spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

giovedì 30 maggio 2013

La giustizia globale

La giustizia globale. Tutelare i deboli nell’era della crisi planetaria.

«La sfida oggi è affrontare la crisi umana: diseguaglianza,
 deprivazione e insicurezza economica e ambientale. 










di Amartya Sen

Possiamo comprendere la gravità della crisi globale in corso solo se esaminiamo quel che sta accadendo alla vita reale degli esseri umani, specialmente alle persone meno privilegiate, al loro benessere e alla loro libertà di vivere vite umane dignitose. Non possiamo cogliere la gravità dei problemi che si trovano ad affrontare limitandoci a considerare il Pil e altri indicatori che descrivono le condizioni economiche della libertà umana invece della libertà umana in se stessa: la sua portata e tangibilità, e naturalmente la sua deprivazione e il suo declino. E sarebbe opportuno preoccuparsi dei guai e delle tribolazioni delle persone del mondo intero invece di restare confinati con lo sguardo ai nostri più prossimi vicini. Per riuscirvi, il perseguimento della giustizia globale è di una importanza ineludibile. (...)

Difformemente dall’approccio del contratto sociale che, costitutivamente, deve essere limitato alle persone di un particolare Stato sovrano, l’approccio alternativo può coinvolgere persone di qualunque parte del mondo, poiché l’enfasi in questo caso è sull’accordo ragionato invece che sul contratto sociale basato sullo Stato. Questa differenza rende possibile discutere della «giustizia globale», che è essenziale per affrontare problemi come le crisi economiche globali, il riscaldamento globale o la prevenzione e la gestione delle pandemie globali (come l’epidemia dell’Aids).

In contrasto con il vecchio approccio del contratto sociale alla giustizia che ha finora dominato l’indagine filosofica e professionale della giustizia, troviamo in questo approccio alternativo una focalizzazione sulla vita delle persone invece che soltanto sulle istituzioni, e una concentrazione di accordo ragionato rispetto a come far progredire la giustizia invece di cercare un ipotetico contratto capace di stabilire una serie di istituzioni perfettamente giuste. Ciò può costituire la base di un ragionamento globale invece del perseguimento della giustizia in nazioni separate con modi circoscritti. (...)

Per comprendere il contrasto fra una visione della giustizia focalizzata sull’accordo e una focalizzata sulla realizzazione, può essere utile fare riferimento a una vecchia distinzione tratta dalla letteratura sanscrita sull’etica e la giurisprudenza. Consideriamo due parole diverse niti e nyayaciascuna delle quali significa giustizia nel sanscrito classico. Fra gli usi principali del termine niti vi sono la proprietà organizzativa e la correttezza della condotta. A differenza di niti la parola nyaya fornisce un concetto esauriente di giustizia realizzata. In questa prospettiva, i ruoli delle istituzioni, delle leggi e dell’organizzazione, per quanto siano importanti, devono essere valutati nella prospettiva più vasta e inclusiva del nyaya che è ineludibilmente legata al mondo così come si manifesta realmente, e non solo alle istituzioni o alle leggi che ci capita di avere.

Per considerare una particolare applicazione di quanto stiamo dicendo, i primi teorici legali indiani parlavano con disprezzo di ciò che chiamavano matsyanyaya, «la giustizia nel mondo dei pesci», dove il pesce grosso può impune-

mente divorare il pesce piccolo. Ci ammoniscono che evitare il matsyanyaya è parte essenziale della giustizia e che è cruciale assicurarsi che la giustizia dei pesci non possa invadere il mondo degli esseri umani. Il riconoscimento centrale qui è che la realizzazione della giustizia nel senso del nyaya non riguarda solo la valutazione delle istituzioni e delle leggi, bensì la valutazione delle società medesime. Indipendentemente dal grado di appropriatezza delle organizzazioni stabilite, se un pesce grosso può ancora divorare un pesce piccolo a suo piacimento, deve esserci una palese violazione della giustizia umana in quanto nyaya. (...)

Il mercato è un’istituzione tra le tante. A parte la necessità di politiche pubbliche a favore dei poveri nella cornice economica (politiche legate all’educazione di base e alla salute, alla creazione di posti di lavoro, alle riforme terriere, all’accesso al credito, alle protezioni legali, all’aumento delle possibilità e del potere delle donne, ecc.), la distribuzione dei benefici delle interazioni internazionali dipende anche da una varietà di accordi globali (fra cui accordi commerciali, leggi chiare, iniziative mediche, scambi educativi, risorse per la divulgazione tecnologica, politiche ecologiche e ambientali, ecc.). Sono tutte questioni suscettibili di discussione e costituirebbero argomenti importantissimi per il dialogo globale, accogliendo critiche provenienti da vicino e da lontano. Fra i modi in cui la democrazia globale può essere perseguita vi sono il fermento pubblico attivo, il commento delle notizie e la discussione critica, e tutto questo può essere esercitato senza attendere che vi sia uno Stato globale. 

La sfida oggi è il rafforzamento di questo processo di partecipazione già attivo, da cui dipenderà largamente il perseguimento della giustizia globale. È chiaro che sarebbe necessario risolvere oggi la crisi finanziaria ed economica, ma oltre a questo vi è la sfida della crisi umana connessa alla diseguaglianza, alla deprivazione e all’insicurezza economica e politica oltreché ambientale. Riuscire a pensare travalicando i confini nazionali e porsi coscientemente problemi sulla giustizia globale può rafforzare i canali che già esistono per migliorare la libertà umana e la giustizia sociale e può aprirne di nuovi al servizio di questa causa così importante. I problemi che dobbiamo affrontare oggi possono essere cospicui e difficili, ma la sfida di superare queste avversità globali non è solo un impegno necessario, può anche essere un’entusiasmante impresa globale.

La disperazione è una caratteristica soggettiva delle menti prigioniere, non una caratteristica oggettiva del mondo in cui viviamo. Le nostre menti hanno la capacità di una prospettiva e di una comprensione molto vaste, e le nostre riflessioni possono essere ulteriormente allargate dall’uso della nostra capacità di riflettere valendoci anche dei ragionamenti che sanno trascendere i confini nazionali. Non vi è alcuna reale necessità di rinchiudere le nostre fervide menti in scatolette di provincialismo. «Dovunque vi sia un’ingiustizia, c’è una minaccia alla giustizia in ogni altro luogo del mondo», disse Martin Luther King, Jr., in una lettera dal carcere di Birmingham, mezzo secolo fa, nell’aprile del 1963. Sarebbe difficile oggigiorno trovare un programma più urgente del perseguimento delle istanze di giustizia globale.

(29 maggio 2013)

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