutto il distretto centrale di Francoforte con la sospensione delle attività anche nelle sedi di Kommerzbank, di Deutsche Bank e di altri istituti e società finanziarie.

La Coalizione italiana verso Francoforte, ventotto centri sociali che hanno portato nella città tedesca oltre duecento attiviste e attivisti, ha contribuito alla riuscita del blocco della zona Sud insieme alle compagne e ai compagni del Blocco Anticapitalista e, in particolare, a quelli della Interventionistische Linke di Berlino.

I manifestanti, ciascuno con le proprie differenze di provenienza e di affinità,  hanno saputo dar vita - coalizzandosi - ad un percorso comune che non solo ha reso possibile il blocco reale della BCE, ma ha anche costruito una intera giornata di sciopero, imposto dal basso, nel cuore degli affari finanziari di tutta Europa.

E' l'Europa dal basso, che coopera, che resiste e costruisce l'alternativa, per i diritti e la democrazia, i beni comuni e il reddito, contro l'Europa dell'austerità e della speculazione finanziaria.

E' iniziata così la prima "onda" della giornata dei blocchi, che stanno già proseguendo (cinquecento persone dalle 11 hanno circondato la sede della Deutsche Bank contro debito, privatizzazioni e land grabbing) e continueranno per tutto il pomeriggio.

Assediando l'aereoporto si vuole contestare l'Europa- fortezza, che respinge richiedenti asili e migranti, dentro all'aeroporto internazionale uno dei centri delle deportazioni.

Nella principale via commerciale di Francoforte, azioni dirette danno voce alla contestazione contro i"grandi marchi" delle multinazionali che organizzano lo sfruttamento del lavoro su scale globale.

* POMERIGGIO

13:59 Francoforte - La polizia prova ad accerchiare i manifestanti.

13:59 Francoforte - Per le strade di Francoforte paralizzate si intonano cori in italiano e si vive insieme un'atmosfera di festa

13:56 Francoforte - Il corteo fuori dall'aereo porto prova ad entrare e viene bloccato dalla polizia in antisommossa. I manifestanti fronteggiano i cordoni della polizia.

13:55 Francoforte - I blocchi paralizzano la ziel, la strada dei negozi!

13:50 Francoforte - Blockupy deportation airport: i manifestanti all'interno dell'aereoporto continuano con un sit in
13:46 Francoforte - quasi tutti i negozi su ziel vengono sanzionati e bloccati. Le strade sono piene di manifestanti che si mischiano con i cittadini solidali

13:44 Francoforte - Insieme alla coalizione italiana, a manifestare e sanzionare la Benetton anche numerosi tedeschi

13:41 Francoforte - Dall'esterno del terminal 1 si urla "no border, no nation. Stop deportation!"

13:36 Francoforte - La coalizione italiana sanziona la Benetton per denunciare i gravi fatti avvenuti in Bangladesh

13:17 Francoforte - Davanti a uno dei maggiori centri commerciali della strada la polizia si schiera per non fare entrare nessuno. I manifestanti si siedono per terra in sit in davanti al negozio: oggi si chiude!

13:12 Francoforte - I poliziotti si buttano sui manifestanti che stavano bloccando i negozi

13:04 Francoforte - Sulla via dei negozi, ziel, si cominciano a sanzionare i negozi: vernice rossa su un primo centro commerciale

12:54 Francoforte - Il blocco nella strada dei principali negozi francofortesi inizia con un'assemblea molto partecipata.

Mattina

11:05 Francoforte - conclusi i blocchi della mattinata. La seconda parte della giornata si articolerà con tre nuove azioni

10:43 Francoforte - la prima parte della giornata di mobilitazione si conclude in paulsplatz.


10:40 Francoforte - Nuovo corteo selvaggio blocca la città andando a preparare i blocchi del pomeriggio

09:48 Francoforte - grande giornata abbiamo imposto dal basso uno sciopero al distretto finanziario. I blocchi continuano nonostante la pioggia

09:40 Francoforte - grandissima giornata di mobilitazione. Bloccato il cuore finanziario d'europa.

09:38 Francoforte - sgomberati i manifestanti che bloccavano l'accesso alla commerzbank.

09:19 Francoforte - intervento del blocco italiano "per la prima volta i movimenti sociali della nuova generazione bloccano l'attività delle banche nel cuore della crisi. Lottando uniti si vince!"

09:14 Francoforte - nonostante il freddo e la pioggia continua gli attivisti continuano ad esprimere il proprio dissenso alla governance della Troika.

09:00 La clown army cerca di fronteggiare i cordoni di polizia.

08:42 Francoforte - i blocchi di manifestanti intorno alla BCE sono diventati sei

08:29 Francoforte - anche la delegazione francese raggiunge il quarto blocco di manifestanti

08:26 Francoforte - i cordoni di polizia cercano di infilarsi tra i manifestanti

08:25 I cordoni di polizia stanno chiudendo su tutti i quattro lati il quarto blocco di manifestanti

08:17 Francoforte - bloccati ingressi bce

1Blockupy


08:16 Francoforte - i cordoni di polizia cercano di infilarsi tra i manifestanti

08:15 I cordoni di polizia stanno chiudendo su tutti i quattro lati il quarto blocco

08:03 La coalizione italiana con un pezzo del blocco nord si sposta cercando di formare un quarto blocco

07:51 Francoforte -  dal blocco nord la polizia ha superato le transenne e fronteggiano i manifestanti

07:42 Francoforte - blocco sud ricongiunto con la coalizione italiana del blocco nord. Nonostante il respingimento delle forze dell'ordine i manifestanti resistono

07:38 Francoforte - pepper spray in abondanza al coro "aglio olio eeperoncino"

07:34 Francoforte - arrivati i reparti speciali super corazzati. Continua il confronto alle barriere

07:28 Francoforte - dal camion arriva la notizia che tutti gli accessi alla BCE sono bloccati. La banca oggi non sarà operativa!!

07:22 Francoforte - la colazione italiana scuote cantando le barriere quasi divelte. Arriva idrante guardie con pepper spray alla mano

 07:21 Francoforte - dal blocco sud continuano gli interventi dal camion contro il regime della Troika

07:10 Francoforte - dal blocco sud un gruppo di persone ha tentato di staccarsi dal corteo per arrivare sotto la BCE, sono tre in  questo momento che la circondano

07:06 Francoforte - nonostante la pioggia il blocco sud continua la sua mobilitazione tentando di ricongiungersi con l'altro blocco sotto la BCE

07:05 Francoforte - migliaia di persone suddivise in vari gruppi, blocca la city finanziaria assediando la BCE da punti diversi

06:55 Francoforte - Dal blocco sud nasce un'assemblea spontanea per decidere come muoversi

06:51 Francoforte - il blocco sud è arrivato sotto la BCE. I manifestanti si fermano davanti ai cordoni di polizia, aspettando di ricongiungersi con il blocco nord

 06:43 Francoforte - Dalla stazione parte un corteo diretto alla BCE

06:37 Francoforte - siamo a poche decine di metri dalla bce, bloccata da altre direzioni da vari cortei

06:32 Francoforte - il corteo si divide in vari gruppi di centinaia di persone invadendo il centro. Presenza ormai massiccia di polizia antisommossa

06:17 Francoforte - I vari cortei stanno bloccando la città diretti alla bce per bloccarla

06:03 Francoforte - migliaia in corteo selvaggio bloccano la città eludendo i blocchi della polizia. "No alla bce no all'austerità blocchiamo la città"

05:52 Francoforte - migliaia in corteo verso il centro città "no borders no nations stop deportation" "siamo tutti antifascisti"

05:28 Francoforte - parte il corteo verso la bce. Almeno 1000 persone lasciano il camp "no alla bce no all'austerità occupiamo la città"

 05:11Francoforte - nel camp  fervono i preparativi per il blocco alla bce. No business as usual today