La grosse koalition nelle urne d’Europa
di Roberto Musacchio
Quasi nelle stesse ore in cui Berlusconi teneva il comizio con cui sanciva l’uscita dalla maggioranza della “nuova-vecchia” Forza Italia, la signora Merkel illustrava in conferenza stampa l’accordo raggiunto per una grosse koalition tra Cdu e Spd in Germania. I due eventi, non solo per la sintonia temporale, non possono che essere letti insieme e, anche per questo, in un quadro che si incrocia nella dimensione europea. C’è invece, in particolare in Italia, una lettura nazionale dei fatti politici che ormai è sempre più miope.
Guarda a ciò che sta appiccicato sotto il naso ma non si accorge di quello che esiste aldilà delle stanghette degli occhiali. E’ senz’altro vero che Berlusconi abbia reagito alla sua,sacrosanta, decadenza dal senato e i giornali hanno enfatizzato il suo bisogno di arrivare presto alle urne per riproporsi nella sfida alla leadership del Paese. Come non c’è dubbio che nell’accordo tra Cdu e Spd l’introduzione del salario minimo è l’elemento su cui si farà convergere l’attenzione, anche per convincere una base Spd assai riluttante a ratificarlo nel referendum dei prossimi giorni (come questo salario minimo stia insieme poi ai minijob e alle leggi sulla precarizzazione del lavoro come la Hartz iv poi è un altro tema che non tratto in questo articolo ).
Ma se si alza appena un poco lo sguardo si vede che, in attesa di capire se ci saranno nuove votazioni in Italia, cosa che appare molto consegnata per adesso alla disputa di egemonia tra Letta e Renzi, intanto a brevissimo, dal 22 al 25 maggio prossimi si svolgeranno le elezioni europee che saranno un momento particolare. Probabilmente le prime in cui il tema dell’ Europa potrà essere avvertito dalla grande maggioranza dei cittadini come quelle vero perché a forza di trincerare tutte le scelte dietro la formula “ce lo chiede l’Europa” la domanda sul senso di questa Europa è ormai penetrata. Per Berlusconi dunque l’occasione di dare sfogo a quella sua vena di critica radicale dell’attuale Bruxelles che ha sempre serpeggiato nella sua politica convivendo a fatica con il bisogno di essere accettato nel salotto buono dei popolari europei che del resto non lo hanno mai amato.
E, sempre alzando lo sguardo, si vedrà che nelle dichiarazioni della Merkel, e nel programma siglato da Cdu e Spd, la continuità con le attuali politiche imposte dalla Cancelliera alla Unione è pressoché totale. Il no agli eurobond e alla socializzazione, anche parziale, del debito, così come la riaffermazione della assoluta centralità degli equilibri di bilancio, stanno a confermarlo. Da questo punto l’accordo di Grosse Koalition è la conferma di tutto ciò che ha determinato l’egemonia della Cancelliera in questo decennio fondamentale per il suo Paese e costituente per la nuova Europa, quella che chiamerei “Europa reale”. Il paternalismo autoritario della Merkel, intorno alla giaculatoria del debito, ha messo a regime l’intera Europa, i suoi cittadini colpevoli di debito, compresi i cittadini tedeschi, cui però, alla fine e in “premio” dei sacrifici fatti si accorda qualche beneficio. Poco conta che i sacrifici, assai più terribili, imposti agli altri, ai Greci e ai Portoghesi ad esempio, ma anche agli Italiani, non abbiano sortito alcun effetto ed anzi abbiano precipitato loro e i loro Paesi in condizioni peggiori di quelle di partenza delle misure di austerità.
Cogliere questo punto significherebbe disvelare cosa c’è dietro il mantra della austerità. L’edificazione, appunto, dell’Europa reale, a forte matrice tedesca ma in realtà costituzionalmente neoliberista. Basta vedere i consultivi che pure Bruxelles continua a sfornare dei deficit e dei dislivelli import-export, ma anche delle condizioni strutturali degli apparati produttivi e dei sistemi bancari, per averne la più clamorosa delle conferme. Non solo i differenziali non vengono sanati da politiche di coesione, ma addirittura sono esaltati da un modello che fondandosi sul rapporto tra dumping esportativo e controllo finanziario entrambi di marca tedesca fa si che i differenziali si accrescano e nel frattempo intere aree, quelle più colpite dalle politiche di austerità, si desertifichino delle loro capacità produttive e vengano sussunte in altre. In tal senso un recente rapporto annuale sullo stato della competizione nella Unione, a cura della Commissione, mostra con chiarezza entrambi i processi in atto.
Ci si chiede da tempo come abbiano potuto le borghesie europee allinearsi alla matrice tedesca. E la risposta sta in quella costituzionalizzazione neoliberista che la accompagna e che ha consentito in questi anni uno smantellamento sistematico e senza precedenti degli elementi di diritto del lavoro e di ruolo del pubblico in relazione al sociale contenuti nelle costituzioni formali e sostanziali del compromesso democratico. Costituzioni formali e sostanziali non a caso poste nel mirino e abrogate di fatto in larga parte a colpi di Fiscal Compact e di Troika. Questo non toglie che contrasti latenti, o anche espliciti, siano all’ordine del giorno e pronti ad esplodere. Penso in particolare ad una corrente anglofila, che guarda direttamente al modello USA, che attraversa Paesi e schieramenti, fino probabilmente alla nuova idea di partito democratico renziana. Che la Merkel sia politica avvertita, anche di questo, lo mostra il fatto che per il suo nuovo governo ha proposto la ratifica dell’accordo di libero scambio con gli USA.
Ciò che non trova risposte, se non assai dure da accettare, è cosa porta la parte preponderante delle sinistre europee, a fare da comprimari a questo gioco. La dinamica dell’accordo tra Cdu e Spd è purtroppo esemplare. Il successo elettorale della Merkel, e la sconfitta della Spd, sono precisamente figli di questa egemonia della Merkel sullo scacchiere principale, quello europeo. E’ grazie a questa egemonia che la Cancelliera ha potuto accrescere il consenso in casa stimolando paure e blandizie, sfondando all’Est e tra gli occupati, sussumendo alcune delle stesse proposte sociali che venivano dagli altri campi. Con la Grosse Koalition conferma appieno questo schema: tiene per sé, e saldamente, il timone e manovra un po’ sui ritmi di chi sta ai remi. Sapendo che poi ci sono altri rematori, quelli imbarcati sulle navi che seguono, affannosamente, la ammiraglia, che dovranno sfiancarsi.
Per chi ha seguito le lunghe e dettagliate trattative, cosa possibile sui media di altri Paesi e assai meno in Italia, una commissione paritetica di 150 persone riunita permanentemente per settimane e che entrava nel dettaglio, ha colpito come questo gioco fosse chiaro ma accettato da tutti. E colpisce che traspaia, più o meno formalmente, una propensione delle parti prevalenti dei sindacati a sdoganare l’accordo influendo anche sulla ritrosia di molta base della Spd, espressa invece anche nelle parole dell’anziano Gunter Grass.
Colpisce tutto ciò perché mostra a che livello, disastroso, siano arrivate le capacità di quelli che furono i più grandi movimenti politici e sindacali del mondo, quelli europei, di leggere la realtà e di darsi un minimo di unità, che dovrebbe poi essere la loro ragione storica fondativa. Pensare ancora che dietro la locomotiva tedesca, oggi anche con il macchinista di riserva, riparta il treno di una Europa sociale, magari quella a doppia velocità, con più politica e più sociale nell’area euro, cara a una parte significativa dei socialisti europei, appare pura velleità. Bastano le parole della Merkel, che ritiene questa maggiore coesione di questa area funzionale solo al maggior controllo dei bilanci, a confermarlo.
Ecco dunque che le elezioni europee arriveranno in questo quadro. Eugenio Scalfari torna a proporre che lo spazio per chi si pensa progressista è quello confinato dentro l’asse tra Letta e la nuova Grosse Koalition come strumenti della transizione. Questa lettura mi appare priva di elementi di realtà, naturalmente se si pensa a una idea progressista. Il fortino dell’Europa reale sarà purtroppo presidiato proprio da queste forze e senza alcuna idea di transizione. Ci sarà un governo dominante, quello tedesco. Un candidato alla Presidenza della Commissione, quello dei socialisti europei, che viene dal partito di complemento di quel governo e che dovrà spiegare di essere l’alternativa alla sua Cancelliera. E soprattutto dire come si fanno il salario minimo e il reddito di cittadinanza con le politiche di austerità. Ci saranno poi le forze delle destre che si scateneranno e che saranno contrastate dal fortino assediato in nome della lotta ai nuovi barbari.
Un quadro francamente desolante. In cui per fortuna può irrompere una vera diversità. Anzi due. La prima è che i tantissimi movimenti che hanno, loro sì, provato a fare l’Europa, e non l’Europa reale, colgano l’occasione di elezioni in cui di Europa si interrogheranno tutti per proporre la loro lotta di liberazione da quello che è diventato un vero e proprio regime e le loro idee di costituzionalizzazione dell’Europa, il reddito di cittadinanza, il salario e il welfare europei, la cittadinanza di residenza per i migranti, la democrazia europea. La seconda sta nella disponibilità a candidarsi data dal Alexis Tsipras, il giovane leader di Syriza, il partito della resistenza greca alla austerità, che rappresenta, simbolicamente e politicamente, una speranza.
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