spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

lunedì 25 agosto 2014

LE REGOLE DEL CALIFFATO NERO SONO GLI ORRORI DELLE ORTODOSSIE E GLI ERRORI DELL'OCCIDENTE.

Cristiani in croce e decapitati. Ecco la legge del Califfato nero


Due tubi d’acciaio uniti a formare una "t". Una croce improvvisata. Un patibolo per i traditori. Questa è la legge del Califfato

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Due tubi d’acciaio uniti a formare una "t". Una croce improvvisata. Un patibolo per i traditori. Questa è la legge del Califfato. Su queste croci vengono appesi cristiani, yazidi, musulmani sciiti, sunniti accusati di combattere contro l’Isil. Una punizione che secondo la loro personale interpretazione del Corano va comminata a coloro che non rispettano la legge. Ma non è l’unico orrore che i militanti del Califatto nero si vantano di compiere diffondendo video e foto per propagandare quello che chiamano vittoria. Sono quotidiane esecuzioni pubbliche con taglio della gola di quelli che vengono definiti traditori del Profeta. Sgozzamenti eseguiti senza pietà su giovani, vecchi con coltellacci e scimitarre ripresi nei dettagli da un operatore che filma ogni istante soffermandosi sui volti delle vittime e compiacendosi del pubblico che approva e riprende le scene con i telefonini. E ancora. Fucililazioni di massa di combattenti nemici e il computo maniacale di quanti soldati dell’esercito iracheno o di quello siriano di Assad vengono eliminati in questo modo barbaro.
Questa è la giustizia del Esercito islamico dell’Iraq e del Levante che ormai occupa un territorio che va dal nord della Siria fino in Iraq dove si insinua per un vasto territorio fino ad arrivare a duecento chilometri da Baghdad. Il Califatto ha conquistato quindici città irachene, pozzi e raffinerie di petrolio in Siria e Iraq. Petrolio che l’Isil vende di contrabbando grazie a mediatori turchi e armeni a prezzi stracciati ma arricchendo le casse del proprio «stato islamico». I miliziani salafiti martedì scorso hanno preso possesso anche della grande diga di Mosul che produce elettricità per grand parte dell’Iraq. E non si fermano davanti a nulla. Padroni ormai di un territorio vasto come il nord d’Italia, ricco di risorse naturali, vedono vicina la vittoria finale e la realizzazione del sogno di un Califfato che comprenda tutto il Medio Oriente. Uno stato che si fonda sulla sharia ma che non è condiviso né da Al Qaeda né dai religiosi sunniti anche quelli più radicali. Lo scontro tra i vertici di Al Qaeda e le formazioni siriane che a essa si richiamano è profondo. Infatti in Siria, favorendo così la resistenza del regime di Assad, l’Isil combatte anche contro il gruppo qaedista Al Nusra e molti dei militanti di questa formazione finiscono crocifissi e sgozzati. Una pratica che va avanti da mesi, da un anno di fronte al quale l’Occidente e gli Stati Uniti che con la guerra a Saddam e la gestione del dopo regime baatista è responsabile di questa degenerazione. Oggi ci sono centomila cristiani in fuga dall’Iraq. Chiese distrutte dalle esplosioni, eppure durante la dittatura i cristiani e le altre minoranze erano garantite. Oggi nessuno è al sicuro. Attaccate e distrutte le moschee sciite, quelle sunnite che celebrano i «piccoli profeti» dell’Islam come è stato per quella di Jonas. Distrutti manoscritti islamici dell’undicesimo e dodicesimo secolo. Distrutto anche il mauseleo eretto a Saddam a Tikrit sua città natale. Ora l’Occidente si sveglia. Si straccia le veste e dopo non aver sostenuto la ribellione laica in Siria cerca di correre ai ripari. Dopo i ripetuti appelli di Papa Francesco Obama, ormai presidente tentenna, studia un piano per spedire i suoi droni e i missili contro le postazioni dell’Isil. Hollande promette aiuti e sostegno ai curdi di Barzani che solo stanno facendo arginare all’avanzata del Califfato. Il nuovo Iraq voluto da Bush ha un premier debole e un esercito inestistente che si è sbriciolato di fronte ai branchi affamati di sangue dell’Isil. Formazione questa creata da Abu Musab al Zarqawi nel 2003, non a caso soprannominato il macellaio di Baghdad. Fu lui a fare degli sgozzamenti in diretta dei prigionieri uno spot di propaganda. Anche Zarqawi arrivò a dissentire con Osama Bin Laden salvo essere poi celebrato, alla sua morte, dallo stesso sceicco di Al Qaeda come il leone dell’Islam.
Ma l’oggi è drammatico molto più di dieci anni fa. E il futuro incerto e rosso di sangue e denso di polvere delle esplosioni dei templi delle diverse religioni ormai messe tutte fuorilegge Abu Bakr al Baghdadi, l’uomo in nero che sogna di ripercorrere i fasti dei califfi dei primi secoli dell’Islam. Ma a quel tempo Saladino lasciava vivere gli ebrei nella loro terra e consentiva il culto nelle chiese cristiane. Era crudele e spietato in battaglia ma rispettava i vinti. Erano secoli bui ma dove un uomo, santo, come Francesco d’Assisi, poteva incontrare e parlare con il Califfo. Oggi è solo sangue, violenza e ipocrisia. L’Isil ha avuto dieci anni, dalla caduta di Saddam, di rafforzarsi, l’Occidente è stato solo a guardare.
Maurizio Piccirilli

http://www.iltempo.it/esteri/2014/08/09/cristiani-in-croce-e-decapitati-ecco-la-legge-del-califfato-nero-1.1296998

L'ITALIA TROPPO GRANDE PER FALLIRE ED E' TROPPO GRANDE PER ESSERE SALVATA.

Troika, rottamare l’Italia, a Renzi restano solo 100 giorni

Scritto il 25/8/14



Troppo grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che, nonostante tutto, è ancora la terza economia europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex democrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di “Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».
Secondo il blog, che per Maria Grazia Bruzzone della “Stampa” ha «occhi sempre aperti sull’Europa», il primo ministro italiano «ha lanciato un Napolitano e Draghimessaggio pericoloso: ha rotto la regola numero 3». Non è stato il primo leader nazionale a farlo, e sappiamo quanto salato sia «il prezzo della trasgressione». Il primo fu il premier greco George Papandreou, che ruppe la “regola numero 2” annunciando nell’ottobre 2011 l’intenzione del suo governo di tenere un referendum sul nuovo accordo di salvataggio dell’Eurozona. «In due settimane venne rimpiazzato dall’ex banchiere centrale ed ex “goldmaniano” Lucas Papademos. Come se non bastasse, uscirono indiscrezioni sul fatto che sua madre avrebbe avuto su un conto svizzero 500 milioni di euro non dichiarati. Un prezzo pesante per un momento di coraggio». Il secondo fu l’allora primo ministro Silvio Berlusconi: nel settembre 2011 «osò discutere in incontri privati con leader dell’Eurozona, presumibilmente Merkel e Sarkozy, l’uscita dell’Italia dall’Eurozona». Risultato: «Prima di dicembre Berlusconi era fuori,Berlusconi e Papandreourimpiazzato dal tecnocrate Mario Monti, già commissario europeo e “goldmaniano” pure lui».
Il messaggio agli altri leader era chiaro: non pensate di mettere a repentaglio il Progetto. Da allora, scrive la Bruzzone citando il blog, la disciplina è stata ripristinata e nessun leader ha più osato infrangere le regole. Fino a Renzi. Che nell’intervista al “Financial Times” «ha pericolosamente rotto» la disposizione numero 3, «che impone di non criticare mai le azioni della Troika o dei suoi componenti». Nemici pericolosi: il bersaglio di Renzi, scrive “La Stampa”, era il presidente della Bce Mario Draghi, «il più intoccabile dei membri della Troika (e rappresentante senior di Goldman Sachs in Europa)». La sua chiacchierata fuori dalle righe – continua il post – era l’ultima escalation in una “guerra verbale” scoppiata dopo l’insinuazione (leggi: minaccia) di Draghi verso l’Italia, da commissariare perché caduta in recessione, visto che non ha fatto abbastanza per “riformare” mercato del lavoro, burocrazie e sistema giudiziario. Il risultato è «un clima sfavorevole per gli investimenti».
In altre parole, quello di cui l’Italia avrebbe bisogno, per Draghi, è «una bella dose di intervento amministrato dalla Troika, che magari  finisca per accelerare la spirale del debito arricchendo gli investitori internazionali». Renzi è sembrato avere altre idee: «Il nostro modello non è la Spagna ma la Germania», ha detto al “Financial Times”. Il blog di Richter ricorda che il premier è arrivato in febbraio promettendo di far uscire l’Italia dalla stagnazione che dura da un decennio. Ma i progressi sono stati lenti: finora si è limitato a togliere 80 euro di tasse ai salari più bassi. Dovrebbe arrivare una riforma della giustizia, ma non ci sono garanzie. E col poco da rivendicare su riforma fiscale e del lavoro, la comunità imprenditoriale si sta innervosendo: temono che Renzi sia solo «un piccolo manager, che punta troppo su un gruppo di amici fidati mentre avrebbe bisogno di consiglieri con esperienza», ha osservato il giornale. Magari alludendo a consiglieri come Carlo Cottarelli, «lo zar della “spending review”». Un tipo «perfetto, in quel ruolo, dopo una vita al Fmi», dove ha diretto il Dipartimento Affari Fiscali. Ma Cottarelli incontra resistenze: «Spetta a Renzi decidere dove fare i tagli, non a un Carlo Cottarelli, ex dirigente Fmitecnocrate», ha detto il primo ministro italiano al “Ft” parlando in terza persona.
Renzi se l’è presa con le lobby degli affari: «Roma è una città piena di lobbisti. In Italia vige un capitalismo di relazioni. Io non sono parte di quel sistema che ha distrutto il paese. Sono solo col 20% degli italiani che mi hanno votato, con gli 11 milioni che hanno votato il mio partito, e soltanto con loro e con la mia squadra il paese cambierà». Questione di principio, arroganza, ingenuità o un mix di tutto questo? Se lo chiede il blogger arrivando alle conclusioni: «Può essere una frase a effetto da dare in pasto al pubblico, o il prodotto di un calcolo molto astuto: vale a dire che attualmente lui – Renzi – riveste in Europa una posizione molto più forte di quanto molti credano». Motivo: «Come terza economia dell’Ue, la debole performance dell’Italia è un grattacapo per Bruxelles tanto quanto, o anche di più, di quanto lo è per Roma. Con 2 trilioni di debito pubblico – il 133% del Pil – l’Italia non è solo troppo grande per fallire, è troppo grande per essere salvata».
«Deporre Renzi – scrive il blog – si rivelerebbe ben più difficile che togliere di mezzo Berlusconi. Dopotutto, anche in un paese che vanta una storia politica moderna come l’Italia quattro leader non eletti in tre anni sarebbero probabilmente un po’ eccessivi: la gente comincerebbe a chiedersi che fine ha fatto la democrazia». Per cui, «se la Troika mirasse a sferrare un altro colpo senza spargimento di sangue, dovrebbe quasi certamente farlo seguire a nuove elezioni». E i maggiori beneficiari della tornata elettorale «potrebbero essere il Pdl di Berlusconi e il M5S di Grillo», cioè «due partiti che non vorrebbero nient’altro che scrivere l’epilogo della breve storia dell’euro». Dunque la Troika «deve per forza riporre eventuali piani nel freezer, almeno per ora». Nel frattempo, «il suo coraggioso (o forse solo pazzo) giovane leader pretende mille giorni per fare i cambiamenti economici e politici che ritiene necessari per il suo paese. Sarà fortunato se ne ottiene cento». Come che sia, conclude “La Stampa”, dopo aver «fatto lo spavaldo» col “Financial Times”, Renzi ha voluto fugare l’impressione di dissapori con la Troika volando subito in elicottero da Draghi e poi incontrando Napolitano. «Sarà anche più forte in Europa di quel che si crede – per mancanza di alternative. Ma è meglio non esagerare».


http://www.libreidee.org/2014/08/troika-rottamare-litalia-a-renzi-restano-solo-100-giorni/

domenica 24 agosto 2014

LA GUERRA DELL'ACQUA E' COMINCIATA IN OGNI ANGOLO DEL MONDO, NEL NOME DELLA GLOBALIZZAZIONE E PER IL CONTROLLO DEL PIANETA.

Israele, il genocidio dell’acqua per sterminare i palestinesi




L’accesso all’acqua potabile è un presupposto essenziale per la sopravvivenza di ogni comunità, e i servizi igienico-sanitari sono altrettanto essenziali per la salute pubblica. Le leggi internazionali universalmente accettate, istituite per proteggere il diritto di accesso all’acqua potabile, sono sistematicamente violate dal governo israeliano nella Palestina occupata, accusa Elias Akleh: Israele «ha trasformato l’acqua in un’arma di genocidio lento e graduale». Cisgiordania e Gaza soffrono la sete, mentre le comunità rurali dipendono dalle magre forniture israeliane. Numeri: nelle principali città, un palestinese ha accesso ad appena 70 litri d’acqua al giorno, contro i 100 litri raccomandanti dall’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nelle campagne la dose scende ad appena 20-30 litri, mentre negli insediamenti israeliani verdeggiano parchi e giardini con piscine. «È stato stimato che il 44% dei bambini palestinesi nelle zone rurali soffrono di diarrea – la maggiore causa di morte dei bambini sotto i 5 anni nel mondo a causa della scarsa qualità dell’acqua e degli standard di igiene».
Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, mentre i coloni israeliani irrigano i loro frutteti consumando anche 400 litri d’acqua al Palestina, il genocidio dell'acquagiorno a persona, le comunità beduine devono cavarsela con 10-20 litri al giorno, acqua di cisterna a bassa qualità. «Consapevoli della disastrosa situazione dell’acqua nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza – scrive Akleh in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – i paesi donatori hanno sostenuto gli sforzi dell’Autorità Palestinese per sviluppare il settore idrico e igienico-sanitario, e hanno destinato fondi per la costruzione di bacini idrici, impianti di trattamento delle acque reflue, e per la riparazione e l’ampliamento delle reti idriche e fognarie». Sono strutture vitali per la popolazione, finanziate dall’Ewash, coalizione che raggruppa 30 Ong internazionali. Eppure, annota Akleh, «con la sua lunga storia di violazioni di molte leggi internazionali, grazie alla collaborazione della sua società idrica nazionale Mekorot e della società agro-industriale israeliana Mehadrin, ilgoverno israeliano ha adottato politiche discriminatorie sistematiche, gravi e dannose, per ostacolare l’accesso all’acqua ai palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, combinato con l’imponente furto delle risorse idriche».
Un rapporto dell’Onu rivela che le società Mekorot e Mehadrin minano gravemente l’accesso dei palestinesi all’acqua, in particolare nella valle del Giordano, pompando l’acqua dei pozzi e delle sorgenti d’acqua palestinesi verso le colonie illegali israeliane (insediamenti) in Cisgiordania. «L’acqua palestinese è stata rubata e convogliata in Israele a costo zero», poi una parte della “refurtiva” viene rivenduta alle città palestinesi: «In questo modo Israele sta rubando ai palestinesi sia la loro acqua che il loro denaro». Tel Aviv, continua Akleh, esercita un potere sottile: «Attraverso la lentezza della burocrazia, blocca la maggior parte delle licenze e i permessi per i nuovi impianti idrici in Cisgiordania, ponendo come condizione la reciproca approvazione da parte dei palestinesi dei progetti nelle colonie illegali, gli insediamenti: un accordo che l’Autorità Nazionale Palestinese rifiuta per paura di legittimare queste colonie». Così, l’Anp non è stata in grado di realizzare infrastrutture su larga scala per proteggere la popolazione: tra il Palestina, repressione israeliana‘95 e il 2011, i palestinesi si sono visti approvare solo 4 progetti su 30 per le acque reflue e appena 3 pozzi agricoli sui 38 richiesti nel solo 2011.
«A causa delle artificiose carenze di acqua imposte da Israele e della mancanza di impianti di trattamento delle acque reflue e delle reti fognarie, la maggioranza dei palestinesi ha dovuto ricorrere alla vecchia pratica di costruire pozzi d’acqua privati, pozzi neri e fosse settiche», racconta Akleh. «Nelle aree rurali i palestinesi dipendono dalle vasche di raccolta d’acqua piovana, dalle cisterne e dai serbatoi d’acqua. Ciò aumenta i timori per la salute pubblica e per i danni all’ambiente». Non è tutto. «Oltre ai tempi prolungati della burocrazia israeliana e al libero furto dell’acqua palestinese, il governo israeliano ha adottato ed attuato politiche e pratiche immorali e illegali, con l’obiettivo di distruggere le risorse idriche palestinesi e di contaminare i loro terreni agricoli per stimolare l’auto-evacuazione dei palestinesi da una zona ambita e la diffusione di una malattia mortale tra i loro bambini cagionevoli». Anche per questo, l’esercito israeliano «svolge ordinariamente quelli che vengono chiamati ordini di demolizione di cisterne comunali e pozzi d’acqua in terreni agricoli privati a causa di una presunta mancanza di autorizzazione». Molte di queste cisterne «sono vecchie di centinaia di anni, più vecchie dello stesso stato illegale di Israele», e includono «serbatoi di acqua trainati da animali e da trattori».
Solo nel 2011 l’esercito israeliano ha demolito 89 strutture “Wash” in Cisgiordania, tra cui 21 pozzi, 34 cisterne e molti piccoli serbatoi rurali nella valle del Giordano. «Tale demolizione comprendeva anche la distruzione degli orti, delle stalle e delle baracche degli animali». Una devastazione che viola l’articolo 53 della Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta la distruzione di proprietà privata o pubblica, ed è una chiara violazione del diritto all’acqua, tutelato dall’articolo 11 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. «Il governo israeliano – continua Akleh – utilizza questa negazione dell’accesso all’acqua per innescare gli spostamenti delle persone, soprattutto nelle zone che fanno parte del programma per l’espansione coloniale, in  particolare per il fatto che queste comunità sono composte per lo più da agricoltori, che dipendono dall’acqua Gaza, bambini in coda per l'acquaper il loro sostentamento. Di solito, l’interruzione della fornitura delle risorse idriche precede l’esproprio dei terreni per nuovi progetti coloniali».
Il muro di separazione per l’apartheid israeliano, 700 chilometri in costruzione dal 2002, «è stato deliberatamente deviato attraverso la Cisgiordania per includere, nella parte israeliana, il ricco e fertile terreno agricolo palestinese con grandi falde acquifere sotterranee, in particolare all’interno delle provincie di Jenin, Qalqilya e Tulkarem». Il muro, continua Akleh, ha ulteriormente ridotto l’accesso dei palestinesi all’acqua e ha portato alla perdita di accesso a 49 pozzi e serbatoi ad uso agricolo e domestico. A Gaza invece si usano i raid aerei per bombardare le risorse idriche e gli impianti di trattamento dell’acqua, le strutture fognarie, e persino le cisterne agricole antecedenti all’istituzione dello Stato ebraico. «Dal 2005 le incursioni militari israeliane hanno intenzionalmente distrutto almeno 300 pozzi agricoli situati nella zona cuscinetto designata da Israele», devastando anche serbatoi d’acqua sui tetti e molti chilometri di tubazioni e reti d’irrigazione. Durante l’operazione “Piombo Fuso”, sono state rase al suolo strutture idriche per un valore di 6 milioni di dollari.
«La situazione a Gaza è particolarmente terribile», sottolinea Akleh. «I palestinesi si basano interamente sulla falda acquifera quasi esaurita, contaminata da acqua salata e dalle acque reflue inquinate, la cui acqua è inadatta al consumo umano». Il brutale assedio imposto da Israele limita l’importazione di molti beni essenziali, tra cui il combustibile necessario per il funzionamento dell’unica centrale elettrica di Gaza. «Senza energia elettrica, gli impianti di trattamento delle acque reflue e le pompe d’acqua in buono stato non possono funzionare, con il conseguente inquinamento prodotto dalle acque reflue». Risultato: «Si stima che 89 milioni di litri di liquami scorrano ogni giorno nel Mar Mediterraneo ad aumentare il livello di nitrati in acqua, fino a sei volte superiore ai limiti dell’Oms di 50 milligrammi per litro. Questo contamina anche il pesce da cui molti palestinesi a Gaza dipendono come principale prodotto alimentare». Fino al 95% dell’acqua estratta dalla falda costiera di Gaza non è adatta al consumo umano. Molte famiglie ripiegano sull’acqua di cisterna, che però è contaminata dai batteri:Il muro che separa israeliani e palestinesi per 700 chilometriper l’Onu, diarrea ed epatite virale sono le principali cause di morbosità nella popolazione dei rifugiati della Striscia di Gaza.
Il danno peggiore alle risorse idriche palestinesi, ai loro terreni agricoli e all’ambiente, è causato dai coloni, gli estremisti religiosi ebraici armati fino ai denti, «guidati dalla loro religione di suprematismo razzista e senza ostacoli», e protetti dal tacito incoraggiamento del governo di Tel Aviv. «Occupano illegalmente e con la forza le cime delle colline dei terreni agricoli palestinesi, vi costruiscono le loro colonie illegali e iniziano ad attaccare le comunità palestinesi limitrofe». Veri e propri pogrom: attaccano le case palestinesi, incendiano i loro raccolti e le stalle degli animali, confiscano le sorgenti d’acqua. E poi «avvelenano i pozzi con sostanze chimiche, li inquinano con i pannolini sporchi, con le proprie feci o con i polli morti», giungendo a crivellare di colpi di serbatoi sui tetti, dopo averli rovesciati a terra. Colonizzatori fanatici: «Sono i maggiori produttori pro capite di acque reflue in Cisgiordania, e scaricano grandi quantità di acque reflue Elias Aklehdirettamente nell’ambiente, contaminando il terreno agricolo adiacente e i corsi d’acqua ad uso agricolo».
Strategia: inquinare la campagna palestinese, scaricandovi le acque fognarie senza alcuna depurazione, per favorire la propagazione di malattie e sfrattare la popolazione. Secondo le Nazioni Unite, il problema è devastante da quando ai palestinesi sono state strappate le sorgenti: i coloni «hanno usato minacce, intimidazioni e recinzioni». Israele, riassume Elias Akleh, sta deliberamente violando tutte le leggi internazionali che ha sottoscritto: il Patto internazionale sui dirittieconomici, sociali e culturali (Icescr), il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia (Crc), la Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), la Quarta Convenzione di Ginevra e il suo protocollo aggiuntivo sulla protezione delle vittime dei conflitti armati, nonché molti dei regolamenti dell’Aja. Negare il diritto all’acqua «è considerato un crimine di genocidio», per il quale Israele «è molto famoso».

sabato 23 agosto 2014

L'ESERCITO REGOLARE SIRIANO ATTACCA DURAMENTE I TERRORISTI DELL'ISIS

OFFENSIVA DELL'ESERCITO SIRIANO A TABQA, UCCISI CENTINAIA DI TERRORISTI ISIS!

di Ziad Fadel


AL-Hasaka:  Il SAAF sta bombardando i terroristi dell' ISIS senza pietà in questo settore per evitare un ulteriore accumulo di forze nemiche e riprovare a sopraffare le difese a Tabqa AB . I rinforzi sono sulla strada - e in grande stile - alla base mentre scrivo. Ieri, Monzer riporta che il SAAF ha dato una stima precisa di 196  terroristi dell' ISIS  rimasti uccisi 196 dopo la sorveglianza della zona a seguito di un agguato spettacolare da SAA.
140 قتيلا في كمين محكم نفذه الجيش السوري ضد إرهابيي
Negli ultimi 4 giorni,  gli spotters ASA  hanno rilevato una forza di oltre 300 terroristi prendendo posizioni simili alle precedenti visto quando un camion suicida si sarebbe spinto nel perimetro di una base seguito da uno sciame di camioncini con cannoni anti-aerei a bordo. Piuttosto che attendere l'inevitabile, il comandante della base utilizzata da forze speciali del SAAF  è stato allertato e formulato un piano in modo da supportare una maggiore potenza di fuoco.
Dopo il bombardamento dei Sukhoi e un martellamento incessante dall'artiglieria siriana  sono morti la maggior parte dei restanti terroristi ottenendo una gigantesca vittoria.


Read more at http://www.syrianperspective.com/2014/08/syrian-army-ambush-at-tabqa-kills-hundreds-of-isis-terrorists-syrpers-ziad-interviewed-on-staggenborgs-show-saturday.html#V8vbgbxqVMVbQxl0.99

LA PROCURA DELLA REPUBBLICA INQUISISCE IL SINDACALISTA GIANNI FABBRIS, COORDINATORE NAZIONALE DI AGRICOLTURA BASILICATA.




Abbiamo avuto la risposta alle proposte di compromesso: Fabbris inquisito, sottoposto a provvedimento restrittivo e perquisizioni in corso

Comunicato stampa.





Bene, abbiamo avuto le risposte al nostro tentativo  di mediazione e di trasparenza: la Procura della Repubblica inquisisce Gianni Fabbris per la sua attività in difesa dell’azienda Conte e propone per lui gli arresti domiciliari. La questura ha notificato un provvedimento restrittivo con l’obbligo per Gianni Fabbris di non uscire da Policoro ed esegue due perquisizioni alla ricerca di documenti sulla vicenda Conte. 
Gravissimo il tentativo di limitare l’esercizio della mediazione sindacale:
 prepariamo la risposta.



Questa mattina si è tenuta la Conferenza stampa a Matera presso la sala parrocchiale della Chiesa di Sant’Agnese di rione Agna in cui sono intervenuti Angelo Festa (presidente della Fondazione Famiglia e Sussidiarietà), Don Basilio Gavazzeni (presidente della Fondazione Antiusura Monsignor Cavalla), Antonio Melidoro (Avvocato del Soccorso Contadino), Leonardo Conte (allevatore esecutato la cui azienda è stata comprata all’asta dal vicino di podere) e Gianni Fabbris, coordinatore nazionale di Altragricoltura e portavoce del Comitato per la Difesa delle TerreJoniche. La conferenza aveva fra i suoi obiettivi quelli di riproporre il terreno del confronto e della mediazione oltre che della trasparenza sulla vicenda dell’azienda di Leonardo Conte ed Angela Ergastolo e quello di dare conto del fatto che il tribunale di Matera, in risposta ad una istanza dell’Avv. Melidoro tesa a far prendere atto di problemi nell’esecuzione della procedura (come il Comitato per la Difesa di Angela e Leonardo sta lamentando da tempo), ha disposto la comparizione delle parti per il giorno 4 settembre per poterli valutare e discutere.

conte
Un atto che il Comitato ha dichiarato in conferenza stampa importante perchè riconosce il diritto  (che fin’ora il Comitato e le parti interessate non erano riuscite a far valere nella sede delle esecuzioni come era stato più volte chiesto) e per cui Fabbris aveva invitato alla cautela nella gestione della procedura ed alla opportunità di sospendere in attesa dell’udienza del 4 settembre. Ancora una volta un appello alla ragionevolezza, dunque, che si aggiunge alle tante prese di posizione in questa direzione da parte di molti cittadini e di autorevoli rappresentanti istituzionali.
Al termine della conferenza stampa, Gianni Fabbris è stato invitato in Questura a Matera dove gli è stato notificato un provvedimento in relazione alla sua attività sindacale per difendere l’azienda Conte da cui si evince la richiesta da parte del Pubblico Ministero di arresti domiciliari e l’emissione di un provvedimento restrittivo con l’obbligo di dimora per Fabbris che non può uscire dal Comune di Policoro e che (soprattutto) non può recarsi nell’azienda Conte (che è in agro di Tursi); il provvedimento è giustificato, fra l’altro, con la prossima scadenza del 25 Agosto in cui l’Ufficiale Giudiziario dovrebbe eseguire nuovamente il tentativo di accesso (anche se un giudice ha fissato la comparizione delle parti sulla opposizione depositata dall’Avvocato Melidoro per il 4 settembre).
Fabbris e Conte sono stati accompagnati nelle proprie abitazioni dalla forze di polizia che hanno eseguito una perquisizione alla ricerca di documenti sensibili sul Caso Conte a casa di Fabbris che si è conclusa formalmente con esito negativo mentre alle ore 15 è ancora in corso quella a casa di Conte.
Chiarissimo il tenore della risposta ai tentativi di compromesso ed all’esercizio della mediazione sindacale messa in campo in questi mesi dal Movimento guidato da Gianni Fabbris ed alle altre realtà associative che lo stanno supportando: è chiaro il tentativo di limitare l’efficacia e gli spazi per l’esercizio della funzione sindacale che in questi anni Altragricoltura si è sforzata di interpretare con l’unico obiettivo difendere interessi generali e collettivi.
Questa sera è convocato a Policoro il Direttivo di Altragricoltura e il Coordimento TerreJoniche e domani sera alle ore 19 presso la Sala Parrocchiale della Chiesa Madre di Policoro è convocata un’assemblea per organizzare la risposta. La risposta non potrà che essere di continuare a lavorare per tenere aperti gli spazi di difesa dei diritti delle comunità.
Sulla vertenza Conte leggi anche:


fonte  http://basilicata.altragricoltura.net/

IL RENZISMO E GLI OTTIMISMI PROGRAMMATI

Renzi, Delrio e gli ottimismi truffaldini
22 - 08 - 2014
di Michele Arnese





















Va tutto bene madama la marchesa. Gli 80 euro saranno confermati per i prossimi anni, non ci sarà un aumento delle tasse, non ci saranno interventi sulle pensioni e sugli stipendi statali, la revisione del Pil ci farà un po’ sorridere. Che volete di più? Spargere rassicurazioni è nelle corde del vitalismo caotico di Matteo Renzi. E dopo il lugubre Mario Monti e il malinconico Enrico Letta un po’ di sano ottimismo renziano è utile. Purché non si esageri e non si tenti di dipingere una realtà fasulla. Ma quello che più preoccupa, oltre agli stretti margini in materia di politica economica che i vincoli della finanza pubblica consentono, è la cacofonia dei messaggi dei ministri. Da un lato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e poi quello alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, enunciano obiettivi e dettagli di un piano taglia debito (per non parlare dei consigli del manager ultra renziano Marco Carrai);  dall’altro la smentita del ministero dell’Economia che ripetutamente nega ipotesi di operazioni allo studio. Eppure tagliare il debito serve per far lievitare l’economia, come detto da Formiche.net e spiegato con dovizia di particolari da Guido Salerno Aletta.Poi, da un lato c’è il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che mette in guardia tutti sulla necessità di un intervento sulle pensioni alte (oltre i 3500 euro?, oltre i 2000 secondo il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta?, quali saranno i prossimi numeri?) per fronteggiare i costi derivanti da prepensionamenti accelerati in alcuni settori della pubblica amministrazione (intenti criticati sia da Giuliano Cazzola sia da Giuseppe Pennisi su Formiche.net); dall’altro lato sia il viceministro all’Economia, Enrico Morando, sia oggi il sottosegretario Delrio a Repubblica escludono interventi sulle pensioni.In tutto questo si avverte dalle stanze del governo una certa insofferenza per la flemma istituzionale e poco renziana del titolare del ministero dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che riecheggiano gli sbuffi che si udivano nei governi Berlusconi verso le rigidità dell’ex ministro Giulio Tremonti, che replicava: “La crescita non si fa per decreto”.Ecco, la crescita non si fa per decreto, ma le prossime scadenze del governo (l’aggiornamento del Def e la Legge di Stabilità) implicano scelte che si possono pure prendere con il sorriso in bocca ma hanno numeri non rottamabili: bisogna trovare – come ha ricordato l’analista Francesco Galietti – circa 17 miliardi l’anno prossimo di tagli alla spesa o alle agevolazioni fiscali (ovvero più imposte) per proseguire nella mortifera austerità (per usare termini alla Gustavo Piga). Per non parlare di una manovra per mettere in carreggiata i conti di quest’anno, nonostante l’ottimismo governativo sulla revisione del Pil che includerà l’economia illegale e il diverso computo delle spese in ricerca.Il miscuglio tra cacofonie ministeriali e ottimismi un po’ dilettanteschi può soltanto aggravare una situazione che non dovrebbe indurre ad atteggiamenti ridanciani anche in chi non è lugubre o malinconico. Anche perché segni di ravvedimento da parte della Germania non arrivano. Ieri Angela Merkel ha detto in sostanza che la flessione del Pil tedesco è l’effetto di economie flaccide come quelle italiane e francesi. Che c’è dunque da sorridere?

fonte: www.formiche.net/

L'IMBONITORE VERRA' ROTTAMATO AL SUO POSTO UN NUOVO TECNOCRATE DELLA BCE, L'IRREVERSIBILITA' PROGRAMMATA.

Ma Renzi rottamerà se stesso, ben prima del previsto


Scritto il 21/8/14

I recenti dati sull’economia del paese sono stati la prima doccia gelata sul governo Renzi dopo i trionfi di primavera. «La prima, ma non l’unica: altre ne verranno». All’indomani dell’imprevisto grande successo alle europee, si parlò della consacrazione definitiva di Renzi come leader. E qualcuno si spinse a parlare di inizio di un’“epoca renziana”, dopo quella berlusconiana. «Ho sempre pensato che fosse una sciocchezza», dice Aldo Giannuli: «Renzi, ne sono convinto, è destinato a durare poco». Secondo lo storico dell’università di Milano, il Rottamatore finirà per “rottamare” se stesso, alla velocità della luce: tra un fallimento e l’altro, saranno in primo luogo i suoi attuali sostenitori a farlo fuori. «Il peggior nemico di Renzi è proprio Renzi», insiste Giannuli: «Ha fatto l’errore imperdonabile di creare troppe aspettative su di sé», fin dall’inizio, e poi «ad ogni scadenza non proprio riuscita ha regolarmente rilanciato», coi suoi slogan: farò una riforma al mese, risolleverò i consumi con gli 80 euro, entro fine 2014 «superiamo le previsioni e cresciamo dell’1%».
E’ un po’ come per le finanziarie “a piramide”, che attirano clienti promettendo interessi appetitosi ma poi, fallite le speculazioni, si spalanca il Aldo Giannulibluco nelle casse, per cui i soldi non bastano a pagare gli interessi ed è il crack. «Ora che è arrivata la prima gelata (altro che +1%, siamo in recessione con -0,2%)», il premier «la spara ancora più grossa: alla fine dei “mille giorni” l’Italia sarà paese leader in Europa», anziché “il problema” dell’Ue. «Ma lui non ha neppure mille giorni davanti a sé: realisticamente ne ha molti meno», scrive Giannuli nel suo blog. «Ben presto quel 40,8% sarà il ricordo lontano di un risultato irripetibile». Già nelle amministrative di autunno, probabilmente, sentiremo qualche scricchiolio. E in primavera, le regionali – sia pure senza Piemonte, Lombardia, Emilia e Lazio – probabilmente segneranno diversi punti indietro rispetto al risultato del 28 maggio scorso.
Buon per Renzi: dopo, non ci saranno altri turni elettorali di rilievo, sino al 2017. «Ma l’effetto delusione delle troppe aspettative create e deluse già sarà iniziato da tempo: come accadde a Berlusconi nel 2003, dopo la clamorosa vittoria del 2001, o a Monti, dopo il trionfale insediamento del novembre 2011: un anno dopo era già polvere». Ovviamente, continua Giannuli, non solo l’obbiettivo del “paese leader in Europa” non sarà minimamente raggiunto («sarà servito solo a far sganasciare di risate i partner europei»), ma già mese per mese «constateremo il peggioramento della situazione». Conti in rosso: «Non è affatto improbabile che ci si debba preparare a una nuova tempesta dello spread per ottobre-novembre: i primi guai per Renzi verranno in quei mesi in cui, comunque vada – tempesta dello spread o no – Mogherinilui sarà costretto dai diktat europei a fare una finanziaria ben diversa da quella di cui sta parlando».
Una “sberla” potrebbe arrivare già a fine agosto, quando si deciderà chi è “mister Pesc”: se non dovesse passare la Mogherini ma un altro italiano, per Renzi sarebbe una mezza sconfitta, ma se invece il posto andasse ad un qualsiasi altro partner europeo, per il “rottamatore” «sarebbe una sconfitta piena, tanto più che cadrebbe nel bel mezzo del suo semestre, nel quale peraltro vedremo cosa sarà stato capace di combinare». Poi c’è il fronte interno, la partita del Senato e quella della legge elettorale. Finora, «il Senato ha operato sotto la botta del successo di fine maggio, per cui ben pochi hanno avuto il coraggio di dissentire». Ma alla ripresa «ci sarà un unico groviglio, che mette insieme le due riforme istituzionali, l’elezione dei giudici costituzionali e quella dei membri laici del Csm per la quale il Parlamento è già inadempiente». Secondo Giannuli il pericolo verrà dai centristi, oltre un centinaio di parlamentari fra alfaniani, casiniani e montiani: stanno già iniziando ad agitarsi, per cui «potrebbe anche scapparci una crisi di governo».
Vero, in soccorso a Renzi potrebbe accorrere «il Cavaliere pregiudicato», ma anche Berlusconi «avrà i suoi problemi, fra un partito in dissoluzione e altre grane giudiziarie in arrivo». Più che altro, osserva Giannuli, il successo di Renzi è stato propiziato da due elementi: l’esasperazione della base Pd per i ripetuti fallimenti della vecchia guardia (D’Alema, Veltroni, Fassino, Franceschini, Bersani e Letta) e l’assenza di veri sfidanti. «Soprattutto la seconda cosa è stata determinante: il centro montiano era già dissolto dall’estate del 2013, Forza Italia in caduta libera e senza che nessun alleato prendesse quota, Rifondazione e Sel in decadenza». L’unico competitore era il “Movimento 5 Stelle”, «che però si misurava con i limiti strutturali del suo bacino elettorale: per cui, di fatto, le europee sono state una partita senzaCasini e Alfano squadra avversaria». Questo “stato di grazia”, che vede centro e destra in caduta libera e il M5S “recintato” «durerà ancora, ma non in eterno».
Per Giannuli, è realistico pensare che entro qualche tempo inizierà un processo di riaggregazione fra centro e destra: o Berlusconi fa un passo indietro e permette alla destra di radunarsi attorno a altro personaggio (anche se non è facile immaginare chi), oppure porta il suo partito a una lenta emorragia, che favorisce la nascita di un soggetto di centro ben più consistente del passato. E se Renzi si sposta più decisamente a destra per impedire la nascita di un nuovo polo di centrodestra, «rischia una scissione sulla sinistra che potrebbe aggregare anche Sel, quel che resta di Rifondazione e Verdi e, forse, socialisti e fuorusciti del M5S», cioè «un’area che potrebbe anche superare il 10%». Il M5S sta attraversando una fase travagliata, ma è possibile che il declino del governo Renzi possa tornare a gonfiarne i consensi. «Insomma, la situazione da “partita senza avversari” difficilmente durerà a lungo». Ecco perché non è saggio scommettere ancora sulla durata del governo Renzi, che di fatto è «un insieme di comparse incolori e politicamente inesistenti».
Tutto si regge sull’esuberante protagonismo del presidente del Consiglio, che però «proprio con il suo iperattivismo rischia di logorarsi molto rapidamente». Anche perché «il personaggio non è di qualità eccelsa», totalmente privo com’è di «capacità di ideazione strategica e di mediazione politica». Grande comunicatore? Nemmeno: «Un grande comunicatore, mi duole dirlo, è stato Berlusconi, che è durato vent’anni», perché «ha saputo giocare su mezzi toni, lasciar sperare senza impegnarsi più di tanto», e poi «alternare muso duro e gigioneria, giocare un alleato contro l’altro». Per un bel po’ ha anche dato l’impressione di muoversi a suo agio nei vertici internazionali, e ha sempre avuto grande tempismo. Renzi, invece, «ha un unico registro espressivo: l’arroganza». E poi «è troppo scoperto nel suo ruolo di imbonitore televisivo, non è capace di mediare su niente e con nessuno, tratta gli alleati come pezze da piedi, è troppo provinciale e “non esiste” sul piano internazionale. Renzi «è frenetico ma non tempista», e non ha neppure a disposizione l’enorme apparato televisivo del Cavaliere. «Il suo stile mezzo boy scout e mezzo tamarro può funzionare per un po’, ma si esaurisce presto. E sicuramente dura molto meno di 20 anni». Domandona: nel frattempo, prima di cadere, quanti danni riuscirà a infliggere all’Italia?

fonte: http://www.libreidee.org/

BRANCACCIO: PRONTE LE NUOVE POLITICHE DEL RIGORE, I DIKTAT FINANZIARI LE IMPONGONO.

Padoan? Disco rotto: promette ripresa ma fa solo tagli


Scritto il 19/8/14 


«Ricordiamoci che lo Stato continua a prelevare dall’economia reale più di quanto eroghi, al netto degli interessi. La politica rimane di austerity. E finché rimane di austerity saranno guai». Parola di Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio, intervistato da “Radio Radicale” all’indomani dell’ultimo bollettino di guerra sulla situazione italiana: altro giro di vite della recessione (-0,2%), nonostante i sorrisi di Renzi e le rassicurazioni del ministro Padoan, secondo cui l’industria è comunque in ripresa. Gli italiani? Devono «mantenere la fiducia e spendere al meglio quegli 80 euro». C’è da ridere per non piangere: «Lasciamo stare l’invito del ministro a spendere», replica Brancaccio. «La verità è che quel bonus di 80 euro da un lato non funziona perché i lavoratori hanno dovuto comunque far fronte al deterioramento dei risparmi che si è verificato nel corso di lunghi anni di crisi. Dall’altro, quel bonus si inscrive comunque in una politica economica complessiva che rimane di austerità».
Nel mainstream, la “verità” della tragedia italiana viene regolarmente oscurata, minimizzata. Gli interventi come quello di Brancaccio, limitati a Emiliano Brancacciobrevissimi spot. L’infernale ordinamento della macchina tecnocratica europea – la Troika, l’Eurozona, il rigore come “normalità istituzionale” – non è minimamente analizzato. Non si dice mai che l’unica economia “ammessa” è quella neoliberista, che prescrive il suicidio dello Stato come soggetto strategico: l’interesse pubblico deve sparire, per non ostacolare la privatizzazione epocale di tutti i servizi e la frantumazione del lavoro, sempre più precario. La cosiddetta crisi europea non è “un incidente”, ma un piano preciso. E persino quando la stessa Ue ammette che la crisi peggiora, nessuna analisi ha vera cittadinanza sui grandi media. Così, a commentare gli ultimi dati sulla catastrofe sono Renzi e Padoan, che si appellano alla “fiducia” come provvidenziale soluzione, un minuto dopo esser stati smentiti – per l’ennesima volta – sulle loro previsioni, cioè la mirabolante e imminente “ripresa”.
«Mi spiace doverlo dire, ma quello di Padoan è un disco rotto», dichiara Brancaccio. «E’ un film che ormai vediamo dal 2011: è da allora che il governo e la Commissione Europea continuano a prevedere crescita e a vedere finalmente l’uscita dal tunnel, e vengono poi seccamente smentiti dai dati reali e dai fatti». Secondo Brancaccio, anche Padoan «non fa altro che reiterare questi errori di previsione, e francamente questo significa una cosa molto semplice». Ovvero: «Governo e Commissione Europea continuano a negare una realtà di fatto: l’austerity deprime l’economia e non migliora – ma peggiora – i conti pubblici». Il che non è affatto una sorpresa, ovviamente: tagliando la spesa pubblica, crolla anche il sistema privato e cala il gettito fiscale, aggravando il debito. Sono le condizioni perfette per indebolire il paese e renderlo indifeso di fronte alla “soluzione finale” programmata, ovvero la privatizzazione di tutti i servizi. A questo “serve” l’austerity di cui parla Brancaccio. Renzi e Padoan, in realtà, recitano: sanno benissimo quale sarà il finale, e lavorano esattamente per quell’obiettivo, la fine dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta.

fonte: http://www.libreidee.org/