Elezioni, avviso a Grillo: la crisi impone vere risposte.
Scritto il 28/5/13
una premessa per un calcolo oggettivo del voto alle amministrative di Roma:
2008 Roma: PD voti 521.880
2008 Roma: M5S voti 40.473
2013 Roma: PD voti 267.605
2013 Roma: M5S voti 130.635
considerato l'astensionismo il non voto è quello non dato ai partiti istituzionali, altrimenti commentate voi.
Il clamoroso scivolone delle amministrative lascerà il segno: il “Movimento 5 Stelle” dimezza i voti delle politiche e non riesce a mandare al ballottaggio nemmeno un candidato. Secondo Marcello Foa, il leader del M5S è stato «bravissimo nell’interpretare il malessere del paese fino al febbraio scorso, ma pessimo nella selezione dei candidati alle politiche». Soprattutto, spicca la «manifesta incapacità di adeguare il linguaggio e la linea politica al dopo-elezioni: ha continuato ad urlare e a insultare come prima, non rendendosi conto che per ampliare il consenso avrebbe dovuto puntare sulla credibilità». La fuga dalle urne, dopo le manovre di palazzo che hanno portato alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale e alla nascita del governo delle larghe intese, secondo Peter Gomez dimostra come, ormai, un numero enorme di elettori si riconosca in un celebre aforisma di Mark Twain: «Se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare».
Il dato che più colpisce, aggiunge Gomez sul “Fatto Quotidiano”, non è l’astensione o l’ottimo risultato di Ignazio Marino, l’ex senatore democratico schierato contro l’inciucio e per Stefano Rodotà al Colle, che ha significativamente scelto lo slogan “Non è politica, è Roma”. A far rumore è il crollo del M5S, ovunque attestato sotto quota 15%, e spesso sotto l’8%. Certo, Grillo ha avuto contro i media mainstream. Ma «fare la vittima non paga, a meno che non ti chiami Silvio Berlusconi e hai ha disposizione giornali e televisioni. Paga invece la verità e la chiarezza. Anche perché, a oggi, lo zoccolo duro del M5S ruota solo intorno ai MeetUp e vale meno del 10%. Tutto il resto è voto di opinione. Che, con pazienza, va guadagnato elettore per elettore». Sia chiaro, aggiunge Foa nel suo blog sul “Giornale”: Grillo resta forte, in Parlamento. Ma l’impressione è che la dinamica si sia spezzata: «Non ha più il vento in poppa e più che avanti può andare indietro, per colpe proprie più che di altri».
Errori madornali: dopo le politiche, Grillo avrebbe dovuto «abbassare i toni senza rinunciare alla denuncia, dimostrando di saper gestire naturalmente la truppa di deputati e senatori, senza diktat autoritari». E poi, ovviamente, avvalersi di «collaboratori preparati, competenti e fidati, e non di un solo guru (Casaleggio) e di tanti consulenti improvvisati». Se lo avesse fatto, aggiunge Foa, avrebbe saputo leggere e prevenire la “guerra” della comunicazione che gli è stata dichiarata dall’establishment, e che ha perso, come da copione. Drastico il giudizio di Carlo Bertani: «Gli errori del duo Grillo-Casaleggio sono immensi, incredibili, pazzeschi», perché «se costruisci un movimento così importante fino al punto d’occupare quasi un terzo del Parlamento, qualche risposta – dopo – la devi dare». Troppo vaghi su tutto, i grillini, lontani dal cuore della crisi, timorosi di contrariare il leader, intrappolati nelle irrilevanti polemiche sulla diaria dei parlamentari mentre il paese sta letteralmente colando a picco, giorno per giorno.
Imperdonabile, secondo Bertani, l’errore strategico commesso dopo il voto di febbraio, quando i “101” ribelli del Pd non votarono Prodi: «Una volta che i tuoi fantaccini risposero picche a Bersani, questi si fregarono le mani, fecero fuori il tuo “Gargamella” e corsero da Berlusconi per continuare tutto come prima, affari compresi», scrive Bertani rivolgendosi direttamente a Grillo. «La Finocchiaro esternò che “non c’erano mai state intenzioni serie di fare un governo Pd-M5S”. Non t’è mai passato per la testa che la Finocchiaro fa parte della “carica dei 101”?». E ancora: «Gli italiani che t’avevano votato non desideravano che le tue povere ed impreparate truppe perdessero i giorni e le notti a fare i conti degli scontrini. Fatto un prelievo sullo stipendio base (come faceva il Pci un tempo), credevano che potessero in seguito essere liberi di mangiare una pizza dove e come volevano», e soprattutto di «occuparsi di politica vera, che ce ne sarebbe un gran bisogno».
Gli italiani hanno semplicemente riflettuto: «Se nemmeno questi fanno una mazza, non serve scaldarsi per andare a votare». Altra accusa, a Grillo: «Non hai capito che avresti avuto l’occasione di fare una trattativa seria – detto in soldoni, avevi Bersani per le palle – e che l’Europa doveva stare a guardare, non aveva scelta». Incuneandosi nel palazzo attraverso lo “smacchiatore”, secondo Bertani, Grillo avrebbe potuto far molto per proiettare l’Italia verso la grande vertenza con l’Unione Europea e la Bce, per metter fine alla politica di rigore che, in nome dell’euro, sta piegando il paese e tutta l’Europa del Sud. «Già, ma ci voleva un po’ di muso duro, la certezza che in Italia le cose erano cambiate e che si dovesse, per forza, presentare il conto alla Germania». Gli elettori invece hanno visto un altro film. E la loro cocente delusione è stata recapitata in modo inequivocabile nelle urne del 26 maggio.
http://elezioni.interno.it/comunali/scrutini/20130526/G120700900.htm
http://elezioni.interno.it/comunali/scrutini/20130526/G120700900.htm
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