Perché l’America, e non solo l’amministrazione Obama, è estremamente riluttante ad una guerra con l’Iran? Perché nessun presidente, da Reagan a Bush Jr, passando da Clinton e Bush Sr, non ha mai agito direttamente contro l’Iran, nonostante la repubblica degli ayatollah abbia in più di una occasione avuto un ruolo in azioni contro cittadini ed interessi americani nel mondo?
I principali fattori che hanno determinato questa linea di condotta sono in linea di principio almeno tre.
1) L’Iran è una minaccia diretta al regno saudita, se l’Iran venisse reso inoffensivo l’Arabia avrebbe garantita la propria sicurezza anche senza la presenza delle forze americane, l’Irak è stato reso completamente inoffensivo e passeranno almeno quindici anni prima che una forza militare irachena torni a livelli di efficienza degni di un esercito moderno, solo l’Iran oggi minaccia il regno di Riad, ed è una minaccia concreta, una minaccia mortale portata da uno stato con uno degli apparati militari meglio preparati nell’area. È pericoloso quindi per gli americani eliminare la minaccia iraniana, è pericoloso in quanto l’influenza di Washington nei confronti di Riad verrebbe gravemente intaccata.
2) L’Iran è in grado di scatenare una serie di attentati, affidati sia a professionisti del settore che a lupi solitari poco professionali ma difficilmente tracciabili, in molte parti del pianeta, è in grado di ridurre in modo significativo la sicurezza dei cittadini americani in tutto il medio oriente, in una parte considerevole dell’Europa e dell’America latina, così come in vaste aree dell’Asia, senza considerata la capacità delle brigate Al Quds di compiere attentati di una certa levatura anche direttamente sul suolo americano. Un clima di costante preoccupazione alimenterebbe le paure di un’intera nazione.
3) Per ultima la questione di Hormuz e del commercio via mare del petrolio prodotto nel Golfo Persico. L’Iran possiede la sua arma strategica più importante nella capacità di chiudere per un periodo di alcune settimane il traffico commerciale nello stretto di Hormuz, e di rendere insicuro tale passaggio per un tempo indefinito, con conseguenze sul prezzo del petrolio non prevedibili con accuratezza. Conseguenze che potrebbero portare il prezzo del barile di petrolio Brent tra i 235 e i 295 dollari, con effetti a catena sulle economie mondiali. Nel considerare le capacità iraniane di controllare il traffico nello stretto di Hormuz, non basta considerare le capacità di Tehran di chiudere completamente lo stretto al traffico commerciale. Le forze americane, europee e dei paesi del golfo, riuscirebbero nel giro di quattro settimane a riaprire la via commerciale, ma riaprire la via commerciale in questo caso non basta, bisogna renderla sicura, e questo è il ero problema. Se l’Iran volesse potrebbe attuare tattiche di “guerriglia marina” cercando di affondare una superpetroliera ogni otto – quattordici giorni utilizzando missili antinave Yakhont posizionati come riserva in bunker ad alcuni chilometri dalla linea costiera, oppure utilizzando missili più maneggevoli come i francesi Exocet ( o la versione cinese degli stessi ) posizionandoli in posizione utile al fuoco trasportandoli su veicoli civili, oppure ancora utilizzando barchini esplosivi, rapidi ed evasivi, anche se questa ipotesi rimane forse la più remota vista la probabile presenza di elicotteri di attacco Apache con la specifica funzione di eliminare la minaccia dei barchini. Con queste tattiche asimmetriche di “guerriglia marina” lo stretto di Hormuz potrebbe restare non sicuro per mesi con effetti sui prezzi molto simili a quelli di un blocco completo dello stretto stesso.
Ecco tre buoni motivi per i quali l’America non è mai stata particolarmente entusiasta di aprire un confronto militare con la repubblica iraniana, ma oggi sul piatto della bilancia viene messa la possibilità che si assista ad una proliferazione nucleare di proporzioni bibliche in medio oriente.
1) L’Iran è una minaccia diretta al regno saudita, se l’Iran venisse reso inoffensivo l’Arabia avrebbe garantita la propria sicurezza anche senza la presenza delle forze americane, l’Irak è stato reso completamente inoffensivo e passeranno almeno quindici anni prima che una forza militare irachena torni a livelli di efficienza degni di un esercito moderno, solo l’Iran oggi minaccia il regno di Riad, ed è una minaccia concreta, una minaccia mortale portata da uno stato con uno degli apparati militari meglio preparati nell’area. È pericoloso quindi per gli americani eliminare la minaccia iraniana, è pericoloso in quanto l’influenza di Washington nei confronti di Riad verrebbe gravemente intaccata.
2) L’Iran è in grado di scatenare una serie di attentati, affidati sia a professionisti del settore che a lupi solitari poco professionali ma difficilmente tracciabili, in molte parti del pianeta, è in grado di ridurre in modo significativo la sicurezza dei cittadini americani in tutto il medio oriente, in una parte considerevole dell’Europa e dell’America latina, così come in vaste aree dell’Asia, senza considerata la capacità delle brigate Al Quds di compiere attentati di una certa levatura anche direttamente sul suolo americano. Un clima di costante preoccupazione alimenterebbe le paure di un’intera nazione.
3) Per ultima la questione di Hormuz e del commercio via mare del petrolio prodotto nel Golfo Persico. L’Iran possiede la sua arma strategica più importante nella capacità di chiudere per un periodo di alcune settimane il traffico commerciale nello stretto di Hormuz, e di rendere insicuro tale passaggio per un tempo indefinito, con conseguenze sul prezzo del petrolio non prevedibili con accuratezza. Conseguenze che potrebbero portare il prezzo del barile di petrolio Brent tra i 235 e i 295 dollari, con effetti a catena sulle economie mondiali. Nel considerare le capacità iraniane di controllare il traffico nello stretto di Hormuz, non basta considerare le capacità di Tehran di chiudere completamente lo stretto al traffico commerciale. Le forze americane, europee e dei paesi del golfo, riuscirebbero nel giro di quattro settimane a riaprire la via commerciale, ma riaprire la via commerciale in questo caso non basta, bisogna renderla sicura, e questo è il ero problema. Se l’Iran volesse potrebbe attuare tattiche di “guerriglia marina” cercando di affondare una superpetroliera ogni otto – quattordici giorni utilizzando missili antinave Yakhont posizionati come riserva in bunker ad alcuni chilometri dalla linea costiera, oppure utilizzando missili più maneggevoli come i francesi Exocet ( o la versione cinese degli stessi ) posizionandoli in posizione utile al fuoco trasportandoli su veicoli civili, oppure ancora utilizzando barchini esplosivi, rapidi ed evasivi, anche se questa ipotesi rimane forse la più remota vista la probabile presenza di elicotteri di attacco Apache con la specifica funzione di eliminare la minaccia dei barchini. Con queste tattiche asimmetriche di “guerriglia marina” lo stretto di Hormuz potrebbe restare non sicuro per mesi con effetti sui prezzi molto simili a quelli di un blocco completo dello stretto stesso.
Ecco tre buoni motivi per i quali l’America non è mai stata particolarmente entusiasta di aprire un confronto militare con la repubblica iraniana, ma oggi sul piatto della bilancia viene messa la possibilità che si assista ad una proliferazione nucleare di proporzioni bibliche in medio oriente.
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