Siamo spettatori universali: il dissolvimento delle democrazie in oligarchie mediatiche è all'opera non solo in Italia ma in tutto il mondo. H.G. Gadamer
spirito critico
PENSATOIO DI IDEE
mercoledì 31 luglio 2013
DECRESCITA FELICE
Decrescita felice parte 1/4
Decrescita felice parte 2/4
Decrescita felice parte 3/4
Decrescita felice parte 4/4
RIFORMA DELLA LEGGE ELETTORALE
Legge elettorale, sì all’iter d’urgenza: “Riforma al voto entro ottobre”
La conferenza dei capigruppo dà l'ok all'unanimità: il testo resterà in commissione al massimo per un mese. Letta: "Ora ognuno si prenda le proprie responsablità: io sono No Porcellum". Cicchitto: "Il Pd ha fretta di andare alle elezioni". Stessa richiesta presentata al Senato
La riforma della legge elettorale approderà a settembre alla Camera e sarà votata entro i primi di ottobre: è stata infatti approvata all’unanimità la dichiarazione di urgenza dalla conferenza dei capigruppo, in base alla quale il testo resterà in commissione al massimo per un mese. L’impegno dei capigruppo è far giungere il testo in Aula a settembre e votarlo entro i primi di ottobre. La questione è stata posta in commissione da parte del capogruppo di Sinistra ecologia e libertàGennaro Migliore. “Soddisfazione” per l’unanimità tra i capigruppo per la dichiarazione di urgenza è stata manifestata, al termine della riunione, dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini. “Ottima la procedura d’urgenza decisa alla Camera per la legge elettorale – ha twittato il presidente del Consiglio Enrico Letta- Ora ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità. Io sono ‘No Porcellum’”. La stessa procedura sarà proposta anche al Senato dal Pd e da Sel, a meno a quanto dicono i democratici Isabella De Monte, Andrea Marcucci, Vannino Chiti,Stefano Esposito e i vendoliani Loredana De Petris, Alessia Petraglia, Massimo Cervellini ePeppe De Cristofaro. “Depositeremo nelle prossime ore la richiesta al presidente Grasso – spiegano i parlamentari – per riunire tutti i disegni di legge presentati dall’inizio della legislatura e velocizzare i lavori della Commissione Affari Costituzionali e dell’aula”. “Il nostro obiettivo è abrogare il Porcellum in tempi rapidissimi”, concludono.
Il primo firmatario della proposta a Montecitorio è Roberto Giachetti (Pd), sostenuto però da parlamentari di quasi tutti gli schieramenti (c’è anche Antonio Martino, Pdl). “Con la deliberazione della urgenza deliberata all’unanimità dalla Conferenza dei capigruppo – dichiara Giachetti – la riforma elettorale come norma di salvaguardia sarà al primo punto dell’agenda politica e parlamentare da settembre. Questo è un primo importantissimo risultato che fino a ieri sembrava impossibile. Resto convinto che, in attesa della conclusione del percorso delle riforme costituzionali a cui dovrà essere legata la nuova e definitiva legge elettorale, il ritorno al ‘Mattarellum‘ sia la soluzione migliore e più rapida per il varo della legge elettorale ‘ponte’”. “Ciò detto una cosa sarà chiara nel confronto parlamentare che ci attende – conclude Giachetti – Si misureranno due opzioni: l’abolizione del ‘Porcellum’ o la sua correzione. Su questo sarà, come giusto, il Parlamento a decidere”.
Ma la procedura d’urgenza crea già qualche malessere nella maggioranza: “Il fatto che il Pd chieda la procedura d’urgenza per l’approvazione di una nuova legge elettorale – dice Fabrizio Cicchitto– vuol dire che ha una gran fretta a fronte dell’ipotesi fin ora affermata che il governo Letta duri i famosi 18 mesi. Poi la scelta del giorno per avanzare questa richiesta apre ulteriori interrogativi”. Tuttavia il sì in conferenza dei capigruppo è arrivato anche dal Pdl. Ma Francesco Paolo Sistoinsiste: “Se si avvia un percorso rapido verso una nuova legge elettorale vuol dire una mancanza di fiducia nell’investimento delle riforme”.
Intanto Montecitorio ha fissato la discussione di altre leggi. Il 2 agosto sarà esaminata quella sul finanziamento pubblico ai partiti (con votazione tra l’8 ed il 9 agosto). Dal 5 agosto inizierà la discussione sulle norme per il contrasto dell’omofobia (votazione tra l’8 ed il 9 agosto). Il disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa sarà all’esame dell’Aula dal prossimo 5 agosto (voto ancora tra l’8 e il 9), mentre lo svuotacarceri sarà esaminato il 2 e sarà votato il 5 agosto. Infine ildecreto lavoro e Iva (appena approvato al Senato sarà esaminato il 6), mentre il 7 sarà all’ordine del giorno il decreto “del fare”.
L'ESPLOSIONE DEL DEBITO PUBBLICO, di Gianluca Dipierri
IL “DIVORZIO” TRA BANCA D’ITALIA E TESORO E L’ESPLOSIONE DEL DEBITO PUBBLICO
di Gianluca Dipierri , 31.07.2013
Nei principali programmi di attualità, di informazione politica ed economica si sente molto spesso parlare della simpatica storiella del problema del debito pubblico come conseguenza degli enormi sprechi di spesa pubblica che secondo i vari commentatori (ahimè sia di destra che di sinistra) sono la sola causa del suo enorme accumulo nei vari decenni.
L’Italia non è di certo il paese “modello” per quanto riguarda l’efficienza nella gestione delle risorse pubbliche. Perciò è inutile soffermarsi sui soliti argomenti tipo “l’enorme debito pubblico è da attribuire alla corruzione, ai magna magna a destra e a sinistra, i costi abnormi della politica, le auto blu, gli sprechi ecc.” che tutti ben conoscono ma che non forniscono alcuna valida spiegazione scientifica a tale problema. Per questo motivo è necessario soffermarsi su tesi che il mainstream dimentica (volutamente) di evidenziare e che permettono di dare una spiegazione scientificamente provata da molti economisti sull’ esplosione del debito pubblico in Italia. Il 1981 ha rappresentato un anno fondamentale per quello che riguarda la storia della Repubblica italiana. Infatti è l’anno del cd. “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
In cosa consiste questo “divorzio”?
Semplicemente la Banca d’Italia venne sollevata da qualsiasi obbligo d’ acquisto di titoli di debito pubblico italiano. La Banca d’Italia fu così resa “indipendente” dal governo e quest’ultimo non poteva finanziare parte dei disavanzi di bilancio emettendo moneta. Per poter finanziare il debito pubblico l’Italia dal quel momento dovette ricorrere esclusivamente ai mercati. Il problema per le finanze pubbliche iniziò proprio da li. Se prima l’Italia poteva finanziare il proprio debito (anche ricorrendo ai mercati) a tassi d’interesse guidati dall’autorità monetaria (Banca d’Italia), da quel momento in poi i tassi di interesse li decidevano i mercati. Ad ogni asta i tassi d’interesse erano (e sono ancora oggi) in balia del giudizio che i mercati esprimevano nei riguardi dell’Italia. Infatti dal 1981 al 1994 il debito pubblico raddoppiò passando dal 60% al 120% del Pil.
Ma perché in poco più di un decennio il debito pubblico è raddoppiato?
La risposta è da ricercare nella spesa per interessi che l’Italia ha iniziato a pagare dopo il “divorzio”. Nel 1981 la spesa per interessi si aggirava intorno al 5% del Pil mentre nel 1984 (dopo tre anni appena) raggiunse l’8,3% del Pil fino ad arrivare al 12% nel 1992. Se prima del 1981 l’Italia poteva finanziare i propri disavanzi con tassi d’interesse reali vicini allo 0 (o addirittura negativi negli anni ’70 causa dell’ inflazione elevata in seguito ai due shock petroliferi), dopo il “divorzio” i tassi di interesse reali (ovvero al netto dell’inflazione) iniziarono a salire toccando inizialmente il 4% per poi arrivare al picco dell’ 8% nel 1992.
Nei due grafici si può notare che i tassi d’interesse e la spesa per interessi diminuiscono dopo il 1996. Attenzione, il mainstream dice che l’Italia ha beneficiato del “dividendo” dell’euro perché l’adozione della moneta unica ha permesso di beneficiare di tassi di interesse più bassi e quindi di risparmiare sulla spesa per interessi.
Ma si tratta dell’ennesima falsità per una serie di ragioni. Nel 1996 non c’era nessuna certezza che sarebbe nata la moneta unica ma soprattutto che l’Italia ci sarebbe entrata vista la situazione dei conti pubblici rispetto ai parametri che il trattato di Maastricht imponeva al riguardo del rapporto debito/Pil e deficit/Pil . Quindi l’Italia non ha beneficiato del “dividendo” dell’euro, ma bensì della discesa mondiale dei tassi interesse che si è registrata soprattutto nell’economie avanzate.
Quali sono le ragioni che hanno spinto l’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azelio Ciampi e il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta ad operare questa scelta?
Innanzitutto lo chiedeva l’Europa con lo SME (Sistema monetario europeo) perché la banca centrale indipendente era una delle prerogative fondamentali per la creazione dello SME e successivamente della moneta unica. Lo dimostra il fatto che il divieto di finanziamento monetario dei disavanzi diventa legge con la ratifica del Trattato di Maastricht. Ma la ragione principale secondo cui la banca centrale doveva essere indipendente è quella del contenimento dell’inflazione.
Secondo molti la causa dell’inflazione è da attribuire esclusivamente alla quantità di moneta in circolazione (cd. teoria quantitativa della moneta). Rendendo indipendente la Banca d’Italia quest’ultima non era più obbligata ad emettere moneta per acquistare i titoli di debito che non erano stati collocati sul mercato agevolando così il controllo dell’offerta di moneta attraverso politiche monetarie restrittive. Ovviamente attribuire la causa dell’inflazione solamente alla politica monetaria è da incompetenti per un semplice motivo. Se l’inflazione dipende esclusivamente dalla politica monetaria, con la moneta unica (euro) i Paesi che l’hanno adottata avrebbero dovuto registrare negli anni successivi all’adozione lo stesso tasso d’ inflazione. Così non è stato perché i dati dimostrano che ogni anno essi hanno registrato sempre tassi di inflazione differenti (con differenziali di 1-2 punti %). Perciò ideologia alla base del divorzio è falsa perché nessun economista serio ha mai creduto alla storia della moneta che causa i prezzi. Le ragioni della discesa dell’inflazione degli anni ‘80 sono da attribuire ad altre motivazioni. Innanzitutto all’aumento della disoccupazione degli anni ’80 causata indirettamente dal “divorzio”. L’aumento dei tassi di interesse da un lato scoraggiava gli investimenti privati, dall’altro costringeva lo Stato a ridurre la spesa primaria per far fronte alla crescente spesa per interessi. Investimenti e spesa pubblica sono due componenti della domanda aggregata e la loro diminuzione causò una flessione della crescita e conseguente aumento della disoccupazione.
Cosa c’entra l’aumento della disoccupazione con l’inflazione?
L’inflazione in larga misura si controlla attraverso la disoccupazione. La disoccupazione non è altro che una misura di eccesso di offerta rispetto alla domanda nel mercato del lavoro che causa la diminuzione dei salari e quindi dell’inflazione. Se c’è molta disoccupazione, i salari si mantengono bassi, i costi per le imprese si riducono, la domanda cala (perché molti disoccupati non hanno reddito disponibile per effettuare acquisti) e quindi di conseguenza l’inflazione si mantiene bassa. E’ una relazione nota alla teoria economica come Curva di Phillips.
di Gianluca Dipierri , 31.07.2013
Nei principali programmi di attualità, di informazione politica ed economica si sente molto spesso parlare della simpatica storiella del problema del debito pubblico come conseguenza degli enormi sprechi di spesa pubblica che secondo i vari commentatori (ahimè sia di destra che di sinistra) sono la sola causa del suo enorme accumulo nei vari decenni.
L’Italia non è di certo il paese “modello” per quanto riguarda l’efficienza nella gestione delle risorse pubbliche. Perciò è inutile soffermarsi sui soliti argomenti tipo “l’enorme debito pubblico è da attribuire alla corruzione, ai magna magna a destra e a sinistra, i costi abnormi della politica, le auto blu, gli sprechi ecc.” che tutti ben conoscono ma che non forniscono alcuna valida spiegazione scientifica a tale problema. Per questo motivo è necessario soffermarsi su tesi che il mainstream dimentica (volutamente) di evidenziare e che permettono di dare una spiegazione scientificamente provata da molti economisti sull’ esplosione del debito pubblico in Italia. Il 1981 ha rappresentato un anno fondamentale per quello che riguarda la storia della Repubblica italiana. Infatti è l’anno del cd. “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
In cosa consiste questo “divorzio”?
Semplicemente la Banca d’Italia venne sollevata da qualsiasi obbligo d’ acquisto di titoli di debito pubblico italiano. La Banca d’Italia fu così resa “indipendente” dal governo e quest’ultimo non poteva finanziare parte dei disavanzi di bilancio emettendo moneta. Per poter finanziare il debito pubblico l’Italia dal quel momento dovette ricorrere esclusivamente ai mercati. Il problema per le finanze pubbliche iniziò proprio da li. Se prima l’Italia poteva finanziare il proprio debito (anche ricorrendo ai mercati) a tassi d’interesse guidati dall’autorità monetaria (Banca d’Italia), da quel momento in poi i tassi di interesse li decidevano i mercati. Ad ogni asta i tassi d’interesse erano (e sono ancora oggi) in balia del giudizio che i mercati esprimevano nei riguardi dell’Italia. Infatti dal 1981 al 1994 il debito pubblico raddoppiò passando dal 60% al 120% del Pil.
Fonte: Fondo monetario internazionale (WEO) |
Ma perché in poco più di un decennio il debito pubblico è raddoppiato?
La risposta è da ricercare nella spesa per interessi che l’Italia ha iniziato a pagare dopo il “divorzio”. Nel 1981 la spesa per interessi si aggirava intorno al 5% del Pil mentre nel 1984 (dopo tre anni appena) raggiunse l’8,3% del Pil fino ad arrivare al 12% nel 1992. Se prima del 1981 l’Italia poteva finanziare i propri disavanzi con tassi d’interesse reali vicini allo 0 (o addirittura negativi negli anni ’70 causa dell’ inflazione elevata in seguito ai due shock petroliferi), dopo il “divorzio” i tassi di interesse reali (ovvero al netto dell’inflazione) iniziarono a salire toccando inizialmente il 4% per poi arrivare al picco dell’ 8% nel 1992.
Fonte: Database AMECO |
Fonte: Ministero economia e finanze (1970-1979), database AMECO (1980-2012) |
Nei due grafici si può notare che i tassi d’interesse e la spesa per interessi diminuiscono dopo il 1996. Attenzione, il mainstream dice che l’Italia ha beneficiato del “dividendo” dell’euro perché l’adozione della moneta unica ha permesso di beneficiare di tassi di interesse più bassi e quindi di risparmiare sulla spesa per interessi.
Ma si tratta dell’ennesima falsità per una serie di ragioni. Nel 1996 non c’era nessuna certezza che sarebbe nata la moneta unica ma soprattutto che l’Italia ci sarebbe entrata vista la situazione dei conti pubblici rispetto ai parametri che il trattato di Maastricht imponeva al riguardo del rapporto debito/Pil e deficit/Pil . Quindi l’Italia non ha beneficiato del “dividendo” dell’euro, ma bensì della discesa mondiale dei tassi interesse che si è registrata soprattutto nell’economie avanzate.
Quali sono le ragioni che hanno spinto l’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azelio Ciampi e il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta ad operare questa scelta?
Innanzitutto lo chiedeva l’Europa con lo SME (Sistema monetario europeo) perché la banca centrale indipendente era una delle prerogative fondamentali per la creazione dello SME e successivamente della moneta unica. Lo dimostra il fatto che il divieto di finanziamento monetario dei disavanzi diventa legge con la ratifica del Trattato di Maastricht. Ma la ragione principale secondo cui la banca centrale doveva essere indipendente è quella del contenimento dell’inflazione.
Secondo molti la causa dell’inflazione è da attribuire esclusivamente alla quantità di moneta in circolazione (cd. teoria quantitativa della moneta). Rendendo indipendente la Banca d’Italia quest’ultima non era più obbligata ad emettere moneta per acquistare i titoli di debito che non erano stati collocati sul mercato agevolando così il controllo dell’offerta di moneta attraverso politiche monetarie restrittive. Ovviamente attribuire la causa dell’inflazione solamente alla politica monetaria è da incompetenti per un semplice motivo. Se l’inflazione dipende esclusivamente dalla politica monetaria, con la moneta unica (euro) i Paesi che l’hanno adottata avrebbero dovuto registrare negli anni successivi all’adozione lo stesso tasso d’ inflazione. Così non è stato perché i dati dimostrano che ogni anno essi hanno registrato sempre tassi di inflazione differenti (con differenziali di 1-2 punti %). Perciò ideologia alla base del divorzio è falsa perché nessun economista serio ha mai creduto alla storia della moneta che causa i prezzi. Le ragioni della discesa dell’inflazione degli anni ‘80 sono da attribuire ad altre motivazioni. Innanzitutto all’aumento della disoccupazione degli anni ’80 causata indirettamente dal “divorzio”. L’aumento dei tassi di interesse da un lato scoraggiava gli investimenti privati, dall’altro costringeva lo Stato a ridurre la spesa primaria per far fronte alla crescente spesa per interessi. Investimenti e spesa pubblica sono due componenti della domanda aggregata e la loro diminuzione causò una flessione della crescita e conseguente aumento della disoccupazione.
Cosa c’entra l’aumento della disoccupazione con l’inflazione?
L’inflazione in larga misura si controlla attraverso la disoccupazione. La disoccupazione non è altro che una misura di eccesso di offerta rispetto alla domanda nel mercato del lavoro che causa la diminuzione dei salari e quindi dell’inflazione. Se c’è molta disoccupazione, i salari si mantengono bassi, i costi per le imprese si riducono, la domanda cala (perché molti disoccupati non hanno reddito disponibile per effettuare acquisti) e quindi di conseguenza l’inflazione si mantiene bassa. E’ una relazione nota alla teoria economica come Curva di Phillips.
Perfino Beniamino Andreatta, uno dei due artefici del “divorzio”, 10 anni dopo in un’ intervista disponibile negli archivi del sole 24 ore (http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=891110&chId=30) ammise che l’aumento dei tassi di interesse reali a seguito del “divorzio” avrebbe fatto aumentare il fabbisogno del tesoro (ovviamente per la spesa per interessi) e la crescita del debito pubblico rispetto al Pil. Quindi i problemi e le conseguenze (in termini di costi sul debito) erano chiari già ai tempi in cui venne operata la scelta. Nel 1981 in Italia fu creato un'altro potere: dopo quello legislativo, esecutivo e giudiziario fu la volta di quello monetario il cui potere affidato ad un organo indipendente (Banca d'Italia) in cui direzione non veniva e non viene eletta (ora con la BCE) neanche democraticamente.
fonte Gianluca Dipierri
L'INCOMPIUTA: il tunnel di Gattamelata,non ancora finito e già inutile di Manuela Messina e Elisa Zanetti
Il progetto di riqualificazione del Portello risale agli anni Novanta. Il tunnel di 970 metri e doveva essere un collegamento tra gli svincoli autostradali a Nord-Ovest di Milano e la Fiera. A gennaio 2009 l'allora sottosegretario Mario Mantovani (Pdl) consegnò un simbolico assegno da 24 milioni al sindaco Letizia Moratti: erano i fondi governativi appena sbloccati per sostenere il progetto. L'accordo di programma tra Comune e Regione viene firmato nel 2000. Nel frattempo però le istituzioni decisero lo spostamento della fiera a Rho-Pero. Il secondo lotto che riguarda il tratto tra via Gattamelata e largo Domodossola, con ingresso in City Life, non è mai stato finanziato negli anni passati, né mai sarà finanziato.
PROCESSO MEDIASET, FRODE FISCALE E TRUCCHI FINANZIARI DELLE SOCIETA'
Processo Mediaset: per Berlusconi è arrivato il giorno del giudizio
La frode fiscale, i trucchi finanziari delle società: ecco come e perché la Corte d'appello di Milano ha condannato il Cavaliere a 4 anni di carcere e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, che farebbero scattare l'espulsione dal Senato. Adesso l'ultima parola spetta alla Cassazione
Il dito ha completamente sostituito la luna. La chiacchiera politica, la ricerca dei retroscena, il dibattito sull’opportunità di una assoluzione o di un rinvio, le contese sulla data dellaprescrizione, le proteste contro le “toghe rosse” di primo grado e d’appello hanno fatto dimenticare la vera materia del contendere, e cioè la sentenza della Corte d’appello di Milano(giudici Alessandra Galli, Elena Minici, Enrico Scarlini) che l’8 maggio 2013 ha confermato lacondanna inflitta a Silvio Berlusconi per frode fiscale: 4 anni di carcere (di cui tre coperti dall’indulto del 2006).
È questa condanna che la Cassazione è oggi chiamata a rendere definitiva oppure acancellare, con annessa pena accessoria, 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, che potrebbe far scattare l’espulsione del condannato dal Senato, dopo la dichiarazione di decadenza della Giunta per le immunità. Ecco dunque in queste pagine i fatti, come sono raccontati nella sentenza, che ritiene provato al di là di ogni ragionevole dubbio che Berlusconi, quando già era in politica e formalmente non più al vertice delle sue società, ha nascosto cifre imponenti al fisco italiano e agli altri azionisti di Mediaset. La condanna riguarda “solo” 7,3 milioni di euro, occultati negli anni 2002 e 2003. Altri 6,6 milioni riguardano il 2001 e sono stati cancellati dalla prescrizione già prima della sentenza d’appello. Ma in totale, scrivono i giudici, “le maggiorazioni di costo realizzate negli anni” sono di ben “368 milioni di dollari”. Rase al suolo dalla prescrizione anche le imputazioni di falso in bilancio e appropriazione indebita, in un processo durato 6 anni solo per il primo grado(compresi i 2 di ibernazione per i “lodi” Schifani e Alfano). Prescrizione dimezzata (da 15 anni a 7 e mezzo) grazie alla legge ad personam ex Cirielli. Quanto a una contestata frode fiscale da 120 miliardi di lire di imposte evase, è prosciugata quasi interamente dai condoni fiscali. Molti documenti utili a ricostruire i passaggi dei soldi tra le società offshore di Berlusconi, comunque, erano già svaniti durante le prime perquisizioni ordinate dai pm milanesi: “Quindici anni di carte”, secondo la teste Silvia Cavanna, “furono fatte sparire da Lugano in Lussemburgo, credo con camion”. Eppure, ecco che cosa è stato possibile ricostruire.
IL SISTEMAI diritti televisivi venivano acquisiti sul mercato internazionale dalla Fininvest prima, da Mediaset poi, attraverso il medesimo meccanismo. A comprare dai produttori stranieri era una società del comparto estero e riservato del gruppo, che poi li rivendeva ad altre società, fino all’approdo finale. Nei passaggi, il prezzo lievitava; venivano così “creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”.
“Fin dalla seconda meta degli anni ’80 il gruppo Fininvest aveva organizzato un meccanismo fraudolento di evasione, connesso al cosiddetto ‘giro dei diritti televisivi’. I diritti di trasmissione televisiva, provenienti dai produttori, venivano acquistati da società del comparto estero e riservato di Fininvest, venivano sottoposti a una serie di passaggi infra gruppo, o con società solo apparentemente terze, giungevano poi a una società maltese che, infine, li cedeva alle società emittenti. I passaggi erano funzionali solo a una artificiosa lievitazione di prezzi. Del resto gran parte delle società intermedie erano prive di una reale struttura commerciale. Prova ne era che l’originaria acquisizione dei diritti era operata direttamente dalla struttura di Reteitalia prima e diMediaset poi, che faceva capo a Bernasconi e ai suoi collaboratori. Una struttura che riceveva le richieste degli addetti commerciali delle reti e si avvaleva, in particolare, della consulenza tecnica dell’imputato Lorenzano che procedeva alla trattativa per gli acquisti con le majors o altri fornitori. Nessuna funzione svolgevano invece le società del comparto estero che figuravano come prime acquirenti.
Il sistema rimaneva riservato, per ovvie ragioni, anche all’interno del gruppo Fininvest, interessando un numero il più esiguo possibile di persone. Il contratto originario di acquisto, definito ‘master’, dopo essere stato sottoscritto, spesso da un mero fiduciario, quale, per esempio, l’imputato Del Bue, non veniva reso pubblico, nemmeno all’interno della struttura Reteitalia-Mediaset. (…) Avvicinatasi la data di prevista decorrenza, si procedeva alla stipulazione dei cosiddetti ‘subcontratti’, di solito per periodi frazionati rispetto a quelli del contratto iniziale. I subcontratti venivano preparati dalla struttura svizzera di Fininvest Service s.a., sulla base delle indicazioni fornite da Bernasconi, recepite dalla incolpevole Cavanna”.
Venivano allora preparate, sempre dalla struttura di Fininvest Service, delle schede, solitamente composte da tre pagine, delle quali la seconda, con l’indicazione dei prezzi, veniva mantenuta presso la sede di Fininvest Service, mentre a Milano venivano inviate solo le schede contenenti le informazioni utili per la programmazione (…). Dal1995 il sistema si modificava. Scomparivano generalmente i passaggi infra-gruppo, e i diritti venivano fatti intermediare da società che apparivano terze, venivano ceduti alla società maltese International Media Service Ltd (di seguito per brevità Ims) che, a sua volta, li cedeva a Mediaset, rimanendo immutato il meccanismo di lievitazione dei prezzi. Il tutto aveva comportato un’evasione notevolissima per le somme individuate in imputazione”.
PROCESSO MEDIASET
Processo Mediaset: Tartuffe a Corte
di Marco Travaglio | 31 luglio 2013
Nel Paese di Tartuffe, che con buona pace di Molière non è la Francia ma l’Italia, si attende con ansia spasmodica la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset per sapere finalmente se B. è un delinquente matricolato o un innocente perseguitato per fini politici.
Pare infatti, ma si tratta soltanto di voci di corridoio, che parte del Pd avrebbe qualche difficoltà a convivere ancora al governo con il partito guidato, anzi posseduto da un condannato per frode fiscale. E, per capire se B. sia un giglio di campo o un criminale incallito, attendono la sentenza Mediaset in Cassazione. Tutte le precedenti è come se non fossero mai state pronunciate, solo perché non erano condanne definitive. Poco importa se lo dichiaravano responsabile di reati gravissimi, come la falsa testimonianza sulla P2 (amnistiata), le tangenti a Craxi (cadute in prescrizione), svariati falsi in bilancio (reato depenalizzato da lui), la corruzione giudiziaria (prescritta sia per lo scippo della Mondadori a De Benedetti sia per le mazzette a Mills). Per non parlare delle sentenze sulle tangenti alla Guardia di Finanza (i suoi manager pagavano i militari con soldi suoi perché non mettessero il becco nei libri contabili delle sue aziende, ma a sua insaputa). E su Dell’Utri e sui mafiosi stragisti, che dipingono B. come un vecchio amico dei boss. Bastava leggere uno dei tanti verdetti che in questi vent’anni l’hanno riguardato per farsi un’idea del personaggio: conoscerlo per evitarlo.
il PD |
Invece, dopo vent’anni di malavita al potere, siamo qui appesi a una sentenza di Cassazione sul reato forse meno grave – al confronto degli alt i– commesso dal Caimano: la frode fiscale. Più che un delitto, un’abitudine. Una specialità della casa. In fondo andò così anche per Al Capone: era il capo della mafia americana, ma riuscirono a incastrarlo solo per evasione fiscale. Solo che in America l’evasione è galera sicura, dunque non occorse altro per togliere il boss dalla circolazione. Da noi un evasore che tentasse di entrare in galera verrebbe respinto dalle leggi, che sono inflessibili. Per finire in carcere, sottrarre milioni all’erario non basta: bisogna rubare almeno un limone.
Eccoli dunque lì, i politici di destra, centro e sinistra, che con Al Tappone han fatto affari, inciuci, libri, comparsate tv, bicamerali, riforme bipartisan, alleanze più o meno mascherate, e i giornalisti e gli intellettuali al seguito, tutti tremanti sotto la Cassazione. Paradossalmente, il meno preoccupato è proprio lui: B. lo sa chi è B. e non ne ha mai fatto mistero. E ha costruito un sistema politico-mediatico perfetto: se lo assolvono, sarà la prova che era un innocente perseguitato; se lo condannano, sarà la prova che è un innocente perseguitato. A tremare sono tutti gli altri: gli ipocriti che lo circondano da vent’anni, fingendo di non vedere e tacendo anziché parlare. Infatti del merito del processo Mediaset, delle prove schiaccianti sul ruolo centrale di B. nella costruzione di una macchina perfetta di decine di società offshore per frodare il fisco e portare fondi neri all’estero da usare per corrompere politici, giudici, forze dell’ordine e funzionari pubblici, non parla nessuno.
È il trionfo di Tartuffe: tutti aspettano che i giudici della Cassazione dicano ciò che tutti sanno benissimo, anche se nessuno osa dire nulla. Oppure delirano, come Letta e Boldrini, che escludono conseguenze sul governo in caso di condanna: come se il pericolo fosse che B. molli il Pd, e non che il Pd resti avvinghiato a un evasore pregiudicato. Viene in mente la storiella raccontata da Montanelliper sbertucciare un’altra ipocrisia italiota, quella dell’intellighenzia “de sinistra” che negli anni 70 negava il terrorismo rosso: “Un gentiluomo austriaco, roso dal sospetto che la moglie lo tradisse, la seguì di nascosto in albergo, la vide dal buco della serratura spogliarsi e coricarsi insieme a un giovanotto. Ma, rimasto al buio perché i due a questo punto spensero la luce, gemette a bassa voce: ‘Non riuscirò dunque mai a liberarmi da questa tormentosa incertezza?’”.
Il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2013
LA DIFESA: CHIEDIAMO L'ANNULLAMENTO DELLA SENTENZA
Sentenza Mediaset, la difesa: “Si annulli. Manca prova contro Berlusconi”
Domani la decisione dei giudici. Il presidente degli ermellini Esposito convoca la camera di consiglio alle 12. Coppi: "Non c'è reato chiedo annullamento sentenza. L'avvocato Ghedini: "Questo processo mio incubo notturno".
Secondo la difesa: "Siamo di fronte ad un illecito di tipo amministrativo e tributario"
Per la difesa manca la prova della compartecipazione di Silvio Berlusconi al reato di frode fiscale e l’ex premier doveva essere assolto sin dal primo grado. Parola degli avvocati Franco Coppi e Niccolò Ghedini – che ha definito il processo “un incubo notturno” – hanno discusso la tesi difensiva davanti ai giudici della Corta di Cassazione. Prima di entrare in aula Coppi,scherzando sulla sua scaramanzia, ha affermato di portare sempre con sé un cornetto portafortuna, dentro il portafoglio.
“Ha raccontato quello che c’è scritto nella sentenza, nulla di nuovo, ma noi – ha detto ai giornalisti accreditati- abbiamo elementi in più e oggi li esporremo ai giudici” ha ragionato riferendosi al pg. Sul possibile arrivo a sorpresa di Berlusconi in aula il legale ha aggiunto: “Ma in Cassazione ci vengono i poveracci o chi vuole vedere se gli avvocati sono bravi, partendo dal presupposto che i suoi legali sono in gamba qui l’ex premier non ci mette piede”.
La seconda giornata di udienza era iniziata poco dopo le 9,30: quattro gli imputati compreso il leader del Pdl, condannato in primo e secondo grado a 4 anni di reclusione per frode fiscale e a 5 di interdizione dai pubblici uffici. Interdizione che la Procura generale della Cassazione ieri ha chiesto di ricalcolare al ribasso portandola a 3 anni.
Sette gli avvocati che hanno preso la parola. Il primo è stato l’avvocato Luca Mucci che difende l’ex manager Mediaset Daniele Lorenzano (condannato a 3 anni e 8 mesi e a 5 di interdizione), seguito da Roberto Pisano, legale di Frank Agrama, considerato il “socio occulto” del Cavaliere. Coppi aveva già preannunciato di puntare “all’assoluzione di Berlusconi” con la formula piena “per non aver commesso il fatto”. Diversamente, ha aggiunto, “si può pensare ad una derubricazione del reato come illecito tributario non penalmente rilevante”. Il reato, a quel punto sarebbe ridotto a “concorso in fatturazioni inesistenti”.
La sentenza – molto attesa anche per le possibili ripercussioni sul governo Letta e sul futuro politico del leader del Pdl – sarà pronunciata domani come confermato dal presidente Antonio Esposito. Dopo la richiesta del pg, un possibile scenario è che la Cassazione confermi i quattro anni di reclusione e rimandi alla Corte d’appello di Milano la rideterminazione della pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici. Per Berlusconi si aprirebbe la speranza di una prescrizione? Probabilmente no, perché l’orientamento della giurisprudenza dice che i termini di prescrizione si fermano nel momento in cui diventa definitiva la pena principale. Qualora la Corte di Cassazione dovesse ordinare un nuovo giudizio in appello per il ricalcolo della pena i termini di prescrizione del reato saranno congelati.
Ma dal punto di vista politico, per Berlusconi potrebbe essere comunque una boccata di ossigeno. La questione dell’interdizione, e quindi della possibile decadenza da senatore, sarebbe rinviata fino al pronunciamento della corte d’Appello, poi dipenderebbe dai tempi parlamentari di convocazione della giunta per le elezioni e del voto in Aula. Nel frattempo i legali del leader Pdl potrebbero lavorare sulla pena principale, ridotta a un anno dall’indulto del 2006, e chiedere l’affidamento ai servizi sociali. Magari con la possibilità di “lavoro esterno” come parlamentare, dato il precedente del democristiano-forzista Gianstefano Frigerio.
Sulla possibile rideterminazione dell’interdizione, l’avvocato Coppi ha commentato con i giornalisti: “Dal punto di vista tecnico dovrebbe scattare un rinvio alla Corte d’Appello di Milano, ma per buon senso è più logico che lo faccia la Cassazione”.
CRONACA ORA PER ORA
19,15 – Domani manifestazione dell’”Esercito di Silvio”. Simone Furlan, leader dell”’Esercito di Silvio” ha chiamato a raccolta domani alle ore 17 a Roma davanti a Palazzo Grazioli i sostenitori di Berlusconi per manifestare vicinanza e solidarietà al presidente: “Abbiamo voluto rispettare fino in fondo la linea di grande responsabilità e pacificazione assunta dal presidente Berlusconi, non organizzando azioni che avrebbero potuto creare tensioni durante l’udienza della Cassazione. Domani è il momento di far capire che nessuno può toccare il presidente Berlusconi senza che il suo esercito si attivi”.
18,57 – Camera di consiglio giovedì alle 12 - ”La Camera di Consiglio nella quale la sezione Feriale della Cassazione dovrà decidere le sorti del processo Mediaset inizierà domani a mezzogiorno. Lo ha reso noto il presidente del Collegio Antonio Esposito. Il verdetto dovrebbe dunque essere emesso nel pomeriggio. Per un lapsus Esposito aveva convocato i colleghi per il 1 agosto del 2014, poi si è corretto.
18,44 – Coppi: “Non c’è reato si annulli la sentenza” - “Chiedo che la sentenza venga annullata perché il fatto così come prospettato in mancanza di una violazione di una specifica norma antielusiva non è reato, è penalmente irrilevante”. Coppi fatto esplicito riferimento a pronunciamenti della Cassazione Civile e della Cassazione Penale per circoscrivere un punto, e cioè se ci si trovi o meno di fronte ad una condotta penalmente rilevante: “Questo è un quesito che rimetto alla Corte. Se manca il contrasto con una disposizione antielusiva, l’abuso è penalmente irrilevante. Potrà anche esserci un’elusione gigantesca, ma non siamo nell’ambito dell’illecito penale”, ma di fronte ad un illecito “di tipo amministrativo e tributario”. Secondo Coppi la corte d’Appello è caduta in “clamorosi travisamenti della prova”. Da qui la richiesta di annullare la sentenza impugnata “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” o in subordine l’annullamento con rinvio della sentenza, qualificando la frode fiscale in concorso in fatturazioni inesistenti.
18,38 – Coppi: “Berlusconi non era dominus di una catena truffaldina” - Silvio Berlusconi ”non era il dominus di nessuna catena truffaldina e mi rammarico che, invece, questa tesi sia stata condivisa ieri anche dalla Procura della Cassazione” sottolinea Coppi. Per l’avvocato non regge “la tesi della continuità” che ritiene Berlusconi ideatore fin dagli anni ’80 delle truffe fiscali fino agli anni recenti come sostenuto ieri dal pg Mura.
18, 32 – Coppi: “Franco Tatò non fu teste compiacente” - Nella sua testimonianza al processo Mediaset il manager Franco Tatò, che prese in mano gli ‘affari’ di Silvio Berlusconi sceso in politica, ha affermato che con il Cavaliere “era difficile addirittura avere un contatto fisico, si poteva discutere per telefono solo di qualche strategia di carattere generale”. Lo ricorda nella sua arringa in Cassazione Franco Coppi, legale dell’ex premier, sottolineando che “Tatò non rese una testimonianza compiacente e infatti non è stato accusato di falsa testimonianza”.
18, 31 – Coppi: “Berlusconi dal 1994 si dedica interamente alla politica” – “Berlusconi, come tutti sanno, dal 1994 si dedica interamente alla politica e non si occupa più di gestione societaria. Figuriamoci se metteva bocca nelle quote di ammortamento del 2002/2003 quando ormai da 10 anni aveva accantonato queste preoccupazioni, se mai si fosse occupato di cose del genere!” sostiene l’avvocato Franco Coppi.
18,23 – Coppi: “Ci aspettavamo assoluzione l’assoluzione in 1° grado” – ”Ci aspettavamo l’assoluzione di Berlusconi fin dal primo grado” dice il professor Franco Coppi, legale dell’ex premier, in uno dei passaggi della sua arringa. Per l’avvocato in questo processo c’è stato un “rigetto immotivato delle richieste difensive” e la sentenza d’appello “è caratterizzata dal pregiudizio” verso Berlusconi.
17,29 – Ghedini: “Questo processo mio incubo notturno” - Il processo Mediaset sui diritti tv in corso in Cassazione è “l’incubo notturno” dell’avvocato Niccolò Ghedini. E’ lo sfogo che lo stesso legale ha fatto davanti ai giudici della sezione feriale della Cassazione. “Gli ammortamenti non li ha decisi Berlusconi” sostiene il legale che lamenta inoltre la mancata “possibilità di difendersi all’interno del processo” e alla Corte d’Appello che ha sostenuto che nella compravendita di diritti tv Berlusconi ‘non poteva non sapere’, obietta: “Berlusconi non poteva non sapere? E’ un principio giurisprudenziale che non sta in piedi. A quell’epoca Berlusconi non gestiva l’azienda. La stessa Cassazione, nel 2008, dice che era l’azienda a decidere gli ammortamenti”.
17,02 – Ghedini: “Passioni fuori dall’aula non per noi” – “Sono d’accordo con il signor procuratore, le passioni debbono rimanere fuori dall’Aula, ma non per noi. Nel nostro mestiere ci devono accompagnare – ha detto Niccolò Ghedini nel corso dell’arringa in Cassazione -. Sono 16 anni che difendo Berlusconi, sicuramente troppi. E sento dire che dobbiamo difenderci nel processo e non dal processo. Ma come facciamo a difenderci nel processo con un Tribunale che mi dice: concordate con il pm le domande per i testi?”. Il riferimento è alla lista dei 171 testimoni avanzata in primo grado. Il legale ha detto che subito dopo aver presentato la lista il Tribunale ha obiettato che fossero “troppi, ma il troppo si può apprezzare dopo averne sentito almeno uno. Invece no”. I testi, ha argomentato il difensore, “sono stati tutti revocati perché ritenuti superflui. Ma quale difesa nel processo… Noi in 100 udienze abbiamo sentito sei testimoni, tra l’altro comuni alle altre difese, più i nostri consulenti”.
16,47 – Ghedini: “Manca la prova della partecipazione di Berlusconi al reato” - “Manca nel tessuto della sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio”. Lo ha detto uno dei legali di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, nella sua arringa in Cassazione nel corso dell’udienza per il processo Mediaset. ”Il procuratore generale ha detto che per Berlusconi ci sarebbero state attività ulteriori oltre alla fatturazione. Quindi mi sarei aspettato dal pg delle integrazioni rispetto alle motivazioni della Corte di Appello, in cui non c’è nulla a riguardo. Integrazioni che non ci sono state perché non ci sono attività ulteriori oltre la fatturazione”.
16,40 – Ghedini: “Processo vissuto sempre sul filo della prescrizione”. ”Questo è un processo vissuto sempre sul filo della prescrizione, come se si dovesse prescrivere un giorno per l’altro”. Lo ha sottolineato uno dei legali di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, nelle battute iniziali della sua arringa in Cassazione nel corso dell’udienza per il processo Mediaset. Sarebbe meglio “si potesse rinunciare preventivamente a questa prescrizione – ha aggiunto Ghedini in un altro passaggio dell’arringa – così da potersi difendere nel processo”.
15,59 – Ansa: “Sentenza prevista domani pomeriggio” – E’ attesa per domani pomeriggio la sentenza del processo Mediaset. E’ quanto apprende l’agenzia Ansa da fonti della Cassazione. Domani, intorno a mezzogiorno, il collegio tornerà a riunirsi in camera di consiglio dopo aver tenuto una breve udienza, alle ore 10, per altre cause già fissate. Questa sera termineranno le arringhe dei difensori.
14,36 – Udienza sospesa, si riprende alle 15,30 con Ghedini
E’ stata sospesa per un’ora e riprenderà alle 15.30 l’udienza Mediaset innanzi alla sezione feriale della Suprema Corte. A quell’ora dovrebbe iniziare l’arringa dell’avvocato Niccolò Ghedini seguita poi da quella del professor Franco Coppi, difensori dell’ex premier Silvio Berlusconi. Stamani ha parlato l’avvocato Luca Mucci, difensore dell’ex manager Mediaset Daniele Lorenzano, in difesa dell’uomo di affari egiziano Frank Agrama ha parlato l’avvocato Roberto Pisano, mentre per l’ex dipendente Mediaset Gabriella Galetto hanno parlato il professor Nicola Mazzacuva e Filippo Dinacci.
E’ stata sospesa per un’ora e riprenderà alle 15.30 l’udienza Mediaset innanzi alla sezione feriale della Suprema Corte. A quell’ora dovrebbe iniziare l’arringa dell’avvocato Niccolò Ghedini seguita poi da quella del professor Franco Coppi, difensori dell’ex premier Silvio Berlusconi. Stamani ha parlato l’avvocato Luca Mucci, difensore dell’ex manager Mediaset Daniele Lorenzano, in difesa dell’uomo di affari egiziano Frank Agrama ha parlato l’avvocato Roberto Pisano, mentre per l’ex dipendente Mediaset Gabriella Galetto hanno parlato il professor Nicola Mazzacuva e Filippo Dinacci.
13,54 – Il Pg di Cassazione: “Penso che la camera di consiglio terminerà domani”“In teoria la discussione delle arringhe degli avvocati può concludersi anche stasera e penso che domani potrebbe terminare la camera di consiglio per la decisione del processo Mediaset, ma questo dipende anche da quanto parleranno gli avvocati”. Lo ha detto il procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, parlando a margine dell’udienza Mediaset, dopo essere entrato nell’aula dove è in corso il dibattimento per chiamare fuori il sostituto procuratore Antonio Mura.
13,45 – Il Pg di Cassazione: “In requisitoria Mura unica censura a sentenza d’appello è sull’interdizione”Nella sua requisitoria di ieri, il sostituto procuratore generale Antonello Mura ha ritenuto “non legittima la pena accessoria di cinque anni e solo questo aspetto la procura generale ha censurato” la sentenza emessa lo scorso 8 maggio dalla corte d’appello di Milano. E’ la precisazione del procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani.
12,49 – Coppi: “Il pg non ha preso di petto gli argomenti difensivi”La requisitoria del sostituto procuratore generale della Cassazione Antonello Mura nell’ambito del processo Mediaset sui diritti tv non è stata altro che una “seconda relazione che in pratica ha raccontato la sentenza di appello senza prendere di petto i nostri motivi di ricorso”. E’ la chiave di lettura che Franco Coppi, difensore di Silvio Berlusconi insieme a Niccolò Ghedini, dà della requisitoria tenuta ieri dal pg Mura.
12,46 – Il presidente Esposito: “Possiamo iniziare camera di consiglio stasera e aggiornarci a domani”“Prendo atto della vostra richiesta di stringere i tempi, ma noi non abbiamo problemi: la camera di Consiglio la possiamo iniziare stasera e poi possiamo anche aggiornarci a domani”. Lo ha detto il presidente della sezione feriale Antonio Esposito, prendendo atto della decisione delle difese degli imputati di accelerare i tempi delle arringhe, probabilmente per arrivare al verdetto già stasera.
12,32 – Ghedini: “Possibile che la decisione della Cassazione arrivi in serata”“Io e il professor Coppi parleremo nel pomeriggio ed è possibile che la decisione della Cassazione arrivi in serata”. Lo ha detto Niccolò Ghedini parlando con i cronisti in un momento di pausa del processo Mediaset. Accanto a lui c’era anche il professor Franco Coppi, anch’egli legale di Silvio Berlusconi.
12,11 – Mediaset, calo in Piazza Affari: -1,01%Mediaset accentua il calo in PiazzaAffari. Il titolo cede l’1,01% a 3,31 euro nel giorno in cui è attesa la sentenza della Corte di Cassazione e alla vigilia dei conti semestrali.
11,28 – Squinzi: “Non commento caso Mediaset, ma governo Letta è l’unico possibille”Sull’affare Mediaset preferisce ”non commentare” Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria in visita oggi a Mosca, preferisce non commentare l’attesa della sentenza su Mediaset. Ma sui rischi di una possibile destabilizzazione politica in Italia, mette in evidenza come il governo Letta a suo avviso vada sostenuto poiché “è l’unico possibile”. “Su Berlusconi preferirei non commentare, perché non ho elementi per farlo” ha detto Squinzi alla stampa italiana questa mattina a margine dell’assemblea di Confindustria Russia, ma, ha aggiunto, “non credo sia solo un problema di sentenza Berlusconi”.
11,20 – Borsa, Mediaset stabile dopo l’exploit di ieri
Dopo l’exploit di ieri, procede poco mossa Mediaset in Piazza Affari in attesa della sentenza della sentenza di Cassazione e dei conti, che saranno diffusi domani. Il titolo, oggetto di forti acquisti nella vigilia, quando ha chiuso con un rialzo del 3,2%, viaggia oggi poco sotto la parità e cede lo 0,3% a 3,34 euro, in linea con l’andamento dell’indice Ftse Mib (-0,28% a 16.495 punti).
Dopo l’exploit di ieri, procede poco mossa Mediaset in Piazza Affari in attesa della sentenza della sentenza di Cassazione e dei conti, che saranno diffusi domani. Il titolo, oggetto di forti acquisti nella vigilia, quando ha chiuso con un rialzo del 3,2%, viaggia oggi poco sotto la parità e cede lo 0,3% a 3,34 euro, in linea con l’andamento dell’indice Ftse Mib (-0,28% a 16.495 punti).
11,16 – Gelmini (Pdl): “Nessuna sentenza può privare Berlusconi di leadership”“Nessuna sentenza può privare Berlusconi della leadership confermata da milioni di elettori. L’alternativa a Berlusconi è Berlusconi”. Lo scrive su twitter Maria Stella Gelmini, del Pdl.
10,57 – Brunetta (Pdl): “Tribunale di Milano fondamentalista, ho fiducia nella Cassazione”“Il tribunale di Milano, così fondamentalista, così assoluto nelle proprie tetragone definizioni, un errore l’ha fatto. L’ha detto il procuratore generale di Cassazione: cinque anni di interdizione dai pubblici uffici erano sbagliati, troppi, non erano motivati. La legge prevede da uno a tre anni e quindi se dovevano essere cinque dovevano essere motivati. Da questo punto di vista almeno uno spiraglio”. Così Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera dei deputati, intervenendo a ‘Radio Anch’io. “Aspetto l’arringa difensiva, aspetto il giudizio finale della Corte di Cassazione, che è un giudizio di controllo, non è un terzo grado di giudizio, non è un altro processo nel merito, ma è un controllo se i giudici di primo e secondo grado hanno applicato correttamente la legge. Da questo punto di vista io ho fiducia nella Cassazione”.
10,07 – Sisto (Pdl): “La sentenza avrà comunque riflessi politici”
“Il leader del PdL corre il rischio di essere condannato per una sentenza molto discutibile, non si può pensare che questo non abbia riflessi politici. Quello che sta succedendo è molto grave: la giustizia in Italia è stata per anni ‘ad personam’ o ‘in personam’. Il trattamento riservato all’imputato Silvio Berlusconi è sempre molto, molto speciale e questo, nel nostro Paese, non può essere tollerato”. Lo ha detto, intervenendo ad Agorà Estate, il deputato del PdL Francesco Paolo Sisto, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
fonte http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/sentenza-mediaset-coppi-abbiamo-lasso-nella-manica/241251/
“Il leader del PdL corre il rischio di essere condannato per una sentenza molto discutibile, non si può pensare che questo non abbia riflessi politici. Quello che sta succedendo è molto grave: la giustizia in Italia è stata per anni ‘ad personam’ o ‘in personam’. Il trattamento riservato all’imputato Silvio Berlusconi è sempre molto, molto speciale e questo, nel nostro Paese, non può essere tollerato”. Lo ha detto, intervenendo ad Agorà Estate, il deputato del PdL Francesco Paolo Sisto, presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati.
fonte http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/31/sentenza-mediaset-coppi-abbiamo-lasso-nella-manica/241251/
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