Amoroso: via l’euro, se vogliamo democrazia in Europa
Scritto il 02/12/13
Monete sovrane svalutabili, o sarà la fine: dobbiamo uscire immediatamente dall’euro, per salvare la nostra economia e ripristinare la democrazia in Europa. Lo sostiene l’economista italo-danese Bruno Amoroso: l’euro non è che un dogma smentito dai fatti, mentre in realtà rappresenta un fattore devastante di disgregazione. Prima ha spaccato l’Europa in due, opponendo i 17 paesi dell’Eurozona ai 10 rimasti fuori, e ora ha diviso la stessa Eurozona, scavando un solco incolmabile tra nord e sud. La disastrosa moneta della Bce? Con la sua rigidità «è la causa prima dell’attuale situazione di crisi del progetto europeo». Un piano oligarchico, i cui gestori oggi hanno “gettato la maschera”: il rigore promosso dalla Troika formata da Bce, Fmi e Ue non è altro che l’esecuzione, in Europa, dell’ideologia neoliberista imposta dalla globalizzazione, che comprime i diritti del lavoro e mortifica lo Stato sovrano, disabilitandolo come garante dei cittadini. Fiscal Compact, Patto di Stabilità: sono gli strumenti con cui l’oligarchia finanziaria ha deciso di metterci in crisi.
O ci teniamo l’euro, ripetono gli eurocrati, o precipiteremo in una devastante crisi economica e sociale. E’ ridicolo: «Noi siamo già dentro la più grave crisi economica e sociale del dopoguerra», innescata proprio dalla moneta della Bce. «L’euro è divenuto uno degli strumenti che paralizzano le possibilità di risposta e di politiche economiche diverse», spiega su “Sinistra in rete” il professore dell’università di Roskilde, allievo di Federico Caffè. Attenzione: l’euro-rigore non è frutto di politiche “sbagliate” o di passaggi necessari verso una maggiore efficienza dei mercati e una ripresa dei sistemi economici, ma è «una vera e propria attività di rapina dei risparmi dei cittadini europei e di esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud». Non errore, ma dolo. Ed è un piano che parte dal lontano, aggiunge Amoroso, citando le indagini ufficiali svolte negliUsa sulla crisi finanziaria del 2008. «Non si è trattato di casi di avidità personale e corruzione, ma del fatto che dagli anni ‘80 sono state rimosse gradualmente tutte le forme di regolamentazione introdotte dopo la crisi degli anni ’30, senza introdurne di nuove».
L’élite finanziaria ha preso il potere, e in Europa lo strumento di questo super-potere si chiama euro: gli Stati costretti ad acquisire la moneta attraverso il sistema bancario, i debiti pubblici controllati da investitori esteri, le agenzie di rating all’improvviso promosse come uniche regolatrici dei nuovi strumenti finanziari, inclusi i titoli tossici. «Al contrario degli Stati Uniti, né l’Italia né l’Unione Europea hanno mai investigato quegli stessi eventi e i responsabili sono anzi stati promossi a incarichi di governo e al vertice Bce». Anziché cementare la coesione interna, l’euro ha prodotto profonde lacerazioni, facendo circolare veleni, rappresentati da espressioni del tipo “noi non siamo come i greci”, “l’Italia è superiore alla Spagna”. Bruxelles si finge democratica: «L’affermazione continua di democrazia e di diritti dei quali sono pieni i trattati e documenti dell’Ue non ha alcun riscontro nelle scelte politiche e istituzionali adottate da Maastricht in poi». La governance europea sconta un gravissimo “deficit democratico”, oltre che sociale, ma partiti e sindacati sembrano non accorgersene, ormai «ridotti al ruolo di valletti del potere».
Per Amoroso, bisogna tornare a un sistema come quello dello Sme, basato sulla cooperazione tra le monete europee: se il “serpente monetario europeo” limitava al 2% la fluttuazione dei cambi, anziché aumentarne l’elasticità – come apparve consigliabile – adottando l’euro si è compromessa irrimediabilmente la capacità della nostra economia di adattarsi al mercato. Tornare al sistema monetario europeo, aumentando fino al 15% la sua elasticità nei cambi, secondo Amoroso significa risollevare automaticamente il SudEuropa, che potrebbe coalizzarsi in modo confederale formando un cartello come l’attuale blocco tedesco (Germania più Olanda, Austria e Finlandia) o quello dei paesi baltici. Niente di straordinario, cambiare si può: l’ha fatto l’Irlanda, abbandonando senza scossoni l’area della sterlina, e ci è riuscita pure la Cecoslovacchia, che si è sdoppiata – senza traumi – in due entità nazionali distinte, con due diverse monete, senza uscire dall’Unione Europea. Idem, in teoria, per l’Italia di domani: potremmo essere come la Gran Bretagna e gli altri paesi che stanno nell’Ue ma non nell’Eurozona. «Le proposte alternative e di buon senso esistono», conclude Amoroso, e possono essere adottate rapidamente per «rimediare al clamoroso passo falso fatto con l’introduzione affrettata dell’euro».
Impossibile aspettarsi un’autocritica dagli eurocrati: il loro non è un “errore”, ma un piano prestabilito. «Il meccanismo messo in moto con l’euro è l’atto finale di una riforma dei sistemi finanziari e bancari, e della trasformazione del modo di produzione capitalistico introdotta con la globalizzazione, che ha potentemente contributo alla creazione di un nuovo potere in Europa affermatosi con grande successo». E’ evidente: «Sono riusciti in pochi decenni a mettere fuori gioco ogni forma di pensiero e di politica sociale e di riforma dei sistemi europei», costruendo un sistema di produzione e di finanza «che sorregge il nuovo modello dieconomia introdotto con la globalizzazione dagli anni ’70», cioè «un modello di “apartheid globale”», la cui sostenibilità economica è data dalla drastica «restrizione delle aree e delle persone da includere nel modello di società e economia previsto». Solo le forze che si oppongono ai diktat della Troika, conclude Amoroso, potranno organizzare una riconversione democratica dell’Ue, che in primo luogo faccia piazza pulita della “camicia di forza” dell’euro, e che pretenda una radicale riscrittura dei trattati-capestro, a cominciare da quello di Maastricht.
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