Generazione decrescente, costretta a reinventarsi la vita
Scritto il 21/9/13
«Faccio parte di un generazione formata da moltissimi individui che vogliono più dei propri avi, pur essendo meno (o per nulla) in grado di accontentarsi di poco». Giovani che spesso «vogliono ottenere troppo senza sforzarsi molto», ma allo stesso tempo «hanno meno mezzi a livello caratteriale per ottenere ciò che vogliono». Più che “bamboccioni” troppo viziati durante l’infanzia e l’adolescenza, sono ragazzi che «hanno la sfortuna di vivere in un momento storico in cui le maggiorate esigenze non combaciano con un’economia che non può crescere all’infinito». Fine corsa: il sistema «non può dare le stesse possibilità di guadagno e di gratificazione dei decenni passati». Così Andrea Bertaglio tratteggia la sua “generazione decrescente”, quella che – per la prima volta – sa che non potrà avere a disposizione più risorse di quella che l’ha preceduta. Ormai è ufficiale: la Grande Crisi non fa sconti. Ma proprio la sua durezza suggerisce una soluzione: imparare a consumare meno (e meglio) per vivere un’altra vita, lontano dalla solitudine della pulsione consumistica.
Di primo acchito si è portati a credere che la decrescita sia una teoria economica, provocatoria o bizzarra a seconda dei punti di vista, che si Giovani senza lavoropropone velleitariamente di rovesciare il caposaldo su cui si fondano le attività produttive nelle società industriali», scrive Maurizio Pallante nell’introduzione all’ultimo libro di Bertaglio, reporter e saggista impegnato nel Movimento per la Decrescita Felice.Volume che, a partire dall’esperienza di vita dell’autore e dai problemi esistenziali dei giovani alla soglia dell’età matura, che la decrescita «non si limita a essere una critica radicale a un sistema economico e produttivo entrato in una recessione così profonda da assumere i connotati di una crisi di civiltà, ma costituisce il quadro di riferimento di un sistema di valori in grado di indicare la prospettiva di un futuro più desiderabile». Punto di partenza: l’analisi della frustrazione di fronte al modello che “usa e getta”, indifferentemente, merci e persone.
E’ il “tutto e subito” presentato come fattore di progresso, e l’esclusione dalla possibilità di avere un lavoro regolare che consenta di ottenere in modo autonomo non “il sempre di più”, ma ormai “il necessario” per vivere. Il problema comincia «quando tutti i messaggi che ricevi ti spingono a identificare il senso della vita con l’avere sempre di più», ma purtroppo tu «non sei in condizione di realizzare questo obiettivo, perché non riesci a trovare un impiego o devi accontentarti di un lavoro precario, dequalificato e sottopagato». I modelli vincenti non premiano il merito ma la prepotenza sociale. Il punto di rottura arriva quando i padri ti dicono di aver fatto più dei loro genitori, e partendo da condizioni ben più difficili da quelle in cui, grazie al loro lavoro, ti hanno fatto crescere. Così, «alla frustrazione di non riuscire a essere indipendenti si somma la distruzione dell’autostima». In tanti provano a fuggire dalla realtà, magari con lo “sballo” quotidiano per sopportare le delusioni. Rapporti superficiali, di cui fanno le spese anche i sentimenti: l’amore, che «si riduce a rapporti occasionali senza domani», e Maurizio Pallante l’amicizia, che spesso è solo un elenco di nomi su Facebook.
Negli ultimi decenni, «la diffusione dei modelli di consumo a ogni aspetto dell’esistenza e una invadente mercificazione dei processi della vita ci hanno portato a prediligere quei rapporti umani che hanno per noi una sorta di riscontro economico finale», scrive Bertaglio. «E allora, ha ancora senso chiedersi come sia possibile che un aumento esponenziale di divorzi, una diffusione senza precedenti della sensazione di solitudine, un individualismo disarmante, l’incapacità di comunicare o qualunque altro fenomeno di questo tipo (con i conseguenti abusi di droghe, alcol o psicofarmaci) possa caratterizzare gran parte del mondo degli under 40?». Non bisogna essere sociologi, dice Pallante, per capire che queste parole rispecchiano la realtà drammatica delle giovani generazioni. «Parole molto più autentiche rispetto a quelle di chi le pronuncia facendole seguire da vuote promesse di risoluzione di questo dramma». Il teorico italiano della decrescita non ha dubbi: «L’economia finalizzata alla crescita della produzione di merci è ormai giunta al suo capolinea e non consente più di soddisfare con le compensazioni consumistiche offerte alle generazioni passate il vuoto spirituale che ha creato tra gli esseri umani».
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