Letta: “Abolizione finanziamento ai partiti è legge”. Grillo: “Restituisca 45 milioni”
L'annuncio del Presidente del Consiglio è arrivato a sorpresa di prima mattina. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto che toglie i soldi pubblici ai partiti e che corrisponde al testo già approvato alla Camera e che attualmente era in discussione al Senato. Renzi ha rilanciato su twitter la notizia. Grillo accusa: "Letta vogliamo fatti e non pugnette. Restituiscano il malloppo subito"
L‘abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è legge”. Il colpo di scena lo annuncia Enrico Letta su Twitter, con un messaggio alle 9.08. I parlamentari del Movimento 5 Stelle sono gli unici ad aver rinunciato. Il neo segretario del Partito democratico Matteo Renzi lo avrebbe voluto inserire nel mini programma di tre riforme (tra cui legge elettorale con sistema maggioritario, titolo V della Costituzione e abolizione del Senato) da presentare domenica all’assemblea nazionale del Pd. Le larghe intese, invece, erano state accusate di perder tempo. Ma Letta ha voluto essere più veloce del nuovo concorrente interno al Pd: “Era una priorità”, ha spiegato, “agire entro l’anno per evitare ulteriori rinvii. Manteniamo la promessa e ora tutto il potere è ai cittadini”.
E’ l’effetto del decreto sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto, varato dal consiglio dei ministri. Il testo del decreto riproduce, con alcune correzioni, il disegno di legge approvato a ottobre alla Camera, ma da allora fermo al Senato. La soppressione sarà totale dal 2017, al termine di tre anni di regime transitorio. Nel 2014 infatti i finanziamenti pubblici verranno ridotti del 25%, nel 2015 del 50% e nel 2016 del 75%. I risparmi di 27,4 mln nel 2015. Al termine di una fase transitoria, in cui i rimborsi elettorali verranno progressivamente ridotti, dal 2017 la vita delle forze politiche dipenderà soltanto dalle erogazioni dei privati, anche attraverso la destinazione ad esse del 2 per mille. “Ma non c’è nessuna intenzione di fregare i cittadini. Se non si specifica la destinazione, i soldi restano allo Stato”. E non vanno automaticamente alle formazioni politiche. Il testo adottato è quello che era già stato approvato alla Camera e attendeva il via libera del Senato. “C’è inoltre”, aggiunge il premier, “l’obbligo di certificazione esterna dei bilanci dei partiti. Negli anni scorsi uno dei grandi probemi è stata l’opacità dei bilanci, questo meccanismo molto stringente renderà impossibile che si torni agli scandali degli anni scorsi”.
Il governo canta vittoria. Sempre su Twitter esulta il ministro delle Riforme Gaetano Quagliarello: “E una è andata. Ora avanti con la riduzione del numero dei parlamentari ecco i fatti”. Entusiasta anche Angelino Alfano che, sempre sul social network, scrive: “Impegno mantenuto”. Pochi festeggiamenti per Beppe Grillo che, sui social network dice: “Basta con le chiacchiere Enrico Letta. Restituisci ora 45 milioni di euro di rimborsi elettorali del Pd a iniziare da quelli di luglio. Vogliamo fatti non pugnette”. Il riferimento è all’ultima tornata di rimborsi. Il decreto infatti, in vigore da gennaio 2014, sia effettivo a partire soltanto del 2015. E i parlamentari grillini alla Camera rilanciano: “Questa legge è una presa in giro sfacciata e colossale. Consegna la politica nelle mani dei grandi potentati economici, delle lobby e delle associazioni criminali che sono sempre alla ricerca di nuovi canali di riciclaggio del denaro sporco”. I 5 Stelle mettono in discussione alcuni punti: “Ci sono partiti che possono iscriversi nell’apposito registro e accedere al finanziamento e partiti o movimenti politici che non possono. A pagare continua a essere lo Stato: entrando in vigore nel 2014, i partiti continuano a ricevere dallo Stato 91 milioni di euro il prossimo anno; 54 milioni 600mila nel 2015; 45 milioni e mezzo nel 2016 e circa 36 milioni 40 mila nel 2017. A queste somme si aggiungono le donazioni dei cittadini così si fa ‘stecca para pé tutti’. Le minori entrate nelle casse dello Stato devono essere coperte da quelli che non donano con le solite tasse. Non solo: lo Stato istituirà un ‘fondo apposito’ che coprirà tutte le donazioni che i cittadini si guarderanno bene dal fare. Sia mai che i partiti ci rimettano”.
Sembrava il provvedimento destinato a non essere mai approvato, tra continui ritardi e prese di posizione. E’ bastato l’arrivo di Matteo Renzi e le promesse di rinuncia ai finanziamenti ai partiti con un atteggiamento più da candidato premier che da neo segretario del Partito democratico a convincere Letta di dover fare in fretta. Una decisione che ha lasciato a bocca aperta i renziani e ha fatto festeggiare l’apparato: “Dice il saggio”, ha scritto su twitter il tesoriere uscente del Pd, Antonio Misiani, “chi vuole sorprendere con le sorpresine rimane sorpreso da una sorpresona…”. Ma le sorprese rischiano di essere per il partito prima di tutto: in discussione ci sono 200 dipendenti e di questi 157 sono direttamente a carico della struttura per un costo di 10 milioni di euro totali. Senza dimenticare la sede del Nazareno (600mila euro), il quotidiano Europa e Youdem tv. Disorientati i sostenitori di Matteo Renzi, già pronti alla sfida a Grillo annunciata per domenica 15 dicembre. Ma subito il segretario ha rilanciato l’annuncio di Letta su Twitter e i suoi hanno festeggiato l’effetto “renziano” sul governo: “L’abolizione”, ha commentato il portavoce Lorenzo Guerini, “va nella direzione da noi auspicata. Era una nostra priorità e possiamo giustamente parlare di un positivo effetto Renzi sull’esecutivo. Possiamo dire di aver raggiunto un primo importante risultato”.
Un mezzo colpo di scena, anche se per accelerare i tempi è stato necessario agire ancora una volta per decreto del governo. Una possibilità che Letta aveva già minacciato l’estate scorsa: “Se il Parlamento non trova un accordo, procederemo con la decretazione d’urgenza”. Per quanto riguarda l’abolizione del finanziamento pubblico, infatti, una legge c’era già: approvata da una parte del Parlamento (la Camera), vegetava al Senato in commissione Affari Costituzionali. L’intervento dell’esecutivo è da considerarsi come un ulteriore strappo nei confronti del Parlamento. L’ultimo stop al provvedimento sembrava essere arrivato a novembre scorso, dopo che il procuratore del Lazio della Corte dei Conti, Raffaele De Dominicis, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale di tutte le leggi sul finanziamento pubblico emanate dal 1993 (anno del referendum abrogativo votato dal 90% degli italiani per cancellare la possibilità che la politica fosse finanziata dai contribuenti) a oggi. L’idea iniziale sembrava quella di aspettare l’opinione della Consulta in merito alle leggi precedenti.
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