PERCHÉ LA POLITICA CI ANNOIA
Uno dei vantaggi di chi è pensionato è che la mattina può ascoltare qualche rassegna stampa. Per esempio, quella di Radioradicale, dalle 7,45 alle 8,45. È faziosa, dedica un tempo sproporzionato alle insignificanti vicende radicali ma, se uno la depura del superfluo e del contestabile, è una delle migliori. Personalmente la seguo da tempo immemorabile. Purtroppo, la novità è che lo faccio con sempre minore profitto: spesso, dopo un’ora, non sono in grado di dire le opinioni della stampa sui fatti del giorno. Alzheimer? Non esattamente.
Dicono che una volta un seccatore affiancò Aristotele, per la strada, e cominciò a parlargli, parlargli, parlargli, finché lui stesso ebbe un barlume di autocoscienza e chiese: “Maestro, l’annoio?”, “Nient’affatto”, rispose lo Stagirita. “È già da molto tempo che non l’ascolto più”. L’aneddoto, forse spurio, è comunque significativo. Se un fenomeno non c’interessa, i nostri sensi lo percepiscono ma il nostro cervello “non se ne accorge”. Se riusciamo a leggere in treno è perché la conversazione degli altri viaggiatori viene esclusa dal nostro cervello. Pur avendola certamente udita – le orecchie non si possono chiudere come gli occhi – neanche se interrogati dal giudice sapremmo riferire di che cosa hanno parlato. È un automatismo economico che ci impedisce di disperdere la nostra attenzione.
Con la rassegna di Radioradicale è avvenuta a poco a poco la stessa cosa. Benché il recensore – spesso Massimo Bordin – si tenga lontano dalla cronaca politicamente insignificante e scelga interviste e articoli fra i più importanti, sempre più spesso alla fine uno si accorge di ricordare ben poco.
Il fenomeno si spiega in parte con la stasi storica. Da anni ed anni in Europa non avviene niente di straordinario. Dunque da commentare c’è ben poco. La cosa più importante avvenuta nell’ultimo decennio è una crisi economica gravissima e interminabile, che procede inesorabile come un grande fiume che trascina tutto verso il basso. L’Italia non sta peggio di tutti solo perché c’è la Grecia. La situazione è pressoché tragica ma nella quotidianità si tende a dimenticarla, perché quando il peggioramento è graduale ed impercettibile, i giornali parlano d’altro e alla fine la rassegna stampa, quando va bene, sembra composta principalmente di chiacchiere da caffè: “Tizio ha detto questo”, “Caio ha detto quest’altro”, “il ministro Tal dei Tali ha promesso che”. E quando va male sono liti da cortile. E allora uno “stacca”. Che importa sapere che cosa ha detto Matteo Renzi, che cosa gli ha risposto Angelino Alfano? Preferiremmo sapere quale tassa dovremo pagare per la casa e quanto ci costerà.
Tutto ciò potrebbe suonare come una giustificazione della vacuità dei media. Dal momento che non c’è niente di serio da dire, si potrebbe concludere che la rassegna stampa non possa essere diversa. E che per conseguenza gli ascoltatori abbiano tutto il diritto di distrarsi. Purtroppo non è così. Se in fondo al percorso del fiume ci sono prima le rapide e poi la cascata, non si può continuare a navigare parlando del più e del meno e occupandosi di cose futili. I politici litigano su un miliardo di euro mentre ne mancano oltre duemila; si occupano di slot machine mentre la disoccupazione dilaga e tanta gente è alla disperazione. Si permettono di prenderci per i fondelli, parlando di una ripresa che, come avviene con i latitanti, uno ha visto dietro l’angolo, l’altro in fondo al tunnel, ma nessuno acchiappa.
I politici non sono tutti dei disonesti che pensano soltanto a incassare laute prebende, come pensano in tanti. Probabilmente non suggeriscono nessuna ricetta salvifica soltanto perché non l’hanno. Non sanno a quali condizioni dovremmo rimanere nell’euro e non sanno in quali condizioni ci troveremmo se ne uscissimo, ma dovrebbero almeno porsi il problema, e scervellarsi, e spiegare coraggiosamente al popolo la nostra realtà: non parlare dell’ora in cui Renzi convoca i suoi, e neppure dell’ultima dichiarazione estemporanea, minacciosa o benedicente che sia, del Presidente della Repubblica. Ché tanto lascerà il tempo che trova.
Se l’Italia è malata, se forse agonizza, è di questo che bisognerebbe parlare, non del colore della coperta. Forse quel giorno capiremmo persino la Rassegna Stampa.
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