Enrico Letta e la Germania
di Alfiero Grandi
Enrico Letta ha affermato che dopo l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza l’Italia si avvicina al modello di grande coalizione tedesco. Dunque è importante capire cosa si propone di fare la grande coalizione tedesca, che confermerà la leadership di Angela Merkel. Anche se non è ancora del tutto scontato che tutto andrà in porto, visto che la Spd sottoporrà nei prossimi giorni agli iscritti la decisione attraverso un referendum. Questo metodo di decisione è interessante.
L’accordo è molto ampio e dettagliato e ricorda da vicino l’ampiezza e il dettaglio del programma del 2° Governo Prodi che troppi hanno deriso, ovviamente solo dopo la sua caduta. In realtà fissare con precisione i punti di un accordo è una buona regola e su questo i partiti tedeschi indicano un precedente di valore. Naturalmente a condizione di puntare sulla chiarezza, perché le ambiguità non hanno bisogno di tante parole. Un programma puntuale, per di più, offre la possibilità di dare un giudizio fin d’ora e la sintesi più efficace è quella di Helmut Schmidt, già cancelliere socialdemocratico, che ha detto: “il tema Europa non era soltanto cancellato dalla campagna elettorale ma anche dai negoziati sul governo ora conclusi, hanno parlato di salario minimo o di altri temi secondari, non del grande tema europeo”.
In effetti la Spd riporta alcuni risultati importanti come il salario minimo a 8,50 euro l’ora, livello stellare per l’Italia, la doppia cittadinanza per i figli degli immigrati, scelta che per noi continua ad essere un miraggio, nuovi investimenti per rafforzare il sistema economico tedesco e anche consentendo a chi ha 63 anni e 45 di contributi di andare in pensione. Quest’ultima decisione va chiaramente contro la tendenza imposta nel resto dell’Europa, Italia compresa, ancora alle prese con parte del problema “esodati”. Senza dubbio sul piano economico e sociale per il sistema tedesco ci sono novità introdotte sotto la spinta della Spd, purtroppo sono risultati che si fermano ai confini tedeschi.
“Plasmare il futuro della Germania” è il titolo enfatico del documento pogrammatico del nuovo governo. Il titolo dice con chiarezza che il punto di riferimento fondamentale è la Germania. Di più: agli elettori tedeschi ci si rivolge con il tono di chi non chiede sacrifici ma semmai promette stabilità e miglioramenti. Se qualche partito avesse parlato ai tedeschi con i contenuti e i toni a cui sono stati costretti altri paesi, Italia compresa, sarebbe stato cancellato dalla scena. Anche tenendo conto che il populismo insidia la Germania come altri paesi, quest’argomentare tutto centrato sul miglioramento endo-tedesco è preoccupante.
Schmidt ricorda quando accettò l’ingresso della Grecia nell’Unione Europea perché lo chiedeva la Francia e soprattutto perché era uscita dalla dittatura dei colonnelli conquistando la democrazia. Una scelta eminentemente politica.
Il programma del nuovo governo della Germania invece non ha nessun orizzonte europeo di questo livello. Ognuno deve arrangiarsi. Ciò che va bene per la Germania va bene per l’Europa, anche se non è così. Anche gli impegni programmatici che potrebbero essere riferimenti per l’Europa sono collocati in un’ottica nazionale, non europea. Del resto buona parte del resto dell’Europa non potrebbe permetterseli.
Per questo le vittorie parziali della Spd avvengono all’interno della dominanza strategica della Cdu-Csu perché per l’Europa prevedono la continuità della linea precedente e in particolare nessun disegno di superamento della crisi con massicci investimenti europei e tanto meno con modalità di gestione europea del debito pubblico dei paesi più in difficoltà. La Germania punta ad essere più competitiva e a stare meglio, gli altri paesi europei, soprattutto quelli più in difficoltà, debbono pensare a sé stessi, fare i compiti a casa come recita la pessima formula mutuata da Monti, che dava la plastica idea che c’era chi dettava le regole e chi le doveva soltanto applicare per farsi accettare.
L’anziano ex cancelliere Schmidt propone addirittura un putch del parlamento europeo, che dovrebbe autoassegnarsi il compito di un rilancio dell’Europa, contro il Consiglio dei Ministri d’Europa, facendosi quindi anche carico dei paesi più in difficoltà, della disoccupazione, in particolare giovanile, considerata una mostruosa iniquità che porterà guai seri all’Europa e alla sua democrazia.
Il messaggio di Schmidt è importante perché guarda alla future elezioni europee e propone che il parlamento europeo riprenda un vigore che oggi non ha, per farsi carico delle istanze delle popolazioni europee, delle loro ansie. In questo modo contrastando i populismi, e correggendo radicalmente la cecità dei governi, a partire da quello tedesco, abbarbicati alla fallimentare linea dell’austerità.
Per questo l’affermazione di Letta dovrebbe essere per lo meno più prudente. L’accordo che si profila per costituire il nuovo governo tedesco non promette nulla di buono in quanto conferma l’egemonia conservatrice che ha il suo centro nelle politiche di austerità da applicare nel resto dell’Europa. Certo le novità sociali per i tedeschi possono essere un punto di riferimento anche per gli altri paesi che però in questo quadro non se li possono permettere, proprio a causa delle politiche di cieca austerità.
L’Europa rischia, i suoi legami di solidarietà restano allentati, potrebbero crescere se il paese più forte va per conto suo.
Anche i legami internazionali di cui l’Spd è un perno rischiano perché questo accordo non parla all’Europa né al mondo, se non da un’ottica tedesca.
Non si poteva fare di più ? I giudizi severi di Schmidt e di Fischer portano a pensare che l’attenzione ai problemi nazionali abbia prevalso, anche nella Spd, con qualche risultato in cambio della conferma dell’egemonia conservatrice in Europa. Questo non è positivo per l’Europa.
L’Italia dovrebbe percorrere vie diverse cercando di creare un fronte dei paesi che non sono d’accordo o soffrono per la cieca austerità, anziché continuare a cercare la benevolenza per i compiti a casa svolti. Benevolenza che per di più non c’è.
Per questo l’accordo raggiunto in Germania non è una notizia che può rincuorare. Tanto più che quell’accordo varrà per 4 anni e dal 2015 i paesi più deboli e indebitati come l’Italia dovranno iniziare a diminuire il debito di 50 miliardi di euro all’anno, come previsto dagli accordi ciecamente accettati dal nostro paese, e con questi chiari di luna purtroppo c’è poco da farsi illusioni.
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