spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

mercoledì 30 aprile 2014

EMILIO RIVA IL RE DELL'ACCIAIO LASCIA UNA CITTA' CON GRAVI PROBLEMI DI INQUINAMENTO

Emilio Riva morto a 88 anni: era il patron dell’Ilva di Taranto

Leader storico dell'omonimo gruppo, era ai domiciliari a seguito dell’inchiesta sul disastro ambientale nel capoluogo ionico




Aveva 88 anni, al suo nome è legato un pezzo importante di storia della siderurgia italiana e, da almeno due anni, lo scandalo giudiziario che ha coinvolto il gioiello di famiglia: l’Ilva di Taranto. Emilio Riva è morto ieri sera a Milano dopo una lunga malattia (ma la notizia è stata diffusa oggi). Era lo storico patron dell’omonimo gruppo che a metà degli anni Novanta rilevò la ferriera del capoluogo ionico dall’Iri, facendola diventare la prima azienda dell’acciaio in Italia, la quarta in Europa e la 23esima al mondo. Un’ascesa apparentemente inarrestabile, così come la fama imprenditoriale della famiglia Riva, che nel 2008 entrò nella squadra dei cosiddetti patrioti che salvarono Alitalia dalla bancarotta. Nel 2012, tuttavia, inizia la discesa, almeno in termini di visibilità: le indagini della procura di Taranto mettono in luce ciò che accadeva da decenni in città, dove ambiente e lavoro, inquinamento e occupazione erano due aspetti complementari di una realtà dove non si poteva scegliere. Il 19 giugno il caso Taranto arriverà davanti al giudice per le indagini preliminari. Emilio Riva era ai domiciliari proprio a seguito dell’inchiesta sul disastro ambientale.
Con Emilio Riva se ne va uno degli ultimi ‘re dell’acciaio’ dopo Luigi Lucchini e Steno Marcegaglia, entrambi scomparsi nel 2013. Milanese dei Navigli, classe 1926, inizia la sua carriera come commerciante di rottami, insieme al fratello Adriano, con cui poi fonderà il gruppo Riva. Il “ragiunatt”, come lo chiamavano nella sua città, nel 1955 apre il primo forno elettrico delle Acciaierie e Ferriere Riva a Caronno Pertusella dove, nel 1964, installò – per primo al mondo – la macchina a colata continua. Questa innovazione permise a Emilio Riva di iniziare il suo processo di espansione: in pochi decenni diventerà uno dei primi dieci produttori mondiali del settore, vantando tra i suoi primati un fatturato per dipendente tra i più elevati del mondo (410mila Euro) e la terza posizione assoluta per ciò che riguarda le imprese italiane (di ogni settore) per il miglior rapporto tra utili e fatturato. Quello di Riva, cui fu anche conferita una laurea ad honorem in Ingegneria meccanica, divenne un vero e proprio impero: arrivò ad avere 38 stabilimenti, con oltre 25mila dipendenti e un fatturato che nel 2006 superava i 9,4 miliardi di euro. La parabola del suo gruppo e quella sua personale fu segnata dall’acquisto del complesso dell’Ilva, ex Italsider che fu venduto a Riva dall’Iri nell’aprile 1995 nell’ambito della campagna di privatizzazioni che ebbe inizio nel ’94.
Il salto dimensionale del gruppo sfocerà da ultimo nei guai giudiziari in seguito al problema ambientale di Taranto. Nel libro di Antonio Calabrò Intervista ai capitalisti (Rizzoli) Emilio Riva rifiuta l’etichetta di ‘padrone vecchio stile’: “Non sono padrone nemmeno di un cane, sono un datore di lavoro” dice. Ma poi come un capitalista d’antan chiarisce: “Ho sempre aperto e comprato fabbriche e non ne ho mai chiusa una”. E chiosa: “Non so niente di lobby, di compromessi con la grande finanza, di salotti”. Ma in realtà Emilio Riva era il classico ‘uomo al comando’, che in azienda controllava tutto, lasciando aperti, con la sua scomparsa, molti interrogativi sul futuro dell’azienda, che conta oggi 38 stabilimenti in Italia e nel mondo (dal Canada alla Francia, dal Belgio alla Germania, dalla Spagna alla Tunisia) per la produzione di acciaio grezzo, coils, vergella, tondo per cemento armato, barre-billette laminate, lamiere da treno, tubi saldati, tubi forma e travi, che impiega circa 25 mila dipendenti e realizza un fatturato stabile attorno ai 10 miliardi di euro.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/30/emilio-riva-morto-a-88-anni-era-il-patron-dellilva-di-taranto/968968/

BARNARD: LA MODERNITA'? UN PROGETTO DI NEOFEUDAULESIMO.

Benvenuti nel neo-feudalesimo totalitario e tecnocratico





«Se la lotta contro i banchieri, la casta, le multinazionali, vi è sempre sembrata una guerra, non avete ancora visto nulla. Quella era una scampagnata. Adesso si piange veramente». Paolo Barnard certifica l’avvento definitivo di «una politica tecnocratica che in Usa ed Europa ora mena ceffoni ai banchieri, cosa mai accaduta dal XIV secolo a oggi». Un allarme speciale: se oggi a essere colpite sono anche le banche, significa che «qualcosa di orribilmente sinistro sta accadendo all’interno del Vero Potere», cioè l’élite mondiale che non ha mai digerito lo Stato democratico moderno – quello che vive di spesa pubblica, cioè deficit per investimenti sociali – e oggi «ha fatto fuori la borghesia in tutti i paesi avanzati, ha esautorato i Parlamenti, ha abolito il diritto». Ora anche le banche sono in ginocchio, «esattamente come nei secoli dal X al XVII». Le banche, cioè gli istituti di credito che «con la mano destra servono il Vero Potere ma che con la sinistra possono acquisire troppa ricchezza, dunque potere».
Da almeno 90 anni, sostiene Barnard, il Vero Potere si è semplicemente detto: «La rivoluzione borghese finanziata dalle banche, la griglia di potere paolo Barnardsuperiore affidata alla democrazia e la politica elettiva non ci fotteranno mai più. Lo hanno fatto una volta, ora mai più. Vanno distrutte». Detto fatto. «Il loro progetto è un ritorno, adattato alla modernità, del potere feudale. Neofeudalesimo moderno, quindi tecnocratico». La versione aggiornata del feudalesimo medievale: non c’è posto per la democrazia, perché è il supremo potere del vertice che detta le regole, trasformate in leggi da istituzioni totalmente asservite all’élite, colonizzate dall’oligarchia planetaria. «Il Vero Potere è tornato, vestito di nuovo: è il Neofeudalesimo delle tecnocrazie internazionali», quelle che – per inciso – ora “spiegano” a Washington e Bruxelles come devono riscrivere le regole del commercio tra Usa ed Europa, col Trattato Transatlantico, a vantaggio delle grandi multinazionali e a scapito di chiunque altro – governi, cittadini e lavoratori, abbandonati a se stessi anche su temi cruciali come l’ambiente, la salute, i servizi vitali, la sicurezza alimentare.
Riassume Barnard: «La Fed americana, come la Bce, non sono banche. Sono branche del governo. Ma in questi casi i governi cui appartengono – in Usa la rete neoliberista delle fondazioni e in Europa la rete neoclassica, neomercantile tedesca e neofeudale della Commissione Ue – hanno deciso da tempo che le componenti che minacciano il loro potere vanno totalmente distrutte».
Nell’ordine, vanno rase al suolo «la borghesia piccolo-medio industriale, i Parlamenti col potere di legiferare, e anche le banche». L’euro? Un puro strumento di dominazione, vocato al sabotaggio dell’economia diffusa e del reddito medio. Il tutto, accettato passivamente da una sinistra inquinata, infiltrata dall’élite. Per un economista come Joseph Halevi, il piano egemonico può essere fermato solo con una forte resistenza politica.
Mission impossibile: come raccomandato da Lewis Powell nel famigerato memorandum del 1971, l’oligarchia ha comodamente “comprato” i leader delle organizzazioni che avrebbero dovuto tutelare i lavoratori.
http://www.libreidee.org/2014/04/benvenuti-nel-neo-feudalesimo-totalitario-e-tecnocratico/

IL DUALISMO DELLA COERENZA, UNA DIMOSTRAZIONE DI UNA PROFONDA INCERTEZZA.

Tutti gli annunci di Matteo non ancora rispettati da Renzi
29 - 04 - 2014
Edoardo Petti








Tutti gli annunci di Matteo non ancora rispettati da Renzi.
Tempi e contenuti dell’iniziativa riformatrice solennemente annunciata dal premier sono frenati da ostacoli politici e corporativi difficili da superare. Ecco il divario (su scuola, lavoro, bonus e riforme istituzionali) tra proclami e fatti Matteo Renzi aveva messo a punto un calendario ambizioso di interventi radicali in tutti i gangli vitali della vita pubblica. Il ritmo arrembante con cui era stato preannunciato un programma rigoroso e vincolante di grandi riforme ogni mese sembrava aver conquistato cittadini, mass media, osservatori scettici. Tuttavia la realtà odierna sconfessa, o quanto meno ridimensiona, la forza dirompente delle solenni promesse del premier. Mentre la minoranza del Pd si organizza.

RIFORME ISTITUZIONALI NELLA PALUDE
Preannunciata tra la fine di febbraio e le Idi di marzo, la nuova legge elettorale, approvata in modo rutilante dalla Camera dei deputati, è arenata tra le mura di Palazzo Madama. Complice il timore di un inusitato ballottaggio per il governo tra Partito democratico e Movimento Cinque Stelle e lo stallo sulla revisione del Senato, il meccanismo di voto vedrà la luce – salvo colpi di scena – prima della pausa estiva.CERCASI JOBS ACTMarzo avrebbe dovuto rappresentare uno spartiacque storico per le regole sul lavoro, le relazioni industriali, l’innovazione degli ammortizzatori sociali. Nulla di tutto ciò è stato previsto nell’unico provvedimento messo in cantiere dall’esecutivo e dal responsabile del Welfare Giuliano Poletti. La portata del decreto legge che porta il suo nome, frutto di un logorante braccio di ferro tra Nuovo Centro-destra, Scelta Civica, riformisti del PD da una parte e sinistra del Nazareno e CGIL dall’altra, è limitata a modifiche dei contratti a termine, delle regole sull’apprendistato e sulla formazione pubblica.Il cuore della riforma è rinviato a un disegno di legge delega i cui tempi appaiono incerti. A quel punto si conosceranno i pilastri del Job Act che avrebbe dovuto rivoluzionare e rilanciare il tessuto produttivo-occupazionale del nostro paese. Per ora restano evanescenti i confini del nuovo Codice del lavoro, del contratto unico flessibile e indeterminato con garanzie crescenti nel tempo, di una rete moderna di ammortizzatori sociali orientati al Welfare to work.

TEMPI QUASI SCADUTI PER LA NUOVA BUROCRAZIA
Un architrave del programma annunciato dal Presidente del Consiglio prevedeva il rinnovamento strutturale entro aprile della Pubblica amministrazione. Il calendario potrebbe venire rispettato in “zona Cesarini”, visto che in settimana il governo approverà il testo base di riforma messo a punto dal ministro competente Marianna Madia.L’obiettivo di conferire efficienza alla macchina statale passa per una strategia di tagli e assunzioni mirate. Una mescolanza di mobilità obbligatoria e sblocco del turn over che dovrebbe tradursi in una nuova entrata per ogni cinque uscite dal servizio. Permettendo così una riduzione non traumatica di 85mila dipendenti pubblici prevista dal progetto di spending review redatto da Carlo Cottarelli.

L’ALLENTAMENTO BLANDO DEL PATTO DI STABILITA’ INTERNO
Sempre sul piano locale emerge una clamorosa contraddizione tra impegni assunti dal premier e concrete realizzazioni. Un punto che riguarda l’allentamento del Patto di stabilità interno, cavallo di battaglia dell’ex primo cittadino di Firenze. Perché, come rivela il Sole 24 Ore, nel provvedimento fiscale promosso da Palazzo Chigi i progetti di riqualificazione, ammodernamento, messa in sicurezza degli edifici scolastici potranno beneficiare di 544 milioni di euro.

NUMERI IN CONTRADDIZIONE
Cifra ben diversa dai 3,5 miliardi “pronti per essere impiegati in tempi brevi”, preannunciati da Renzi nel corso della sua prima conferenza stampa da capo dell’esecutivo. Il testo del decreto legge governativo in materia tributaria è molto chiaro. All’articolo 48, riferendosi agli investimenti realizzati dalle amministrazioni comunali per l’edilizia educativa, il provvedimento prevede un’esclusione dai vincoli di bilancio di 244 milioni di euro per gli anni 2014 e 2015. A tali risorse vanno aggiunti 300 milioni destinati allo stesso scopo dal Fondo comunitario per lo sviluppo e la coesione relativo al periodo 2014-2020.

A QUANTO AMMONTANO LE RISORSE PER LA SCUOLA?
Ma le somme stanziate dai programmi dell’Unione Europea per la ristrutturazione delle scuola non erano pari a 3 miliardi? Guardando a questa cifra il premier aveva promesso la creazione di una “cabina di regia” per velocizzare le pratiche edilizie e consentire a sindaci e presidenti di provincia di “intervenire sui luoghi ove vivono e studiano i nostri figli”.

CHI BENEFICIA DEL BONUS FISCALE
Altro tema cruciale relativo al provvedimento tributario concerne le fasce economico-sociali che riceveranno il bonus fiscale sui redditi IRPEF. La platea per ora coinvolge esclusivamente le retribuzioni da lavoro dipendente medio-basso. Ripetere, come fa Renzi da giorni, che il beneficio verrà allargato a pensionati, persone prive di stipendio, e partite IVA, richiede un’accurata analisi sulle coperture di bilancio. E un necessario confronto con il capo del Tesoro. L’unica certezza su una misura di significativa portata finanziaria è il rinvio alla legge di stabilità di fine anno.

LE RAGIONI DEL DIVARIO TRA PAROLE E ATTI
Una spiegazione plausibile della notevole differenza, in taluni casi del fossato, tra impegni assunti dal premier e realizzazioni dell’esecutivo viene offerta da Oscar Giannino. A giudizio dell’analista economico, Renzi è chiamato a concretizzare oggi tutti gli interventi riformatori che il ceto politico italiano degli ultimi venti e trent’anni ha preferito rinviare, abbandonare, annacquare. Una responsabilità storica che ha provocato un ritardo enorme per l’Italia rispetto alle democrazie industriali avanzate. E che l’attuale capo del governo è costretto a colmare, in una fase di recessione economica, in modo frettoloso e superficiale.Ulteriore motivazione, scrive l’editorialista del Messaggero, va ricercata nella mancanza di un genuino e convinto supporto del Partito democratico verso gli obiettivi prospettati dal suo segretario. La cui leadership non è mai stata accettata dal “ventre profondo” del Nazareno, bensì digerita temporaneamente per opportunismo.È una parte rilevante di quell’universo, ancorata alla conservazione dello status quo, che il premier dovrà sfidare a viso aperto per tenere fede all’originario e ambizioso calendario di riforme. Soltanto così potrà ambire, come Tony Blair e Gerard Schroeder, a imprimere una traccia profonda nella politica e nella sinistra italiana.


http://www.formiche.net/2014/04/29/riforme-renzi-annunci-fatti/

LA GALASSIA NO EURO, LA POSSIBILE AFFERMAZIONE POTREBBE SCUOTERE BRUXELLES

La lunga marcia dei no-euro, assedio all’Europarlamento



In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.
Per il voto alla Camera dei Comuni i sondaggi sono diversi; certo se questo dato fosse confermato sarebbe comunque piuttosto clamoroso che un partito Marine Le Penche combatte da sempre contro l’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea in pochi anni sia passato da una relativa marginalità al primato nazionale, per quanto in questa specifica consultazione. Il Regno Unito non è però l’unico paese Ue dove alle prossime europee sarà possibile un’affermazione dei no-euro. Il “Movimento 5 Stelle” è una formazione che nella stampa europea viene definita no-euro, anche se il M5S non è assimilabile ai partiti di destra populista che combattono contro Bruxelles. Alle europee il primato dei 5 Stelle è un’ipotesi al momento non così probabile, ma neppure impossibile. Il fronte no-euro al Parlamento di Strasburgo sarà guidato da Marine Le Pen, e il suo Front National potrebbe conseguire una prima posizione alle consultazioni del 25 maggio.
Come mostra la media dei sondaggi realizzata da “Electionista” su Twitter, il partito della destra repubblicana Ump e la formazione di Marine Le Pen sono praticamente appaiate poco sopra il 20%. Per il Front National si tratterebbe di una crescita clamorosa, visto che 5 anni fa raccolse poco più del 6%. I Paesi Bassi, come la Francia e l’Italia, sono una delle sei nazioni fondatrici del processo di unificazione dell’Europa. Anche l’elettorato olandese potrebbe consegnare ai no-euro del “Partito della Libertà” di Geert Wilders il primato nazionale alle consultazioni per l’Europarlamento. Al momento il Pvv è terzo dietro i liberali progressisti, ora all’opposizione, e i liberali conservatori del premier Rutte, ma il margine di distacco è molto ridotto. La terza formazione assai rilevante che aderisce al blocco no euro della destra populista sono i liberali austriaci della Fpö di Heinz-Christian Strache. Anche in Austria le Farage, Wilders e Stracheeuropee potrebbero essere vinte dai no -uro, ora al terzo posto nella media delle intenzioni di voto, dietro ai popolari e ai socialdemocratici.
In Germania i no-euro di “Alternativa per la Germania”, che hanno recentemente rifiutato la proposta di alleanza offerta loro da Marine Le Pen, non vinceranno le elezioni europee ma sicuramente entreranno all’Europarlamento, con un risultato in costante crescita, che danneggia la Cdu della vera leader dell’Ue, Angela Merkel. Come si vede nell’ultimo sondaggio pubblicato su “Bild”, “Alternativa per la Germania”, Afd, è rilevata al 7,5%, in aumento rispetto al 4,9% conseguito alle ultime federali. E’ difficile definire “Syriza” un partito no-euro, visto che la formazione guidata da Tsipras è favorevole alla moneta unica. Le critiche radicali alle politiche di austerità hanno però tratti accomunabili al variegato fronte che combatte contro i governi dell’Ue, ed in questa prospettiva la possibile affermazione di “Syriza” in Grecia alle prossime europee rappresenterebbe uno scossone a Bruxelles non così dissimile dal primato nazionale del Front National della Le Pen o del Pvv di Wilders.
(Andrea Mollica, “I paesi dove i no-euro hanno chance di vittoria alle europee”, dal blog di Gad Lerner del 28 aprile 2014).

http://www.libreidee.org/2014/04/la-lunga-marcia-dei-no-euro-assedio-alleuroparlamento/

ENRICO GRAZZINI: MATTEO RENZI L'ULTIMA MUTAZIONE GENETICA DEL NEO LIBERISMO TARGATO BCE

Cos’è l’euro-regime l’han capito tutti, tranne la sinistra




La sinistra? Dovrebbe lottare per recuperare la sovranità nazionale. Lo fa invece quella che viene ancora definita “destra”, cioè il Front National di Marine Le Pen, organizzazione che si batte apertamente contro l’Unione Europea per difendere i lavoratori francesi dal regime Ue-euro, che produce «povertà e sottomissione alle misure autoritarie calate dall’alto della tecnocrazia di Bruxelles». Sinistra sovranista? Macché. «Il problema – osserva Enrico Grazzini – è che il socialismo europeo è ormai profondamente compromesso con questa Europa liberista e della finanza». Grazzini parla di «ritardo culturale e politico nei confronti dell’Europa reale» anche da parte della “sinistra radicale”, ovvero «la sinistra aristocratica italiana», che «sottovaluta i guasti dell’Europa reale e dell’euro e sogna la democrazia dell’Europa federata e di uno Stato federale: rischia così di rimanere elitaria, isolata e senza troppo popolo (e voti)», e lascia il bottino elettorale a quello che sempre Grazzini definisce «il populismo né di destra né di sinistra di Grillo».
L’Italia è allo stremo, riconosce l’analista di “Micromega”: neppure la crisi del ‘29 era stata così violenta. Oggi le famiglie non sanno come arrivare alla fine Schulz e Renzidel mese, la disoccupazione e la povertà dilagano, i giovani non trovano lavoro e non hanno prospettive. E l’opposizione di sinistra? Non pervenuta: «Chiede con grande moderazione “meno austerità” e “più democrazia in Europa”». Ridicolo, di fronte all’attuale catastrofe. Martin Schulz, l’euro-candidato del Pd, «dice che occorre invertire la rotta e fare finalmente le riforme per lo sviluppo, ma non fa nessuna autocritica sulla folle austerità imposta dalla sua alleata di governo Angela Merkel». Lo stesso presidente del Parlamento Europeo «giustifica ed esalta l’euro di Maastricht e tace sul fatto che con questi trattati e con il Fiscal Compact uscire dalla crisi è impossibile». Aggiunge Grazzini: «Questa Europa fa male, molto male. Ormai una forte minoranza dell’opinione pubblica che sta diventando maggioranza non sopporta più l’euro ed è sempre più critica verso questa Ue che impone una crisi che non finisce più».
L’elettorato si sta polarizzando e radicalizzando, e mentre dilaga «la rabbia contro questa Europa della disoccupazione e della povertà». Problema: se i ceti popolari votano massicciamente “a destra”, significa che la sinistra è considerata disattenta o, peggio, complice del sistema. La sinistra di potere: quella che cantava le lodi dell’euro e delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Unione Europea, il mostro giudirico di Maastricht che sta radendo al suolo intere nazioni, intere economie, con politiche antidemocratiche e ferocemente liberiste, che aggravano la crisi. «Queste politiche, senza abolire Maastricht, sono irriformabili», conclude Grazzini. «Per uscire dalla crisi è necessario rivendicare la sovranità economica e monetaria degli Stati». Beninteso: sovranità parziale, per quanto consentito dalla globalizzazione. La sovranità a cui pensa Grazzini non va confusa col nazionalismo della Le Pen o l’isolazionismo britannico: «Battersi per la sovranità nazionale deve significare semplicemente che esigiamo la democrazia e non vogliamo essere Marine Le Pendiretti da tecnocrazie opache asservite alla finanza e ai governi dei paesi dominanti».
Solo recuperando l’autonomia degli Stati in campo economico e monetario, nonché la sovranità nazionale in campo politico, è possibile difendersi, in sintonia con gli altri popoli europei oppressi dal regime di Bruxelles. Ma è inutile sperare che la sinistra italiana cambi posizione: «Scartata l’ipotesi di uscire unilateralmente dall’euro, considerata come catastrofica», nella sinistra «prevale l’allineamento alle tesi pro-euro e pro-Ue». L’euro, la moneta unica prevista per tutti i 28 stati dell’Unione Europea ma utilizzata solo da 12 paesi, sul piano economico «è una solenne bestemmia: infatti significa che 12 paesi molto differenti, dalla Spagna alla Germania, dall’Italia all’Olanda, dal Portogallo alla Lettonia, sono soggetti allo stesso tasso di interesse, devono avere la stessa base monetaria e subiscono lo stesso tasso di cambio verso i paesi extraeuropei». Ovvio che non funziona: «Un paese che corre troppo, in cui l’inflazione è elevata, ha bisogno di alti tassi di interesse; invece un altro paese (come l’Italia) che è fermo necessita di tassi bassi per stimolare gli investimenti. Un paese come la Germania può riuscire ad esportare con l’euro a 1,40 sul dollaro; altri paesi invece con lo stesso tasso di cambio non riescono più ad esportare e a compensare l’import, e sono quindi costretti ad accendere debiti».
La moneta unica fa esplodere le differenze, aggravando gli squilibri: «La Germania diventa sempre più competitiva; gli altri paesi invece perdono industria». La Germania impone una politica deflattiva per ridurre i deficit altrui e per garantirsi che le siano restituiti i debiti, «ma la politica deflattiva comprime l’economia, provoca la crisi fiscale dello Stato, la disoccupazione, la precarizzazione del lavoro, la riduzione dei redditi, della domanda e degli investimenti». Risultato: diventa sempre più difficile restituire i debiti. «Non a caso, i debiti pubblici dei paesi mediterranei continuano ad aumentare inesorabilmente nonostante l’austerità». Perché ostinarsi a non riconoscere la verità? Secondo Grazzini, «per molta parte della sinistra il sogno di un’Europa unita e federata, degli Stati Uniti d’Europa, ha sostituito il sogno fallito del comunismo. La sinistra ha perso la testa e si è innamorata perdutamente Prodi e Bersanidell’idea di Europa, una Europa che però la tradisce spudoratamente con la finanza».
Se però questo vale forse per la base elettorale della sinistra, secondo molti altri analisti i leader del centrosinistra italiano sono stati semplicemente cooptati dall’élite franco-tedesca: hanno trascinato l’Italia nella catastrofe dell’Eurozona, sperando di guidare la Seconda Repubblica dopo il crollo del vecchio sistema Dc-Psi, funzionale alla guerra fredda e liquidato da Mani Pulite. Troppo sospetta, la reticenza del centrosinistra di fronte al disastro dell’Unione Europea – guidata peraltro anche da uomini come Romano Prodi, advisor della Goldman Sachs benché uomo simbolo dell’antagonismo contro Berlusconi. Ora siamo all’ultima mutazione genetica, quella di Matteo Renzi: che per prima cosa vara il Jobs Act, cioè la frammentazione del lavoro super-precarizzato, in ossequio ai dettami (“riforme strutturali”) che l’élite europea ha imposto, piegando gradualmente i sindacati. «Insieme al lavoro si svaluta anche il capitale nazionale», avverte Grazzini. «Così è più facile per le aziende estere conquistare le banche e le industrie di un paese in debito, magari privatizzate in nome dell’Europa: e così i paesi più deboli cadono nel sottosviluppo, nella subordinazione e nella povertà».
Sempre secondo Grazzini, la sinistra che si vorrebbe marxista o alternativa «non si accorge del pericolo», neppure di fronte all’assalto di Telefonica verso Telecom. Eppure, «il patriottismo economico è necessario per contrastare la globalizzazione selvaggia». Patriottismo economico: non è forse la parola d’ordine del Front National che la sinistra italiana continua a emarginare come vieta espressione sciovinista, xenofoba e fasciosta? «Si dice che gli Stati non contano più nulla – scrive Grazzini – perché la finanza ormai è globalizzata e quindi l’Europa e l’euro sono necessari per difendersi dalla globalizzazione». Favole: l’euro e l’Ue sono esattamente gli ostacoli che hanno frenato la nostraeconomia. La riprova: «I paesi europei che non hanno adottato l’euro (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Polonia) e hanno una loro moneta nazionale stanno molto meglio di noi. In Italia in cinque anni di crisi abbiamo perso circa l’8,5% del Pil e il 30% degli investimenti». I redditi crollano, la disoccupazione dilaga, un terzo delle famiglie è a rischio povertà, ma l’Ue impone i tagli alla spesa pubblica e il Fiscal Compact, facendo Enrico Grazziniesplodere il debito pubblico che – senza moneta sovrana – ci scava la fossa giorno per giorno.
Democrazia? Scomparsa dai radar. «Nessuno della Troika (Commissione Ue, Bce, Fmi) è stato eletto dai cittadini». Il Parlamento Europeo? «Non ha praticamente poteri: serve soprattutto a dare una patina di legittimità alle decisioni della Commissione». Un referendum sull’euro? «Sarebbe giusto farlo. In Francia e in Olanda i popoli si sono già espressi contro una falsa Costituzione Europea per salvaguardare la loro sovranità. E la Svezia e la Danimarca con un referendum hanno deciso di non entrare nell’Eurozona. Beati loro». La Polonia ha rimandato l’ingresso nell’euro, la Gran Bretagna si tiene stretta la sterlina. «Solo recuperando la sovranità nazionale è possibile che i popoli possano difendersi dalle politiche neocoloniali della Ue e sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibile: senza sovranità nazionale non ci può essere neppure un’ombra di democrazia». Questo lo dicono Matteo Salvini della Lega Nord e Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. «Purtroppo – ammette Grazzini – buona parte della sinistra ritiene che la sovranità nazionale sia da demonizzare perché sempre di destra».
http://www.libreidee.org/2014/04/cose-leuro-regime-lhan-capito-tutti-tranne-la-sinistra/

IL MOVIMENTO 5 STELLE IL PRIMO PARTITO ALLE EUROPEE?, UNA SCOMMESSA CHE POTREBBE ESSERE VINCENTE.

Il sondaggio segreto del Pd: alle europee vincerà Grillo



I sondaggi sulle elezioni europee 2014 che vediamo ogni giorno fioccare in ogni dove raccontano una storia che è sempre molto simile: Pd ben oltre il 30%, “Movimento 5 Stelle” attorno al 20-22% e Forza Italia ancora più staccata. Numeri che mandano su tutte le furie i militanti M5S, che ricordano bene come il loro partito sia stato pesantemente sottostimato in occasione delle politiche dello scorso anno (quando solo all’ultimo si capì come sarebbero andate le cose). La storia si sta ripetendo? Secondo alcune indiscrezioni che circolano, sembrerebbe proprio di sì. In verità, la fonte è abbastanza affidabile, trattasi di Pasquale Laurito, autore del foglio “Velina Rossa” e da tempo insider della sinistra che ne racconta i segreti. Il problema è che il suo scoop si trova solo rilanciato da Bechis su “Libero”, mentre nei vari canali gestiti direttamente da Laurito non se ne riesce a trovare traccia. La cosa, quindi, è da prendere con le dovute pinze. Ma qual è questo scoop?
Secondo le rilevazioni interne del Pd con la distribuzione degli indecisi il “Movimento 5 Stelle” sarebbe il primo partito alle europee. E Matteo Renzi Grilloavrebbe la strada ancora in salita, mentre Silvio Berlusconi supererebbe quota 20% e il quorum sarebbe ottenuto da Lega Nord, lista Tsipras e Ncd. Il “Movimento 5 Stelle” primo partito alle europee. Questa è la notizia bomba che potrebbe ribaltare le sorti della politica italiana (almeno è quello che spera Beppe Grillo, che ha già detto che in caso di vittoria chiederà il governo a Napolitano). Il tutto verrebbe quindi da un sondaggio riservato, di quelli che i partiti conducono per conto loro senza darne notizia alla pubblica opinione e che secondo molti sono gli unici a non essere in alcun modo manipolati (visto che il sospetto che con i sondaggi si faccia campagna elettorale non è certo cosa nuova).
Il sondaggio riservato in questione è invece trapelato, con tutti i suoi numeri: contrariamente a quanto indicato dai sondaggi ufficiali, il Pd infatti sarebbe ben al di sotto del 30% dei consensi. Oscillerebbe al momento fra il 26 e il 27%, mentre il “Movimento 5 Stelle” avrebbe superato in queste settimane il 27%. Si profilerebbe insomma un inatteso testa a testa Grillo-Renzi alle europee. Sempre secondo la stessa rilevazione, Forza Italia sarebbe di poco sopra il 20%, mentre il quorum alle europee sarebbe superato di sicuro da Ncd (intorno al 6-7%), dalla Lega Nord (sopra il 5%) e dalla lista Tsipras (5-6%) che avrebbe eroso soprattutto nel Sud molti voti del Pd. Al di là della notizia principale, che riguarda M5S e Pd, buone nuove arrivano quindi anche per tutti gli altri partiti: Forza Italia supera il 20%, Lega Nord, Nuovo Centrodestra e Lista Tsipras superano la soglia di sbarramento. Se davvero le cose andranno in questo modo, c’è da aspettarsi un terremoto. E molto probabilmente elezioni nel 2015.
(Andrea Signorelli, “Sondaggi Elezioni Europee 2014: il Movimento 5 Stelle primo partito?”, da “Polisblog” del 29 aprile 2014).

http://www.libreidee.org/2014/04/il-sondaggio-segreto-del-pd-alle-europee-vincera-grillo/

martedì 29 aprile 2014

RENZI CERCA L'APPOGGIO INDISCRIMINATO DEL PD PER LE RIFORME.

Bonus 80 euro: garantisce giustizia sociale e rilancio dei consumi?- parte I





L’iniziativa è sicuramente coraggiosa ed importante in un periodo di crisi ma il suo effetto sui consumi aggregati potrebbe essere molto modesto e alcuni nodi di iniquità sociale dovranno essere sciolti.
Il governo Renzi ha approvato il Decreto Legge Dl n.66 che aumenta di ben 80 euro al mese la busta paga dei lavoratori dipendenti. Tutto ciò varrà per il 2014 a partire dal primo maggio (ironicamente o volutamente la festa internazionale dei lavoratori!)
Il Dl n.66 parla esplicitamente di “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”. Il decreto prevede anche altri interventi importanti come la riduzione dell’Irap sulle imprese ed una serie di tagli alla spesa pubblica e politiche di potenziale recupero dell’evasione fiscale. In questo spazio limitato, tuttavia, ci concentreremo sul dibattuto bonus fiscale di 80 euro analizzandone le caratteristiche principali ed il potenziale impatto sull’economia.
Di che cosa stiamo parlando?
Si tratta sostanzialmente di una riduzione della tassazione sul lavoro (notoriamente molto elevata in Italia come si vede dal grafico qui sotto) o del cosiddetto cuneo fiscale: la differenza fra il costo totale del lavoro e ciò che entra nelle tasche del lavoratore. In pratica, il decreto prevede che il datore di lavoro (che agisce da “sostituto d’imposta”) riduca le trattenute fiscali per il lavoratore dipendente in modo da aumentare lo stipendio di 80 € al mese (parliamo qui sotto di chi percepirà questo “bonus”). Se le trattenute Irpef non sono sufficienti per ottenere l’ammontare di 80 € allora il datore di lavoro potrà ridurre le i trattenute contributive ai fini pensionistici (clicca qui qui per approfondire).
Ciò costerebbe circa 6,9 miliardi di euro allo Stato solo nel 2014. Il costo totale aumenterebbe a circa 10 miliardi di euro se lo stesso bonus fosse riconfermato per l’anno 2015, dato che bisognerebbe garantire un identico bonus per tutto l’anno e non più per soli 8 mesi (da maggio a dicembre). 
Chi ne beneficia?
Il “bonus” verrà dato a 10 milioni di lavoratori dipendenti e assimilati (ad esempio i co.co.pro.) che hanno uno stipendio annuale lordo che va dagli 8.145 € ai 24.000 €.
Per chi guadagna dai 24.000 ai 26.000 €, il bonus verrà calcolato nel modo seguente: 80 € X (26.000-reddito)/2000. Ad esempio un lavoratore con 25.000 € avrà un bonus mensile di 40 €.
Chi guadagna meno di 8.145 € (i cosiddetti incapienti) o più di 26.000€ non avrà nulla e la stessa sorte tocca a chi non è un lavoratore dipendente (pensionati, autonomi, disoccupati etc.).
Quante e quali famiglie ne beneficiano ?
I lavoratori che hanno accesso al bonus sono definiti in base al reddito individuale. In una famiglia quindi possono beneficiarne zero, uno o più persone a seconda di quanti membri della famiglia siano lavoratori dipendenti. Quindi quante famiglie beneficiano del bonus?
Seguendo gli interessanti calcoli di M.Baldini, E. Giarda e A. Olivieri, basati su dati It-Silc dell’Istat, circa il 40% delle famiglie italiane beneficerebbe del bonus che varrebbe in media 655 € all’anno.
Nello specifico :
  • Il 55% di tutti i benefici fiscali si concentrerebbero sulla cosiddetta ”classe media” (le famiglie con un reddito famigliare equivalente, cioè che tiene conto della numerosità e della composizione di ogni famiglia, che va dai 27.000 e 41.000 € in media). Tuttavia, nonostante queste famiglie abbiano la più alta probabilità di prendere il bonus, saranno solo circa la metà delle famiglie italiane di classe media a ricevere il bonus fiscale, visto che il bonus beneficia solo i lavoratori dipendenti.  
  • Le famiglie più povere non sono del tutto escluse: tuttavia solo una su tre delle famiglie appartenenti al primo decile della distribuzione del reddito (il 10% delle famiglie italiane più povere) percepirà un bonus.
  • Le famiglie di classe media saranno anche quelle a ricevere un ammontare di bonus più alto di tutti nel 2014: circa 720 € a fronte delle famiglie più povere che avranno un bonus di 380 € in media. La motivazione principale risiede nel fatto che le famiglie italiane più povere sono più spesso famiglie a mono reddito (solo un lavoratore dipendente) e con un impiego non necessariamente stabile (riducendo il bonus fiscale che si calcola sul totale dei mesi lavorati in un anno).
 Fonte: BaldiniGiardaOlivieri  (Figura 2) da lavoce.info, rielaborazione dell’autore 
Fonte: BaldiniGiardaOlivieri  (Tabella 2) da lavoce.info, rielaborazione dell’autore
Quali sono gli obiettivi e gli effetti di questo provvedimento?
Come menzionato nell’introduzione, nel decreto legge ufficiale si legge testualmente che si tratta di “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale”. Tralasciando in questa sede il discorso, seppur di fondamentale importanza, delle coperture finanziarie (come il governo intende finanziare questo bonus), è lecito chiedersi se questi obiettivi verranno raggiunti.
Salvatore MorelliRedattore di quattrogatti.info e ricercatore al Csef dell’Università Federico II di Napoli
http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/29/bonus-di-80-euro-garantisce-giustizia-sociale-e-rilancio-dei-consumi/967206/