spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

domenica 29 giugno 2014

L'IMBONITORE PER REALIZZARE IL SUO PROGRAMMA SI FIDA DELL'IGNORANZA COLLETTIVA.

Renzi promette più disoccupazione.


Gli elettori di Renzi non sanno come va un'economia moderna: è una tribù convinta che con certe litanie su Sky e sul Corriere l'economia magicamente si riprenda.



























di Daniele Basciu.

Era già scritto nel DEF di Aprile 2014, dove il Governo prevede, da qui al 2018, di:

1) AUMENTARE LE TASSE
2) AUMENTARE IL SALDO PRIMARIO (cioè preleverà PIU' TASSE di quanto spenderà)
guidi tabella
In presenza di risparmio è necessario che ci siano dei deficit a controbilanciare il risparmio stesso, perchè ci sia la piena occupazione.  

Il Governo Renzi aveva quindi già deciso di NON FARE DEFICIT, cioè aveva deciso di IMPEGNARSI AD AUMENTARE I DISOCCUPATI e i FALLIMENTI DELLE AZIENDE che chiuderanno per diminuzione di clienti in grado di spendere e fare acquisti.

Gli elettori di Renzi sono completamente all'oscuro del funzionamento di un'economia moderna. Si tratta di una specie di tribù convinta che recitando certe litanie e formule su Sky e sul Corriere della Sera l'economia magicamente si rimetta in moto; sono i flagellanti delle processioni sacre, che mentre il celebrante recita i riti si battono sulla schiena con dei giunchi per propiziarsi la divinità.



Questa non è più economia, è antropologia. Il DEF è il testo sacro,subordinato a Trattato di Maastricht Fiscal Compact, testi sacri di ordine superiore in cui sono scritte le regole. Il ruolo dell'officiante è trovare le formule per rivolgersi alle masse. Così Renzi nello stesso discorso dichiara:
- "o l'Europa cambia direzione di marcia o non esiste possibilità di sviluppo e crescita"
- "Noi non chiediamo violare la regola 3%"
Renzi farà l'austerity, come i testi sacri prescrivono, e
PROMETTE MENO DEFICIT E QUINDI PIU' DISOCCUPATI

Ma l'elettore di Renzi che ha in casa un figlio disoccupato, o un parente artigiano che chiude perchè non ha più clienti, assiste alla celebrazione del rito ed è felice, sta bene. "C'è qualcuno", pensa, "che si prende cura di me".

Non è economia, è antropologia.


Fonte: http://econommt.wordpress.com/2014/06/25/renzi-promette-piu-disoccupazione/.

DE BENEDETTI, IL SERVITORE OMOLOGATO DEL PARTITO-AZIENDA

De Benedetti, fustigatore del 'pubblico' e 'locusta' in privato.

Le banche chiudono i rubinetti alle piccole imprese sane, ma con Sorgenia hanno concesso centinaia di milioni mentre accumulava spaventose perdite. Com'è accaduto?
di Claudio Conti.




















Se uno vuol capire bene cos'è il governo Renzi, il "sistema Pd", il senso comune "contro il pubblico" e altre stronzate di successo di questi tempi, è bene che guardi a Carlo De Benedetti, proprietario del gruppo Repubblica-L'Espresso, ovvero il primo caso di "partito-azienda" in questo paese (proprio così: è arrivato prima di Berlusconi, anche se ha "vinto" soltanto ora, dopo aver sponsorizzato e bruciato decine di aspiranti "salvatori della patria": De Mita, Craxi, Segni, Rutelli, D'Alema, Veltroni, Bersani, ecc).
Curiosità: anche lui, come Sergio Marchionne, ha preferito farsi "naturalizzare" come cittadino svizzero, chissà perché...
Un esempio solare viene dalla vicenda Sorgenia, società controllata dalla Cir (finanziaria della famiglia De Benedetti) fino a pochissimo tempo fa. Quando, cioè, le perdite sono diventate tali da convincere il boss di Repubblica e tessera n. 1 del Pd a mollare tutto nelle mani delle banche creditrici. Le quali ora si ritrovano a gestire 1,8 miliardi di "sofferenze" (l'eufemismo con cui definiscono i prestiti che non rientraranno mai più in cassa) e a dover trovare qualcuno - nessuno - che acquisti una società ormai valutata zero euro.

Perché è illuminante (al di là delle facili battute sul fatto che Sorgenia si occupa di forniture elettriche)?

Perché il comportamento delle banche è stato paradigmatico: in piena crisi finanziaria, mente chiudevano i rubinetti del credito sia a piccole e medie imprese che alle famiglie, mentre chiedevano "rientri" anche di pochi euro a clienti giudicati "non solidi"... continuavano a prestare centinaia di milioni a De Benedetti, per una società che non ha mai fatto un euro di guadagno e accumulava decine di milioni di perdite l'anno. Evidentemente, nella valutazione sulla solidità delle "garanzie" offerte da Cir, c'era non soltanto la grande ricchezza della famiglia, ma anche il "peso politico" da questa esercitato tramite i media e il Pd.
Se tutto fosse limitato o limitabile a questo solo aspetti, potremmo chiuderla qui e definire De Benedetti un pessimo imprenditore (basterà ricordare la distruzione della Olivetti, da lui comprata quando era ancora un'azienda all'avanguardia in campo informatico), con il pallino della politica.

Purtroppo la sua golden share sul Pd (su Renzi, in questo momento) e il controllo di un gruppo mediatico che "fa opinione" nella parte (poco) progressista del paese ci obbliga a mettere a confronto la "locusta" De Benedetti (la definizione è de IlSole24Ore, girate lì la querela per diffamazione!) con il "fustigatore" De Benedetti.
Sul suo giornale - "suo" in senso stretto, proprietario - ma anche sul foglio di Confindustria (IlSole24Ore) si esercita spesso in infuocati editoriali contro la pubblica amministrazione, l'invasività dello Stato (in toni non molto dissimili da LIbero o Il Giornale, peraltro), la fannullonaggine dei lavoratori pubblici (che licenzierebbe tutti volentieri, polizie a parte), indicando cosa va cambiato in Italia e come. A suo insindacabile parere.
Ecco, i due ruoli ("locusta" e "moralizzatore") a noi sembrano decisamente incompatibili. Qualcosa che trova un paragone calzante solo con i numerosi "conflitti di interesse" berlusconiani. Ma di questo maleodorante impasto sembra fatta la classe dirigente italica. Tutta intera.

fonte:  http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=105968&typeb=0&De-Benedetti-fustigatore-del-pubblico-e-locusta-in-privato-

sabato 14 giugno 2014

GIORGIO GABER: SIAMO DUE MISERIE IN UN SOLO CORPO

Qualcuno era comunista e voleva un’umanità felice




Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no. Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre. Qualcuno era comunista perché si sentiva solo. Qualcuno era comunista perché aveva avuto una educazione troppo cattolica. Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche – lo esigevano tutti. Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto. Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto. Qualcuno era comunista perché prima – prima, prima – era fascista. Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano, ma lontano. Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo. Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari. GaberQualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio. Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio. Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio. Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente. Qualcuno era comunista perché la borghesia, il proletariato, la lotta di classe… Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre. Qualcuno era comunista perché guardava solo Rai Tre. Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione. Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto. Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il materialismo dialettico per il Vangelo secondo Lenin. Qualcuno era comunista perché era convinto di avere dietro di sé la classe operaia. Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri. Qualcuno era comunista perché c’era il grande partito comunista. Qualcuno era comunista malgrado ci fosse il grande partito comunista. Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio. Qualcuno era comunista perché abbiamo avuto il peggior partito socialista d’Europa. Qualcuno era comunista perché lo Stato, peggio che da noi, solo in Uganda. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi democristiani incapaci e mafiosi. Qualcuno era comunista perché Piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera…
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista. Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia. Qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos’altro. Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana. Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri. Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno; era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto questo slancio, ognuno era come… più di sé stesso. Era come… due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita. No. Niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare… come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’altra il gabbiano senza più neanche l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito. Due miserie in un corpo solo.
(Giorgio Gaber e Sandro Luporini, “Qualcuno era comunista”, dall’album “La mia generazione ha perso”, aprile 2001).
http://www.libreidee.org/2013/12/qualcuno-era-comunista-e-voleva-unumanita-felice/

secondo Jp Morgan la nostra Costituzione antifascista che difende il lavoro è da buttare via.

Jp Morgan ringrazia Renzi e gli ingenui elettori italiani


Scritto il 11/6/14 


In nessun altro paese europeo il ceto politico soffre di una particolare condizione di debolezza che invece registriamo in Italia, ossia la dipendenza strutturale dalle sorti di una sola persona: Matteo Renzi. «Se Renzi fosse risultato sconfitto alle urne – scrive Claudio Martini – il ceto politico sarebbe rimasto decapitato, diffondendo il caos nelle file della classe politica e minando alle fondamenta il complesso dell’euro». Si era aperta anche in Italia una finestra di opportunità per sbarazzarsi della casta politica, ma quella finestra ora si è bruscamente chiusa: «L’Europa si trovava ad un bivio, il 25 maggio: in Italia avrebbe trovato il proprio rilancio o la propria crisi. Sappiamo come è andata». I primi a festeggiare, manco a dirlo, sono gli analisti dell’ufficio studi della Jp Morgan, quelli secondo cui la nostra Costituzione antifascista che difende il lavoro è da buttare via. Ha vinto il loro uomo: dicono che il trionfo di Matteo renderà l’Italia più forte a livello europeo, e più stabile l’Unione nel suo complesso.
«Il Pd di Renzi è stato il soggetto politico più votato in Europa, in termini assoluti», ricorda Martini in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”: il Jamie Dimon, ceo di Jp Morgan Chasepartito già di Veltroni, D’Alema e Bersani ha avuto 11 milioni e centomila suffragi contro i 10 milioni e trecentomila della portaerei di Angela Merkel, la Cdu-Csu. In termini percentuali è stato superato solo dall’ungherese “Fidesz” di Viktor Orbàn (51%), ultra-nazionalista e non certo europeista. In perfetta controtendenza rispetto al resto d’Europa, il Pd stravince pur essendo pro-Bruxelles e trovandosi al governo. «Le forze politiche “sistemiche”, in primo luogo quelle riconducibili alle famiglie del Pse e del Ppe, sono naufragate in molti importanti contesti nazionali», aggiunge Martini. Si ritrovano sotto shock in Grecia, in Francia, nel Regno Unito e in Spagna. Ovunque raccolgono consenso liste anti-euro o almeno euroscettiche.
«Apparentemente si è trattato di una generale débacle dei partiti socialisti – e il desolante risultato elettorale del Ps di Hollande sembra eloquente in tal senso». Eppure, a ben vedere, il risultato europeo potrebbe rivelarsi una grande vittoria del programma politico della socialdemocrazia europeista, forte del nuovo asse tra la Spd tedesca e il nuovo Pd renziano. «Entrambi i soggetti avevano e hanno una reciproca convenienza a collaborare: Martin Schulz contava molto sul successo elettorale del Pd per ottenere un buon risultato del Pse all’Europarlamento; a Renzi serviva un alleato a Berlino per assicurarsi che la Germania avrebbe dato il proprio consenso ad un allentamento dei parametri europei. Tutti e due condividevano il medesimo progetto politico: salvare l’euro e l’Unione Europea mediante un progressivo smantellamento dell’austerità sul piano continentale, e proseguire lungo il percorso dell’accentramento di poteri e competenze presso le istituzioni Bersani e Schulzeuropee (essenzialmente Commissione e Bce). E ora hanno vinto», per la gioia dei super-banchieri mondiali, tifosi delle grandi privatizzazioni.
«Già nel corso del 2011-2012 – continua Martini – il ceto politico-tecnocratico italiano, con Draghi e Monti, riuscì nell’impresa di salvare l’Eurozona dalla dissoluzione. Facendo sudare sangue agli italiani, questo ceto riuscì a imporre una propria leadership nello scenario europeo. L’esito delle elezioni del 2013 mandò all’aria molti piani, e per circa un anno l’Italia non ha preso iniziative importanti in ambito Ue». Dopo le elezioni europee, «considerando che Londra ha già un piede fuori dall’Unione (e Hollande li ha entrambi nell’immondezzaio della storia)», c’è già chi parla di nuovo asse Roma-Berlino, mentre Draghi promette una svolta monetaria espansiva e anti-deflazione, suggellata dalla presidenza italiana del “semestre europeo”. Vecchia storia: «Il ceto politico italiano è intimamente convinto di non poter esercitare alcuna influenza, a livello globale, al di fuori del perimetro del progetto europeista. Questa è la grande differenza con gli establishment degli altri paesi dell’Europa Occidentale».

http://www.libreidee.org/2014/06/jp-morgan-ringrazia-renzi-e-gli-ingenui-elettori-italiani/

LA VOCE DELLA RUSSIA: LA PERDITA' DELLA SOVRANITA' E LA FORZATA COLONIZZAZIONE FRANCO-TEDESCA

Elezioni europee, Italia pronta a farsi colonizzare

Elezioni europee, Italia pronta a farsi colonizzare

Le elezioni europee incombono, ma in Italia pare che ad andare al voto sia il nostro Parlamento. Qualcuno si è preso la briga di guardare i siti dei maggiori partiti italiani? Tranne qualche sporadico accenno, non vi è alcuna sezione dedicata alle elezioni europee, né ai programmi che le formazioni politiche applicheranno durante il loro mandato.

Una scelta quantomeno discutibile, visto che proprio in seno all’Europa si giocherà la partita fondamentale dei prossimi mesi per il futuro dell’Italia. Una nazione che più di altre, seguendo pedestremente e maldestramente le idee di austerity imposte dai burocrati di Strasburgo, ha aggravato la sua situazione economica e che ormai risulta essere sull’orlo di una vera e propria “crisi di nervi” sociale.
Negli ultimi due anni, tutti i partiti italiani si sono riempiti la bocca d’Europa per giustificare misure da lacrime e sangue: ora, arrivati al dunque, non esprimono una sola parola sulle azioni che porteranno avanti qualora eletti nell’assise comunitaria. Uno spettacolo desolante, figlio di una politica provinciale che misura le sue fortune in base alla cura del piccolo orticello, invece di occuparsi di quella grande idrovora che si chiama Unione Europea. Si noti, l’utilizzo del termine “idrovora” non è buttato lì a caso; infatti, per stare nel club europeo l’Italia versa ogni anno tra i 22 e i 24 miliardi di euro. E ora calcoliamo i benefici che ne ricava: il saldo tra i fondi versati a Bruxelles e quelli ricevuti è negativo a ammonta a 22 miliardi di euro, che dal 2007 al 2011 l’Italia ha lasciato nelle casse dell'Unione Europea. Un bel salasso che i cittadini italiani ripianano con generosità grazie alle tasse.
Purtroppo, la scelta diseconomica di restare in Europea non si ferma qui, se si pensa che solo per finanziare i costi del semestre di Presidenza dell'Unione Europea, il premier Letta aveva stanziato nella manovra finanziaria 68 milioni di euro, soldi che vanno a coprire costi di Delegazione quali il noleggio di autovetture, la manutenzione di queste, l'acquisto di arredi, le spese per il personale. Lo stanziamento è diviso in 56 milioni per il 2014, 2 milioni per il 2015 e 10 milioni che saranno ripartiti tra tutti gli altri Ministeri impegnati nelle attività del semestre europeo. Tutto ciò va ad aggiungersi ai tanto vituperati costi interni della politica: con l’aggravante rispetto a quest’ultimi che oggi nei portali dei grandi partiti italiani non vi è traccia di ciò che andranno a dire in Europa se vinceranno le elezioni.
E si badi bene, non è sufficiente inserire un banner sul proprio sito scrivendo No Euro, come fatto dalla Lega Nord, o Più Italia in Europa, meno Europa in Italia, come pubblicato da Forza Italia, o L’Italia vince battendo il rigore, slogan rannicchiato in un angolino del sito del Partito Democratico. Ad ogni motto conseguono degli effetti che sarebbe giusto raccontare ai cittadini nella loro portata totale, per evitare fraintendimenti e bruschi risvegli. Ma c’è di più: vi è anche chi preferisce giocare con le parole pur di non affrontare i temi cardine per i quali si dibatte a Bruxelles, cioè la difesa comune, il rispetto delle peculiarità territoriali, il divieto di aggressione del tessuto produttivo dei Paesi in difficoltà, la determinazione di politiche industriali comunitarie a tutela delle produzioni nazionali, il rispetto della sovranità popolare, la gestione in comune delle politiche e dei costi riguardanti l’immigrazione clandestina, sopportati in particolare dai Paesi del Mediterraneo.
E questi sono solo alcuni. Infine, resta ancora aperta la riflessione su come i partiti italiani vogliano affrontare l’annessione silenziosa di migliaia di aziende nazionali in capo a grandi gruppi francesi e tedeschi. Perché nei palazzi di cristallo dell’UE ci si scandalizza se un popolo vota liberamente un referendum e sceglie di andare sotto un’altra Federazione, ma ci si abbandona serenamente al “lasciar fare” se a perire sotto il fuoco amico sono migliaia di posti di lavoro di Paesi non congeniali ai vertici dell’UE.
Si tratta di una situazione realmente paradossale, dove si comprende fino in fondo la debolezza dell’Italia dei mille campanili, la quale rischia di vedere la propria folta compagine di eletti naufragare tra sigle e siglette, rimanendo poi col cerino in mano, senza alcun potere contrattuale. Diventando una volta per tutte mera “colonia” franco-tedesche.
http://italian.ruvr.ru/2014_04_16/Elezioni-europee-Italia-pronta-a-farsi-colonizzare-3061/

PRESSIONI DEGLI USA SUGLI ALLEATI EUROPEI PER BLOCCARE I GASDOTTI RUSSI, POSSIBILI ACCORDI TRA RUSSIA E TURCHIA

Ankara-Mosca: prova di resistenza per le loro relazioni economiche e commerciali

Ankara-Mosca: prova di resistenza  per le loro relazioni  economiche e commerciali

Il Primo Ministro bulgaro Plamen Vasilev Oresharski ha dichiarato che la Bulgaria ha fermato i lavori preparatori per la costruzione del gasdotto "South Stream" con la scusa che la Commissione Europea sospetta che il progetto non ha gli standard antitrust dell'UE.

Questa affermazione il Primo Ministro bulgaro l'ha fatta dopo un incontro con un gruppo di senatori americani. Secondo Oresharski, il futuro del progetto sarà determinato da una consultazione con Bruxelles.
Tuttavia, il Ministero dell'Energia della Federazione Russa ha riferito di non avere ancora ricevuto notifica formale dalla Bulgaria della avvenuta sospensione dei lavori. La Bulgaria, come è accaduto più di una volta, è possibile che ancora cambi la sua posizione e sostenga il progetto nonostante la pressione degli Stati Uniti. Anche perché in caso di interruzione del transito del gas attraverso l'Ucraina, la Bulgaria sarà la prima a soffrire.
Secondo fatto. Gli Stati Uniti e i suoi partner occidentali stanno cercando di "congelare" qualsiasi fornitura di gas russo verso l'Europa che non passi per l'Ucraina per preservare la dipendenza delle importazioni di gas europei nel tradizionale rapporto fra Mosca e Kiev. Lo stesso Yatsenyuk ha annunciato la ristrutturazione di Naftogaz Ucraina, con conseguente attività della società ad "abbracciare gli Stati Uniti e l'Unione Europea". Cioè, i gasdotti in Ucraina sono sotto il controllo di aziende americane ed europee. Nel caso della realizzazione del "South Stream", il valore di tali attività sarà ridotta a zero.
Bisogna ricordare che gli eventi in corso vennero previsti dalla Turchia. In passato Ankara offrì, al fine di evitare eventuali rischi di transito, di far transitare il South Stream sul suo territorio e non attraverso la Bulgaria. Questa possibile soluzione è stata menzionata dal Presidente russo Vladimir Putin, spiegando che se Bruxelles continuerà a "mettere i bastoni tra le ruote" al progetto, la Russia prenderà in considerazione altre opzioni con transito del gasdotto in stati che non sono inclusi nell'Unione Europea, facendo riferimento alla Turchia. A sua volta, Ankara, con il suo Ministro dell'Energia e delle Risorse Naturali Taner Yildiz ha fatto sapere che è "pronta a discutere di questa opzione se arrivasse una richiesta dalla Russia". L'unico dubbio è se la Turchia saprà resistere alla pressione degli Stati Uniti.
Una nota a proposito è necessaria. La Turchia ha espresso il desiderio di aumentare il volume degli acquisti di gas dalla Russia attraverso il "Blue Stream" che fornisce gas naturale russo alla Turchia attraverso il Mar Nero bypassando paesi terzi. Importante è capirne il motivo e la spiegazione é che per la Turchia non ci sono alternative al gas russo nei prossimi anni.
Ci sono anche altre ragioni importanti per cui il governo turco cerca di rafforzare la cooperazione con la Russia. Alla Turchia l'accesso alla UE è meno probabile per una serie di motivi perfino per un suo presunto ruolo, secondo Bruxelles, negli eventi in Ucraina. Alla Turchia, così come successo alla Bulgaria, può essere amplificata la pressione degli Stati Uniti e dai suoi alleati per obbligarla ad imporre sanzioni antirusse, ma Ankara resiste. Molti esperti turchi affermano che qualunque strada politica intrapprenda la Turchia le sanzioni da Ankara verso la Russia non verranno mai prese in consideratzione, a meno che non si offra in scambio qualcosa di molto "grande e importante".
Così, per Mosca e Ankara arriva il momento della verità dei loro decennali rapporti bilaterali commerciali ed economici . Un modo di dire russo afferma in questi casi che "è necessario controllare sette volte prima di eliminare qualcosa", perchè ognuno avrebbe qualcosa da perdere.

http://italian.ruvr.ru/2014_06_12/Ankara-Mosca-prova-di-resistenza-per-le-loro-relazioni-economiche-e-commerciali-7194/

ROBERTO NARDELLA: LO SCETTICISMO DELL'EURO NEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE

Teoria della “moneta diluita”


di Roberto Nardella

Poco tempo fa abbiamo visto quali erano le “forze” delle monete nel 1980 e nel 1999 che poi sarebbero confluite nell’euro. (Globalizzazione) Da quei semplici dati si evinceva chiaramente che Paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia sarebbero stati stritolati da questo meccanismo. Era evidente che anche la Francia avrebbe avuto grossi problemi di sostenibilità.
Voglio ricordare che uno studio simile era possibile farlo anche all’epoca, allora, perché mai si decise comunque di addivenire alla creazione dell’obbrobrio-euro?
Furono i governi dell’epoca a decidere?
O piuttosto le multinazionali europee e non che sponsorizzavano i governi già dall’epoca?
Potevano gli industriali dell’epoca avere così tale presa sui governanti da indirizzarli a prendere tale nefasta decisione?
I politici erano consci di fare esclusivamente il bene delle lobby industrial-finanziarie?

italia america
























Per cercare di capirne di più dobbiamo fare un salto indietro, sino agli anni ’50.
L’Italia repubblicana nacque liberista e tra le nazioni europee fu quella che maggiormente prese a modello gli Stati Uniti. Le ingerenze statunitensi negli affari interni italiani erano (e sono) all’ordine del giorno. Le elitès industriali italiane puntarono ad imitare appieno il modello USA. Anche lì, anzi, soprattutto lì, nella “liberissima” Amerika, il divario di reddito tra i ricchi ed industrializzati stati del nord e i poverissimi stati del sud era abnorme. Ad esempio, la deindustrializzazione di Detroit non è stata solo frutto delle delocalizzazioni all’estero: molte aziende trasferirono le loro sedi in Alabama e Mississippi, dove grazie a quelle che potremmo definire “gabbie salariali” e all’incostituzionalità dei sindacati (in questi due stati sono vietati per legge) e ad altri forti incentivi inerenti la tassazione ebbero enormi risparmi. Il solito mantra: ridurre i costi e aumentare i profitti.



catena



La competitività effettuata sulla pelle dei lavoratori senza erodere i ricavi, anzi.
Detroit, dagli anni ’50 ad oggi, è passata da 1,8 milioni di abitanti a 713.000, svuotando letteralmente interi quartieri. Detroit, aveva assunto il nomignolo di “Motown” ed era la IV città degli USA, oggi è al 18esimo posto.
Nell’intera Storia degli USA, in termini percentuali, solo New Orleans ha perso più abitanti a causa di “katrina”. Nel Michigan, un operaio della General Motors o della Ford poteva permettersi una vita agiata pur essendo l’unico a lavorare in famiglia. Questa era la “middle class” che ha fatto grande gli USA. La sola GM aveva più di 1,2 milioni di dipendenti, di cui circa ¼ del totale nel Michigan. I salari di GM erano tra i più alti in assoluto e permettevano ad un operaio specializzato di mantenere senza problemi la famiglia, permettendo loro di mandare i figli alle high-school, di avere una bella casa con tanto di prato e giardino e di fare le vacanze almeno una volta all’anno. Le gabbie salariali hanno portato un po’ di benessere in quelle regioni poverissime ma hanno inferto un colpo mortale a Detroit e soprattutto alla middle-class americana, inaugurando un ciclo continuo di ribassi salariali che hanno portato la Wall-Mart a scrivere davanti agli ingressi del personale una frase che dice più o meno così: “con il salario che percepirete da noi non pensate di poter far vivere la vostra famiglia …”. Il salario standard di Wall-Mart è inferiore ai 900 dollari/mese e non include assicurazioni, carta health-care, accantonamento pensionistico, ferie pagate e/o tredicesima. Tanto lavori e tanto ti pago. Che differenza ci possa essere tra un lavoro del genere ed un lavoro completamente a NERO devo ancora capirlo. L’attrito che provoca la sperequazione salariale tra regioni che fanno parte della stessa nazione sono foriere di grossi ed irrisolvibili problemi che i “trasferimenti fiscali” non riescono a colmare. L’emigrazione forzata ha svuotato intere regioni, sovrappopolandonealtre: uno sciame di locuste impazzite che si muove alla ricerca di una stabilità economica o del “sogno americano”. Una nazione così grande, anche se è una federazione, avrebbe bisogno di diverse valute complementari che potrebbero, mediante una banda di oscillazione ben concordata, alleviare i problemi. Ad esempio, l’Alabama e il Mississippi avrebbero bisogno di una valuta di un 20% più bassa di quella del Texas o del New Jersey. Per allineare gli scompensi della differenza di prezzo che avrebbe il dollaro tra un texano rispetto ad un abitante dell’Alabama il gov centrale dovrebbe operare così: a fine anno lo Stato centrale pretenderebbe il saldo di valuta in dollari dagli Stati in surplus per darla a quelli in minus, riallineando le disparità. La moneta complementare di ogni stato potrebbe fare in modo di avere uno sviluppo più regolare per il proprio territorio, facendone così una “area valutaria ottimale”. Il prezzo di un “big-mac”, in questo modo, sarebbe diverso tra una zona e l’altra, spingendo la regione in surplus ad “importare” prodotti e manufatti dalla regione in minus , creando sviluppo e limitando fortemente la migrazione di lavoratori che mette in crisi strutturale interi territori. Gli USA non sono MAI stati una AVO. Alla fine è SEMPRE e SOLO il sostanziale PAREGGIO tra le BILANCE COMMERCIALI tra Stati che eviterebbe (o quantomeno limiterebbe fortemente) le crisi periodiche derivanti da debito verso l’estero a cui assistiamo. La “diluizione” del dollaro che ha reso competitive le loro merci nasceva da questo ENORME divario tra il ricco nord ed il poverissimo sud. Chiaramente si aveva l’esercito di riserva di lavoratori a basso salario e anche un enorme mercato di sbocco per i prodotti industriali del nord. Un dollaro di New York è identico a quello di Orlando. L’abbandono di intere regioni a favore di altre che offrono lavoro è una costante negli USA. Il senso di appartenenza ad un territorio, semmai fosse esistito, è stato completamente cancellato. La distruzione della famiglia e l’imbarbarimento della società statunitense trae le sue origini in tutto ciò. Una società dell’EGO che smaterializza sentimenti e legami, dove il business è l’unico scopo della vita e che prepara la gente alla competizione continua, dove se arrivi secondo non hai nessun merito o riconoscimento di sorta.




italia divisa



In Italia, la sperequazione di redditi tra il ricco nord e il poverissimo meridione probabilmente non aveva eguali in tutta l’Europa occidentale. In Italia ci sono stati sempre DUE, forse anche tre Nazioni, distinte e separate. Dall’unificazione in poi il divario economico tra nord-centro e sud si è sempre più accentuato, mostrando una timida inversione di tendenza solo negli anni settanta. Mentre il reddito procapite italiano cresceva fortemente dal 1950 al 1980, recuperando completamente la media europea e avvicinandosi a quello statunitense, la differenza di tale reddito restava accentuata, anzi incrementava, tra nord-centro e sud. Il reddito procapite delle industrializzate regioni del nord Italia è da sempre stato uguale, se non maggiore, alle zone più ricche d’Europa Se l’Italia, ipoteticamente, nel 1948 fosse stata divisa in due, con i confini all’altezza del Lazio, difficilmente avremmo avuto le dinamiche economiche che conosciamo. La forza dell’industria e gli alti redditi dei cittadini di questa ipotetica nazione del nord-centro Italia avrebbero portato ad una maggiore richiesta di valuta dall’estero per acquistare merci e manufatti prodotti in loco con il risultato scontato di vedere salire fortemente il valore della valuta locale e nello stesso tempo, simmetricamente, avremmo visto una contrazione dell’export. La Germania sta facendo ciò con l’euro: senza i “vasi di coccio” che hanno “diluito” il valore dell’euro, facendo media al ribasso, la richiesta di euro-marco per acquistare i loro prodotti avrebbe portato la valuta alle stelle, rendendo i prodotti di altre nazioni più attraenti. Non è difficile pensare che il sud Italia avrebbe attratto maggiori investimenti, favorito da una valuta più debole e da costi più bassi. Forse anche l’instaurazione di più monete complementari (sul modello già esplicato prima relativo agli USA) sarebbe bastato a far crescere il reddito procapite in maniera più razionale, evitando soprattutto la tragedia relativa all’emigrazione di massa che non fa altro che minare per SEMPRE lo sviluppo del territorio abbandonato.

Questo problema lo sollevava poco tempo fa anche il prof. Claudio Borghi Aquilini. Il “miracolo italiano” è stato possibile anche grazie alle enormi differenze di un’Italia divisa in due ma sotto un’unica moneta. Il “miracolo tedesco” a cui stiamo assistendo inermi, alla stessa stregua, trae dall’unione monetaria i suoi enormi vantaggi. Da sempre sappiamo che le esportazioni di manufatti sono avvantaggiate da una valuta debole. Ce lo dice l’esempio della Cina che, artificiosamente ed in QUALSIASI modo, tiene basso il valore dello Yuan per tale non troppo velato scopo.

Il meridione abbandonato e deindustrializzato è servito per DILUIRE il valore della moneta Lira, unitamente al grande vantaggio di avere l’esercito di riserva di lavoratori a bassissimo reddito del sud che avrebbe fatto da calmiere al mercato del lavoro del ricco nord (leggi curva di Phillips), oltre a servire da mercato di sbocco ai prodotti dell’industria settentrionale.

Ai ricchi e potenti industriali, sponsorizzati dalla politica USA, conveniva tale situazione: erano ancora lontani i tempi della globalizzazione con annesse delocalizzazioni selvagge poiché una Stato ancora forte impediva la libera circolazione di capitali oltre frontiera. Negli anni ’70 si tentò in tutti i modi di portare ricchezza ed investimenti al sud. Partirono ingenti programmi di infrastrutture statali (spesso anche inutili) e arrivò anche un po’ di industria privata fortemente sovvenzionata dal governo ma, come ben sappiamo, il progetto è fallito miseramente. Agli occhi dei meridionali le industrie aperte al sud, soprattutto se statali, apparivano un modo per avere un reddito garantito con il minimo impegno possibile. Nella memoria storica del sud era ancora ben presente la guerra civile ed il bagno di sangue che ne conseguì ai tempi dell’unificazione coatta dell’Italia. Lo Stato, al sud, era visto come un nemico: tutto ciò che era pubblico poteva essere saccheggiato e vituperato. Comunque ciò servì per effettuare quel minimo recupero di reddito procapite da parte del meridione a cui accennavo prima ma innescò il problema più grave che affligge tuttora il sud Italia: il clientelismo a tutti i livelli. La bramosia di avere quel “posto fisso” , meglio se statale, che dava la sicurezza di un reddito mai stato certo prima, spingeva e spinge il meridionale ad usare tutti gli strumenti disponibili, convenzionali e non, compreso la corruzione vera e propria, pur di ottenere l’agognato impiego. Per un napoletano o un barese ecc avere uno stipendio come un milanese o un bolognese ecc era un ENORME vantaggio: la vita molto meno cara del sud dava l’agio che a nord, a parità di lavoro, non si sarebbe mai avuto.

I politici, da sempre, hanno trovato in questo modo un’ENORME bacino di voti di riserva da tenere sotto ricatto. Il resto sono ovvietà che vi risparmio. Posso affermare senza rischio di essere contraddetto che il Popolo meridionale, benché non esente da colpe gravi, è stato voluto così ed è rimasto tale: consumatore-cittadino di serie “B” che non è mai passato al rango di cittadino di serie “A”. In Italia, i servizi, il welfare e lo stesso Stato sociale sono sempre stati diversi: un sistema efficiente e ricco al nord-centro e un sistema appena sufficiente al sud. Con l’avvento dell’euro queste asimmetrie si stanno attenuando. Verso il basso. Un “ciclo di Frenkel” all’interno della stessa nazione, ammortizzato solo dai trasferimenti fiscali che man mano che passavano gli anni si trasformavano sempre più in elemosina e che ha raggiunto oramai il mero assistenzialismo.

Se l’Italia meridionale avesse avuto un’altra moneta, sicuramente meno forte, probabilmente era il sud che avrebbe esportato verso il nord (ma non solo) e non il contrario, riequilibrando la situazione ed evitando la tragedia dell’emigrazione di massa cha ha IMPOVERITO per sempre quella meravigliosa terra e che è PREPOTENTEMENTE ritornata, interessando ancora una volta un meridione sempre più povero ed abbandonato a se stesso, ostaggio della criminalità organizzata e di politici e amministratori incompetenti e corrotti. Nel meridione si sperimentò il vincolo fisso, compreso tutte le altre storture che oggi stiamo vivendo con l’euro. Una volta la meta preferita dal messinese o dal crotonese era Torino o Milano, oggi, e anche per il milanese e il torinese, è Berlino o Dusseldorf … come cambiano i tempi.



sud



L’Italia sta all’Euro-pa come il meridione stava all’Italia, con l’aggravante di non avere ne trasferimenti fiscali e ne, tanto meno, quella spesa a deficit garantita da uno Stato sovrano che tenne in piedi il “Belpaese” sino al 1981. L’Italia, per quanto erano grandi le asimmetrie tra nord-centro e sud, non è MAI stata una “area valutaria ottimale”. Intanto il “sogno euro-peo” cominciava ad essere inculcato alle masse, partendo dalle scuole elementari di tutta Europa. L’accelerazione per perseguire tale scopo incrementò notevolmente negli anni ’70: sarebbero occorsi molti anni perché quelle generazioni che non avevano nulla più in comune con la tragedia della guerra potessero maturare un senso di appartenenza continentale.

Lo scopo della UE è sempre stato questo: EDUCARE a DIMENTICARE quanto occorso nei secoli passati, compreso le DUE luttuosissime guerre che hanno interessato il nostro continente in meno di 30 anni. Guerre che nacquero entrambe dalle intransigenze di parte e dalle INCOLMABILI divisioni e contrapposizioni degli stessi Stati europei. In Germania, le elitès industriali caldeggiarono l’unificazione tra le due Germanie e applicarono quanto fatto dalle elitès italiane. Il loro meridione era l’est, la ex DDR. Quanto accadde lì dal punto di vista economico, seppur con dinamiche diverse, è molto simile a quanto occorso al meridione d’Italia. Vi erano tutti gli ingredienti necessari per realizzare il grande progetto. In brevissimo tempo il governo dell’iper euro-peista Kolhn deindustrializzò la ex DDR, consegnando agli industriali tedeschi l’esercito di riserva di lavoratori a basso costo che avrebbe ridimensionato fortemente le velleità salariali del maturo mercato del lavoro della Germania ovest. Si creò un nuovo mercato di sbocco per le industrie: la ex DDR fu inondata dai prodotti della Germania ovest, mettendo in moto il già collaudato “ciclo di frenkel”.

Tutto ciò ha una forte similitudine con quanto successo all’Italia del “miracolo economico”. La compressione salariale in Germania ebbe inizio in quegli anni ed ebbe il suo apice nel 2003, sotto il governo Shroeder, con la riforma del lavoro denominata Hartz-IV : portò alla sotto occupazione di massa. Oggi, nella ricca Germania, quasi il 30% dei lavoratori percepisce un reddito pari a 400/450 euro mensili con paga oraria lorda tra le più basse in assoluto: 9 euro/ora. Questo è il “miracolo” tedesco.



bandiera italia sgretolata



L’intera Euro-pa è indirizzata su quella strada: 
recuperare la competitività persa con l’avvento della globalizzazione sulle spalle dei lavoratori, a detrimento della stabilità, dei legami affettivi e della sicurezza che un buon reddito ti garantisce. Se non hai lavoro in Italia devi spostarti in altro luogo ma alle loro condizioni e con salari che ti permetteranno (forse) di sopravvivere, senza che un sacrificio simile sia più ricompensato dalla speranza di un futuro migliore nella tua terra d’origine. Dopo la polverizzazione dell’impero URSS, le elitès europee ebbero gioco facile a far legalizzare anche la libera circolazione delle persone, importando in realtà economiche avanzate (che vedevano crescere diritti e retribuzioni dei salariati simmetricamente ai profitti aziendali) decine di milioni di nuove unità lavorative a bassissimo costo, mettendole in concorrenza tra esse. La grancassa mediatica, rimbambendo tutti gli euro-pei, gridava a gran voce “più euro-pa” e NOI TUTTI, generazioni dagli anni ’60 in poi, fummo convinti che quella era la strada giusta.

L’agricoltura italiana fu stravolta e semi distrutta da regole calate dall’alto dalla UE e supinamente accettate dai nostri politici. Anche la scuola e la sanità cominciarono ad avere profondi e radicali cambiamenti. L’industria, grazie alle nuove leggi euro-pee che abrogavano qualsiasi protezionismo nazionale atto a tutelare il lavoro e che limitavano fortemente la libera circolazione dei capitali, cominciò a delocalizzare. Già dal 1987, con quello che fu chiamato “SME credibile”, le Nazioni che facevano parte del serpente monetario entravano in regime di vincolo fisso (si poteva svalutare o rivalutare del 2,5%), eliminando l’ombrello del cambio flessibile che serviva a Paesi con inflazione più elevata a scaricare le tensioni interne sul cambio e non sui salari. Con lo SME credibile si mise fine alla PRIMA barriera protezionistica che uno Stato può vantare: la possibilità della svalutazione monetaria che rende più appetibili i prodotti nazionali esportati all’estero e più onerosi i prodotti di importazione. Del resto, come disse anche Da Rold del sole24ore, “se non puoi svalutare la moneta devi svalutare i salari”.
Adottando l’euro le nazioni marco-centriche hanno avuto l’enorme vantaggio di “diluire” il super-marco con dracma, peseta, escudo, lira e anche franco traendone immani benefici. Oggi, se esistesse ancora il DM (marco tedesco) varrebbe un buon 30% rispetto al valore massimo dell’euro contro dollaro: almeno 1,8/1,9, ovvero quasi il doppio del dollaro stesso. Una cosa non capisco: qual è stata la convenienza francese ?…. A distanza di anni ancora non trovo una giustificazione a tutto ciò.

Anche lì la bramosia di pochi ha prevalso sulla buona ragione, abbattendo con uno stupidissimo quanto inutile sogno un sistema quasi perfetto, creato per la pace sociale. L’unica “AVO” che io conosca è la federazione Elvetica che arrivò alla moneta unica parecchio dopo una vera e propria integrazione dei Cantoni che col tempo divenne unione politica. La sola lingua dissimile tra tutte le Nazioni della UE basta e avanza a far si che l’Europa resti come è sempre stata: un bellissimo posto per viaggiare e conoscere le 1000 anime diverse provenienti ognuna da una MILLENARIA cultura diversa. Dopo trecento anni che i tedeschi avranno imparato la nostra lingua potrei anche dare il consenso a tale eresia. Sciogliere la UE e tornare alla CEE è l’unica cosa sensata che si possa fare per il bene dell’intera popolazione europea. Prima che sia troppo tardi. Di moneta “diluita” me ne basta una: la Lira italiana.


http://scenarieconomici.it/teoria-moneta-diluita/

RENZI: PER RILANCIARE L'ECONOMIA DOBBIAMO UTILIZZARE PRUDENZA E SAGGEZZA

Renzi, la tartaruga e il cavallo

13 - 06 - 2014Antonello Di Mario





Per superare l’attuale situazione di crisi bisogna puntare sul capitale umano, sia nella manifattura sia nelle società di servizi. Si deve ripartire dalle persone e i giovani sono portatori sani di innovazione ed energia
Ogni tanto una buona notizia, cioè la crescita annua dell’1,6 per cento della produzione industriale. Era da agosto di tre anni fa che non si registrava una dato simile. È un segno appena percettibile della possibilità di passare dalla peggior crisi ad un inizio di ripresa. La situazione contingente ancora non aiuta l’ottimismo: nel 2014 si prevede in ambito nazionale una crescita del Pil dello 0,5 per cento, una disoccupazione complessiva del 13 per cento, una disoccupazione giovanile superiore al 45 per cento.
Lavoratori ed imprese, quindi, destinati a tirare la cinghia. Di fatto, la percentuale positiva della produzione industriale è come una fiammella accesa nel buio più profondo. Una luce che rappresenta l’Italia che può farcela se riesce a fare le riforme, a garantire la governabilità, ad alzare la testa soprattutto nel prossimo semestre di presidenza italiana in Europa. Insomma, ce la si può fare partendo proprio da una rinascita industriale che, per essere tale, deve poggiare su un Paese che riesce a fare sistema. Si deve far squadra, per porre in essere una politica industriale, moderna, efficace ed europea, con una medesima logica comune tra lavoratori, imprese ed istituzioni.
Lo abbiamo scritto più volte: per agganciare la crescita, da soli si va veloci, ma insieme si può andare lontano. E’ ormai un dato di fatto che resistono e si sviluppano solo quelle imprese capaci di esportare ed internazionalizzarsi. In questo senso, ci ha fatto piacere la metafora usata dal premier Matteo Renzi nel suo recente viaggio in Asia insieme ad una delegazioni di imprenditori italiani: “Abbiamo da fare un miracolo –ha detto il giovane Presidente del Consiglio- tenere insieme la tartaruga e il cavallo, la prudenza e la saggezza, insieme alla capacità di correre”.
Un cammino che impone la difesa ed il rilancio della manifattura nei processi economici della Ue, attraverso ceti produttivi impegnati ad innovare costantemente, ad investire nelle competenze scientifiche e tecnologiche, non trascurando le potenzialità del Mezzogiorno. In questo contesto non può andare perduta la possibilità di attuare una coerente politica economica e fiscale, dato che, per le recenti decisioni della Bce, il nostro tasso di interesse sui titoli decennali è sceso al 2,7 per cento, allineandosi a quelli americani ed inglesi.
È la situazione idonea per attuare una semplificazione del diritto, una fiscalità sostenibile, infrastrutturazioni materiali ed immateriali. Anche le Regioni possono fare la loro parte migliorando le condizioni della logistica, incoraggiando le nuove imprese innovative, fornendo servizi all’altezza dei mercati globali. In ambito locale la sofferenza dei cittadini cresce. I tributi locali sono aumentati di oltre il 620% mentre il combinato mal disposto di Imu-Tasi-Tari rischia incidere sull’incremento della pressione fiscale. Ma per superare l’attuale situazione di crisi bisogna puntare sul capitale umano, sia nella manifattura sia nelle società di servizi. Si deve ripartire dalle persone e i giovani sono portatori sani di innovazione ed energia. Bisogna ripartire da quel senso di responsabilità che ha dimostrato l’Italia col voto europeo.
http://www.formiche.net/2014/06/13/renzi-la-tartaruga-il-cavallo/




l’Italia è il vero anello debole della Ue, dove questa potrebbe teoricamente spezzarsi

L’Ue è un fallimento economico, l’Italia è ferma da 20 anni


Scritto il 12/6/14


Dopo mezzo secolo, il bilancio economico dell’Europa unita è fallimentare: solo un incremento del 5% dalla metà degli anni ‘50, secondo i dati raccolti da Andrea Boltho e Barry Eichengreen nel 2008, cioè prima dello scoppio della crisi finanziaria. Da allora al 2013, dopo cinque anni di recessione, il Pil dell’Eurozona non ha ancora recuperato il livello del 2007, segnala Perry Anderson. Quasi un quarto dei giovani europei sono disoccupati, in Spagna e in Grecia i dati sono catastrofici: 57 e 58%. E persino in Germania, il paese che spaccia come un successo l’aver accumulato surplus commerciale grazie al super-export, gli investimenti sono stati tra i più bassi delle economie del G7. Sempre in Germania, la percentuale di lavoratori a basso salario (quelli che guadagno meno di due terzi del reddito medio) è la più alta di ogni altro Stato dell’Europa occidentale. «Queste sono le più recenti letture dell’unione monetaria», sintetizza Anderson: «I medicastri dell’austerità hanno salassato il paziente, non l’hanno riportato alla salute».
In questo scenario, il nostro paese è considerato il malato più grave. «Dall’introduzione della moneta unica – scrive Anderson su “Sinistra in rete” Barry Eichengreen– l’Italia ha segnato il dato economico peggiore di ogni altro stato dell’Unione: vent’anni di stagnazione virtualmente ininterrotta a un tasso di crescita ben inferiore a quello di Grecia o Spagna». Il debito pubblico italiano è superiore al 130% del Pil. E l’Italia non è certo un paese periferico: è uno dei sei membri fondatori, negli anni ‘80 membro del G7 e quinta potenza industriale del mondo. Tuttora, l’Italia è seconda in Europa – dopo la Germania – per industria manifatturiera ed esportazioni. Le emissioni del Tesoro italiano costituiscono il terzo maggiore mercato di titoli sovrani del mondo. Attenzione: quasi metà del debito pubblico italiano è detenuto all’estero: il dato paragonabile del Giappone è inferiore al 10%. «Nella sua combinazione di peso e di fragilità, l’Italia è il vero anello debole della Ue, dove questa potrebbe teoricamente spezzarsi».
Proprio per evitare il tracollo finale dell’Italia – che metterebbe fine alla stessa Unione Europea – secondo Anderson è possibile che Renzi abbia qualche chance: Bruxelles potrebbe concedere qualche sconto sul rapporto deficit-Pil in cambio delle “riforme” neoliberiste promesse, che – tra flessibilità sul lavoro, nuova legge elettorale e nuova ondata di privatizzazioni – assottigliano ulteriormente il già esile margine di residua sovranità nazionale. «L’Italia non è un membro ordinario dell’Unione – conclude Anderson – ma non è neppure deviante da qualsiasi standard cui potrebbe essere riferito. C’è un’espressione consacrata per descrivere la sua posizione, molto usata dentro e fuori dal paese, ma è sbagliata. L’Italia non è un’anomalia in Europa. E’ molto più prossima a esserne un concentrato».