Condannato Silvio, ma l’Italia resta schiava di Bruxelles.
Chi ha tempo da perdere si balocchi pure con le discussioni di giornata: la politicizzazione o meno della magistratura, e in particolare di quella milanese, la rilevanza giudiziaria delle “festicciole” di Arcore costellate di ragazze a dir poco disinvolte, l’indignazione dei berluscones, tra un Giuliano Ferrara che chiama alla protesta in piazza (piazza Farnese… un salottino nel pieno centro di Roma) e intanto pubblica sul “Foglio” un titolone (provocatorio, ça va sans dire) che suona “Siamo tutti puttane”, un Maurizio Gasparri che ribadisce la sua fedeltà assoluta al boss con un incondizionato «al nostro leader confermiamo il nostro sostegno, in ogni momento e per ogni decisione», e un mucchio di altri che si precipitano a indignarsi-costernarsi-prostrarsi nell’ora (forse) fatale del Silvicidio. Eccetera eccetera eccetera, visto che la diatriba è in piedi da quasi vent’anni e di argomenti sui quali intrattenersi ce ne sono a iosa.
Chi invece non abbocca, ed è determinato a vedere al di là della superficie, si risparmi il disturbo e si concentri, una volta di più, sulle questioni davvero importanti. Le trasformazioni socioeconomiche in atto. Il governo “di larghe intese” che è la prosecuzione, con un blando restyling, di quello di Mario Monti. Il livello miserrimo delle classi dirigenti e dei media che fanno loro da cassa di risonanza, senza mai sbugiardarne in via definitiva la pochezza, l’ipocrisia, l’asservimento a interessi che tutto sono tranne che quelli della popolazione nel suo insieme. Messa in questi termini, la condanna di Berlusconi non è solo marginale. È irrilevante. Come dimostrano al massimo grado le vicende parlamentari degli ultimi due anni, dalle dimissioni del novembre 2011 in poi, la contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra è una mera messinscena per nascondere le loro sostanziali, e obbligate, convergenze di carattere strategico.
Un accordo sotterraneo, ma tutt’altro che invisibile, che certamente lascia spazio alle numerosissime lotte di potere tra le diverse fazioni, cordate, camarille, che si contendono i privilegi materiali e immateriali derivanti dal controllo di questo o quel pezzetto dell’immane puzzle che intreccia le istituzioni pubbliche e le imprese private. Tuttavia, dietro il perpetuo incontro-scontro dei diversi egoismi, la logica è comune, e trascende le vittorie o le sconfitte degli uni o degli altri. Berlusconi, o per meglio dire il berlusconismo, è servito ad accelerare la disgregazione collettiva, tanto economica quanto culturale ed etica, che doveva preludere al nuovo assetto che si sta imponendo. Ora, nel consolidarsi di questo processo, va progressivamente accantonato come forza di governo e ridotto a (pseudo) opposizione, secondo il classico e ingannevole schema del bipolarismo.
Considerata l’età ormai avanzata del Cavaliere, che il prossimo 29 settembre compirà 77 anni, e la palese mancanza di una personalità in grado di sostituirlo al vertice del Pdl, la direzione di marcia va verso un compattamento in chiave centrista del quadro politico. E ciò per il semplice motivo, semplice ma agghiacciante, che la linea viene dettata dalla finanzainternazionale, per cui il dibattito interno deve essere il più possibile fittizio. Il resto è il solito teatrino. Avanspettacolo nel caso di Ruby e delle altre figuranti in servizio ad Arcore. Parodia nei capipopolo occasionali alla Ferrara. E lo stesso, con le opportune variazioni, vale sull’altro lato del buffet: vedi il governo “meticcio” di Enrico Letta, che ha la sua massima novità nella ministra Kyenge. Cianciando dello ius soli, si prova a nascondere il vero leitmotiv: lo ius soldi.
(Federico Zamboni, “Condannato Silvio, l’Italia rimane il solito schifo”, da “Il Ribelle” del 25 giugno 2013).
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