L'impatto globale
dell’accordo USA-Iran
La decisione USA di liberarsi dagli impegni sul terreno in Medio Oriente è ormai ovvio. Questo indica sicuramente un prossimo maggiore impegno diplomatico, d’intelligence, economico e militare nell’area del Pacifico (da tempo il Pentagono ritiene che sia prioritario il cardine asiatico) e presuppone un piano permantenere gli equilibri in Medio Oriente soltanto tramite gli attori locali. Questo apre all’Iran la possibilità di rafforzarsi economicamente grazie alla sospensione delle sanzioni e di sviluppare nuovi progetti di egemonia regionale, tenendo conto della nuova situazione sul terreno. Dagli eventi degli ultimi mesi è emerso un nuovo ruolo globale della Russia di Putin, che si presenta come nuovo ‘protettore’ della regione, dopo aver aiutato gli Americani a uscire dal nodo siriano, e aver favorito l’accordo con l’Iran. Ora gli altri paesi debbono ripensare le proprie politiche alla luce della nuova situazione.
Polonia e Romania sono già davanti a una scelta che ora è più difficile di sei mesi fa: proseguire o non proseguire con le basi antimissili previste dalla NATO sul loro territorio, rivolte – ufficialmente − a intercettare un eventuale attacco dall’Iran. I Russi hanno sempre tentato di bloccare la creazione di queste basi, che comportano la presenza di soldati ONU, prevalentemente americani, sul territorio di Romania di Polonia, sostenendo che si tratta in realtà di un sistema pensato contro la Russia e le sue attrezzature militari. Lo scorso mese si è tenuta la cerimonia di inaugurazione dei lavori per la base in Romania, che dovrà essere ultimata entro il 2015, tre anni prima di quella in Polonia. Ora la Russia ha molti più argomenti per indurre Polonia e Romania a far marcia indietro: il pericolo iraniano è declassato, il ruolo russo è ampliato, la fiducia nella ‘protezione’ degli alleati da parte degli USA è scemata.
Un altro paese che sentirà presto le ripercussioni dell’accordo è l’Afghanistan, dove il presidente Karzai proprio in questi giorni ha rifiutato di firmare l’accordo per la presenza di un contingente di sicurezza americano dopo il ritiro della NATO, che avverrà entro il prossimo anno. L’Afghanistan diventerà certamente terreno di scontro indiretto fra l’Iran e l’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita, insieme al Pakistan, ha avuto un ruolo di primo piano nel sostegno ai vari gruppi jihadisti fin dall’epoca della ribellione contro i Sovietici in Afghanistan. L’Iran, che confina direttamente con l’Afghanistan, cercherà certamente di esercitarvi influenza e di contrastare i jihadisti sunniti.
La Turchia deve ripensare la propria strategia in Medio Oriente: il tentativo di estendere la propria influenza nei territori che un tempo facevano parte dell’impero turco è naufragato in Siria. In Siria la Turchia non è riuscita a giocare nessun ruolo di rilievo, ma si trova a dover sostenere centinaia di migliaia di profughi, mentre la questione dei Curdi all’interno della Turchia è stata rinfocolata dalla maggiore autonomia guadagnata sul terreno dai Curdi in Siria e in Iraq negli ultimi anni.
I piccoli paesi del Caucaso temono ora un Iran risorgente ai propri confini e soprattutto temono un’intesa Russia-Iran, che li schiaccerebbe in mezzo. Neppure il ricorso alla protezione della Turchia come terzo grande attore regionale sembra oggi promettere molto, perché anche la politica regionale turca è in brandelli.
L’Arabia Saudita è il paese oggi in maggiore difficoltà. Fin dalla sua creazione nel 1919 è stata completamente sotto la protezione prima dell’Inghilterra poi degli Stati Uniti. La sua importanza come principale fornitore di petrolio e come custode de La Mecca e Medina, città sacre dell’Islam, ne ha sempre fatto un paese che l’Occidente non poteva lasciar cadere in mano ai rivali. Gli Stati Uniti protessero perciò i Sauditi prima dal socialismo pan-arabo, poi da Saddam Hussein quando invase il Kuwait, e dalle pretese iraniane sulle acque del Golfo che alcuni chiamano Arabico, altri Persiano. In Arabia c’è una corposa minoranza sciita, che i Sauditi hanno sempre temuto, e che ora potrebbe insorgere per istigazione iraniana. Gli USA non abbandoneranno i Sauditi al loro destino dall’oggi al domani, né lasceranno che il paese cada apertamente sotto il dominio dell’Iran – ma i Sauditi hanno capito che non possono più delegare la propria sicurezza, e sono molto spaventati.
Poi c’è Israele: un altro paese che per la propria sicurezza ha bisogno della protezione di un grande paese, almeno per avere gli armamenti che non possono essere fabbricati all’interno. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i viaggi-lampo dei governanti israeliani in Russia, probabilmente per scandagliare a fondo la posizione russa nei confronti della sicurezza di Israele. Anche in questo caso non è pensabile che gli USA abbandonino di punto in bianco l’alleato al proprio destino, ma gli Israeliani sanno di non poter più contare sull’aiuto diplomatico USA, sul suo sostegno nei confronti dei vicini, se non in caso di pericolo eccezionalmente grave. Dovranno ripensare le strategie regionali, giocando le poche carte che hanno.
Ovviamente la grande incognita è proprio l’Iran: dopo l’eliminazione delle sanzioni darà priorità a rafforzare la propria traballante economia, ma che indirizzo darà alla propria futura politica regionale? La tregua servirà soltanto a rafforzare un Iran aggressivo e ostile nei confronti dell’Occidente, di Israele e dei vicini? È quello che i vicini temono. Non c’è segno che la politica degli Ayatollah si faccia ideologicamente più tollerante: anzi, le esecuzioni capitali sono sempre più numerose e più frequenti, centinaia ogni mese, nel totale disinteresse del resto del mondo.
Polonia e Romania sono già davanti a una scelta che ora è più difficile di sei mesi fa: proseguire o non proseguire con le basi antimissili previste dalla NATO sul loro territorio, rivolte – ufficialmente − a intercettare un eventuale attacco dall’Iran. I Russi hanno sempre tentato di bloccare la creazione di queste basi, che comportano la presenza di soldati ONU, prevalentemente americani, sul territorio di Romania di Polonia, sostenendo che si tratta in realtà di un sistema pensato contro la Russia e le sue attrezzature militari. Lo scorso mese si è tenuta la cerimonia di inaugurazione dei lavori per la base in Romania, che dovrà essere ultimata entro il 2015, tre anni prima di quella in Polonia. Ora la Russia ha molti più argomenti per indurre Polonia e Romania a far marcia indietro: il pericolo iraniano è declassato, il ruolo russo è ampliato, la fiducia nella ‘protezione’ degli alleati da parte degli USA è scemata.
Un altro paese che sentirà presto le ripercussioni dell’accordo è l’Afghanistan, dove il presidente Karzai proprio in questi giorni ha rifiutato di firmare l’accordo per la presenza di un contingente di sicurezza americano dopo il ritiro della NATO, che avverrà entro il prossimo anno. L’Afghanistan diventerà certamente terreno di scontro indiretto fra l’Iran e l’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita, insieme al Pakistan, ha avuto un ruolo di primo piano nel sostegno ai vari gruppi jihadisti fin dall’epoca della ribellione contro i Sovietici in Afghanistan. L’Iran, che confina direttamente con l’Afghanistan, cercherà certamente di esercitarvi influenza e di contrastare i jihadisti sunniti.
La Turchia deve ripensare la propria strategia in Medio Oriente: il tentativo di estendere la propria influenza nei territori che un tempo facevano parte dell’impero turco è naufragato in Siria. In Siria la Turchia non è riuscita a giocare nessun ruolo di rilievo, ma si trova a dover sostenere centinaia di migliaia di profughi, mentre la questione dei Curdi all’interno della Turchia è stata rinfocolata dalla maggiore autonomia guadagnata sul terreno dai Curdi in Siria e in Iraq negli ultimi anni.
I piccoli paesi del Caucaso temono ora un Iran risorgente ai propri confini e soprattutto temono un’intesa Russia-Iran, che li schiaccerebbe in mezzo. Neppure il ricorso alla protezione della Turchia come terzo grande attore regionale sembra oggi promettere molto, perché anche la politica regionale turca è in brandelli.
L’Arabia Saudita è il paese oggi in maggiore difficoltà. Fin dalla sua creazione nel 1919 è stata completamente sotto la protezione prima dell’Inghilterra poi degli Stati Uniti. La sua importanza come principale fornitore di petrolio e come custode de La Mecca e Medina, città sacre dell’Islam, ne ha sempre fatto un paese che l’Occidente non poteva lasciar cadere in mano ai rivali. Gli Stati Uniti protessero perciò i Sauditi prima dal socialismo pan-arabo, poi da Saddam Hussein quando invase il Kuwait, e dalle pretese iraniane sulle acque del Golfo che alcuni chiamano Arabico, altri Persiano. In Arabia c’è una corposa minoranza sciita, che i Sauditi hanno sempre temuto, e che ora potrebbe insorgere per istigazione iraniana. Gli USA non abbandoneranno i Sauditi al loro destino dall’oggi al domani, né lasceranno che il paese cada apertamente sotto il dominio dell’Iran – ma i Sauditi hanno capito che non possono più delegare la propria sicurezza, e sono molto spaventati.
Poi c’è Israele: un altro paese che per la propria sicurezza ha bisogno della protezione di un grande paese, almeno per avere gli armamenti che non possono essere fabbricati all’interno. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati i viaggi-lampo dei governanti israeliani in Russia, probabilmente per scandagliare a fondo la posizione russa nei confronti della sicurezza di Israele. Anche in questo caso non è pensabile che gli USA abbandonino di punto in bianco l’alleato al proprio destino, ma gli Israeliani sanno di non poter più contare sull’aiuto diplomatico USA, sul suo sostegno nei confronti dei vicini, se non in caso di pericolo eccezionalmente grave. Dovranno ripensare le strategie regionali, giocando le poche carte che hanno.
Ovviamente la grande incognita è proprio l’Iran: dopo l’eliminazione delle sanzioni darà priorità a rafforzare la propria traballante economia, ma che indirizzo darà alla propria futura politica regionale? La tregua servirà soltanto a rafforzare un Iran aggressivo e ostile nei confronti dell’Occidente, di Israele e dei vicini? È quello che i vicini temono. Non c’è segno che la politica degli Ayatollah si faccia ideologicamente più tollerante: anzi, le esecuzioni capitali sono sempre più numerose e più frequenti, centinaia ogni mese, nel totale disinteresse del resto del mondo.
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