Spagna, altro che il rilancio dell’occupazione. Crescono solo i mini-lavori
In due anni le politiche sul lavoro di Mariano Rajoy, che prevedono licenziamenti più facili e meno garanzie, hanno ottenuto due risultati: un aumento della disoccupazione e una maggiore richiesta di impieghi a ore. Dove spesso, denunciano i sindacati, "si lavora molto più di quello che prevede il contratto e si è pagati a nero"
di Silvia Ragusa | 23 febbraio 2014
C’era una volta la riforma del lavoro spagnolo, modello per gli altri Paesi in crisi che, di quel sistema di regole che rende il mercato del lavoro più flessibile, hanno parlato e parlano con ammirazione. Anche in Italia, le regole varate dal governo Mariano Rajoy in tema di welfare e occupazione si sono di tanto in tanto affacciate sul tavolo del dibattito, portate da più parti come esempio da seguire. Eppure, a due anni dall’introduzione del pacchetto di misure, i numeri parlano chiaro. E non sono positivi. Qualche giorno fa a fare un bilancio definito “poco incoraggiante” era stata la Fondazione delle casse di risparmio: se idisoccupati iscritti agli uffici di collocamento nel 2012 erano 4.599.829, adesso sono 4.814.435, con un aumento di 241.606 persone, cioè il 4,6 per cento in più. Il numero degli iscritti alla Previdenza sociale, poi, si è ridotto di oltre 700mila persone.
A Madrid insomma, sotto l’urto della crisi, l’idea dei licenziamenti facili e di meno garanzie, in cambio di più occupazione non sta funzionando. Anzi, c’è di più: impazza la moda dell’impiego a ore. Secondo i dati dell’Encuesta de población activa (Epa), lo studio statistico sul mercato del lavoro elaborato dall’Istituto nazionale spagnolo (Ine), dei 14,7 milioni di contratti che sono stati stipulati nel 2013, quasi 5,3 milioni, cioè il 36 per cento, erano a ore. Manodopera precaria a prezzo stracciato (circa 400 euro al mese) che 36 spagnoli su 100 hanno dovuto accettare. Così se nel 2013 si sono persi 669mila posti di lavoro full time, imini jobs sono aumentati di 137mila unità. Nel quarto trimestre dell’anno scorso l’Epa ha registrato 2.739.100 occupati con un lavoro a ore, mezzo milione in più rispetto all’inizio della crisi economica, a fronte della scomparsa di più di 4 milioni di lavoratori con contratto a tempo pieno.
Il punto è che, nonostante la Spagna si collochi sotto la media europea per l’impiego a ore (Olanda, Norvegia e Germania in testa) la differenza di base è sostanziale: mentre in questi Paesi c’è una richiesta specifica di questi tipi di contratti, soprattutto da parte di giovani studenti o di donne che decidono di lavorare solo qualche ora al giorno per arrotondare le entrate in famiglia, a Madrid, come denuncia Paloma López, segretaria per il lavoro del sindacato Comisiones Obreras, più del 60 per cento degli spagnoli che ha questo tipo di contratto dice che non ha avuto altra scelta. In sostanza non c’è una domanda reale, visto che la maggior parte dei disoccupati cerca un contratto full time. Ma dei contratti di lavoro di una volta non c’è traccia e i mini jobs diventano spesso l’unica entrata per intere famiglie. Dei 2,7 milioni di occupati che lavorano a ore infatti il 63 per cento (più di 1,7 milioni di persone) ha spiegato di aver accettato un mini job per necessità. E la cifra, secondo l’Epa, è aumentata di 200mila persone solo nell’ultimo anno.
Insomma il lavoro in Spagna è sempre più precario, anche a suon di decreti. Il governo Rajoy ha bisogno di risultati in tempi rapidi e i mini jobs sono diventati l’obiettivo principe. Tant’è che l’ultimo provvedimento, varato in tutta fretta a Natale, rende più interessante per gli imprenditori questa modalità di contratto. Un decreto che, secondo la sindacalista López, si sta trasformando in “un contratto a chiamata” verso unlavoro precario a tempo. “La cosa più grave è che abbiamo visto che questi impiegati fanno molte ore in più rispetto a quelle stabilite per contratto. Ore che vengono pagate in nero e senza versare un centesimo di contributo previdenziale”, ha aggiunto.
@si_ragu
fonte : ilfattoquotidiano.it
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