spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

lunedì 30 dicembre 2013

CARMINE SCHIAVONE ACCUSA PAOLO BERLUSCONI

Parla SCHIAVONE e accusa apertamente PAOLO BERLUSCONI e la P2! CLAMOROSO e TREMENDO!




Lo dice senza problemi che in vita sua ha ammazzato almeno cinquanta cristiani, e per altri quattrocento ha dato l’ordine di farli fuori. 
Lo giura con un sorriso che è scampato alla morte tante volte, per miracolo: “Pure con la stricnina in carcere ci hanno provato, e un’altra volta con un lanciamissili”. 
Carmine Schiavone ha retto a tutto dopo l’affiliazione alla mafia, con pungitura a Milano nel 1974 per mano di Luciano Liggio. 
Non un camorrista, dunque, ma un mafioso che gestiva il comparto costruzioni e opere pubbliche a Caserta e dintorni: dieci miliardi di lire al mese da spartire e investire. 
Nei primi anni 90 il guaio. Gli propongono di mettere monnezza sotto una strada, e lui ci sta. Ma quando s’accorge che tra i sacchi di spazzatura ci sono fusti tossici, rompe l’accordo. 
Il clan tenta di convincerlo. 
Sandokan, suo cugino, lo minaccia. 
Lui insiste, gli fanno una soffiata e arriva l’arresto, il carcere, le rivelazioni sulla montagna di schifezze sotterrate nelle campagne. 
Indagini e processi che mandano in galera 1500 affiliati. 

Questa è la storia di Carmine Schiavone per come la racconta lui in prima persona a Servizio Più Pubblico, lo speciale in onda stasera su La7 (ore 20:35) per raccontare cos’è l’“Inferno atomico”, un territorio devastato da 10 mila tonnellate di rifiuti tra cui, dice Schiavone, ci stanno pure materiali radioattivi. “QUA SOTTO CI SONO le scorie nucleari, arrivate qua dalla Germania in cassettine grandi così – dice Schiavone calpestando un campo vicino a Casal di Principe – Le portava una società di Milano collegata all’ex P2, a Licio Gelli: era di uno che faceva il costruttore, e che s’è dimesso appena io ho verbalizzato il suo nome”. 
Cioè quando, a partire dal 1993, Schiavone spiega ai magistrati l’affare della monnezza e spara un nome grosso, già all’epoca: 

“Dove sono finiti i verbali dove parlo di Paolo Berlusconi?”, chiede Schiavone quando alcune mamme della zona, persi i loro bimbi per tumori legati all’inquinamento, pretendono dal boss un’assunzione di responsabilità. 

Nessuna prova contro Paolo Berlusconi è mai stata esibita, e molte dichiarazioni di Carmine Schiavone restano coperte dal segreto di Stato. 

Quanto emerso nelle ultime settimane sul lavoro svolto dalla Commissione parlamentare nel 1997, il famoso “qua moriranno tutti tra vent’anni”, è solo un frammento della verità più profonda e inesplorata. 
Un mistero che ha rovinato la vita a Roberto Mancini, l’agente della Criminalpol che per quelle indagini del 1993 sorvolò in elicottero le terre del veleno. 
Al suo fianco Schiavone, che gli indicava i campi dove il suo clan aveva sotterrato i rifiuti pericolosi. L’agente Mancini ha passato giorni interi camminando su quella terra, a prendere misure e segnare punti di scavo, a seguire i carotaggi e prendere appunti. L’agente Mancini non è più in servizio: da dieci anni combatte un linfoma, un cancro tipico nella Terra dei fuochi, una malattia che è una beffa per chi credeva nella legalità e ha visto sprecare un lavoro rischioso, durissimo. 
“Non sono stato tutelato dallo Stato – dice Mancini nello studio di Servizio Pubblico a Sandro Ruotolo –. Finora ho combattuto il tumore, d’ora in poi mi dedicherò alle istituzioni. Quando consegnai il mio rapporto sulle ispezioni giù in Campania, i giudici Narducci e Policastro erano entusiasti. Pochi giorni dopo cambiarono idea, e dell’inchiesta non rimase nulla: troppo difficile da gestire, troppe pressioni. C’è stato anche l’intervento della massoneria (P2 di gelli e Bwerlusconi!), è provato”. 

In Campania tutti aspettano una risposta. I malati, i parenti dei morti, quelli che pretendono dal presidente della Repubblica il riconoscimento ufficiale dello status di vittime dello Stato: “Gli abbiamo spedito 150 mila cartoline, non ha dato cenno – spiegano dal comitato –. Del resto, all’epoca dei fatti, era lui il ministro degli Interni. Quindi ora speriamo che ci dia ascolto Papa Francesco”. 
NELLE CAMPAGNE, i contadini raccolgono peperoni e friarielli a pochi metri dalle aree sospette: “Dobbiamo svendere, nessuno compra più”. Ma perché non avete denunciato negli anni chi veniva a sversare? “Con la canna di fucile in bocca dovevamo parlare, certo. Qua non ci ha difesi mai nessuno, la politica sapeva, ha mangiato e noi siamo rovinati”. 
Chiara Paolin 

MATTEO RENZI PRENDE LE DISTANZE DAL GOVERNO, PAROLE DURE ANCHE NEI CONFRONTI DI ALFANO.

Renzi: “Nulla in comune con Letta e Alfano. Ora da chiacchiere a cose scritte”

Il segretario del Pd sostiene gli attacchi di Faraone: "Era solo uno sfogo. Ma lui ha detto quello che pensa il 99% degli italiani". Rimpasto? "Quella parola mi fa senso. Io ho il problema opposto perché Delrio ogni tanto mi dice che vorrebbe lasciare: non ho interesse a mettere perdine e scambiare caselle: chiedo solo che si cambino stile e velocità nel governo"






La strada è segnata. Le dichiarazioni di Faraone e degli altri sono state solo l’inizio. Matteo Renzi mette il carico e mette nel mirino il governo. In particolare il presidente del Consiglio Enrico Letta e il suo vice Angelino Alfano“Io sono totalmente diverso da loro, per tanti motivi” dice in un colloquio con La Stampa. “Le cose bisogna raccontarle per come stanno – spiega – Lui, Enrico, è stato portato al governo anni fa da D’Alema, che io ho combattuto e combatto in modo trasparente; e Angelino Alfano al governo ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze”. “Io sono totalmente diverso, per tanti motivi” in primis perché “ho ricevuto un mandato popolare, tre milioni di persone che mi hanno votato perché hanno condiviso quel che ho promesso che avrei poi fatto”. Per questo “non si può perder tempo, con l’anno nuovo si passa dalle chiacchiere alle cose scritte”: lavoro e riforme i “due temi capitali”. Ma quanto al governo “bisogna tener fede a quanto detto: se Letta fa, va avanti. Certo, se si fanno marchette e si passa dalle larghe intese all’assalto alla diligenza, non va bene”. 
L’idea è di continuare a sostenere il governo a condizione che faccia quel che deve. Però “potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose. E la faccenda della nomina da parte di Alfano di diciassette nuovi prefetti è soltanto la ciliegina sulla torta”. Di “rimpasto” il sindaco di Firenze non vuole sentir parlare, “quella parola, intendo rimpasto, non l’ho mai pronunciata e mai la pronuncerò”. Tanto più, aggiunge, che “io fatico a tenere Delrio al governo, perché ogni tanto mi dice che vorrebbe lasciare: è quello il mio problema”, “non ho alcun interesse a mettere pedine e scambiare caselle: chiedo solo che si cambino stile e velocità nel governo”. Quello di Faraone, spiega, è stato uno “sfogo di pancia”. “Non è una dichiarazione di guerra – continua – perché le dichiarazioni di guerra le faccio io, mettendoci la faccia. Però Faraone ha detto quel che pensa il 99% degli italiani. E nel merito è difficile dargli torto… Un po’ di tempo fa Enrico mi ha spiegato che i provvedimenti che il governo avrebbe varato a fine anno erano frutto di un lungo lavoro preparatorio, che ne aveva parlato con Epifani e i partner di maggioranza … Mi chiese, insomma, di non ostacolarli: e io non ho disturbato. Ma potevano risparmiarsi e risparmiarci tante cose”.
 Sulla legge elettorale prepara una nuova offensiva, anche nei confronti di Grillo e Berlusconi: “Vediamo cosa risponderanno gli uni e gli altri ma io con loro ci parlo e ci parlerò”. Il voto subito? “Sapesse quanti mi dicono ‘Matteo bisogna andare subito al voto’ e io rispondo calma ragazzi,calmaBisogna tener fede a quando detto: se Letta fa, va avanti. E continuo ostinatamente a credere che sia possibile. Certo, se si fanno marchette e si passa dalle larghe intese all’assalto alla diligenza, non va bene. E per fortuna che stavolta non l’ho detto io: visto che il primo critico, in questa occasione, è stato il capo dello Stato. E certo non si può accusare il presidente di essere un nemico del governo Letta”. 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/29/renzi-nulla-in-comune-con-letta-e-alfano-passare-da-chiacchiere-a-cose-scritte/827098/

Il Papa: «Gesù fu un profugo, è un dovere accogliere i migranti»

Papa Francesco: “Anche Gesù fu profugo, è un dovere accogliere i migranti”

"Mentre fissiamo lo sguardo sulla Santa Famiglia di Nazaret nel momento in cui è costretta a farsi profuga, pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento"

Papa Francesco: “Anche Gesù fu profugo, è un dovere accogliere i migranti”
“Perciò – ha spiegato Francesco ai fedeli presenti in piazza San Pietro – mentre fissiamo lo sguardo sulla Santa Famiglia di Nazaret nel momento in cui è costretta a farsi profuga, pensiamo al dramma di quei migranti e rifugiati che sono vittime del rifiuto e dello sfruttamento. Ma pensiamo anche agli ‘esiliati’ che possono esserci all’interno delle famiglie stesse: gli anziani, per esempio, che a volte vengono trattati come presenze ingombranti. Molte volte penso che un segno per sapere come va una famiglia è vedere come si trattano in essa i bambini e gli anziani”. Parole che richiamano alla mente i gesti compiuti dal Papa a Lampedusa l’8 luglio scorso per condannare “la globalizzazione dell’indifferenza” davanti alla continua tragedia degli immigrati morti in mare.
Papa Francesco, che nei primi giorni del nuovo anno annuncerà i nomi dei suoi primi cardinali, ha spiegato che il concistoro di febbraio e il sinodo di ottobre si occuperanno proprio del tema della famiglia. “Il prossimo Sinodo dei vescovi – ha affermato Bergoglio – possa ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio”. E il Papa ha voluto “anche incoraggiare le famiglie a prendere coscienza dell’importanza che hanno nella Chiesa e nella società”. Come, infatti, ha scritto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, “la famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove si impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende a essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società – ha concluso il Papa – supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia. Come insegnano i vescovi francesi, non nasce ‘dal sentimento amoroso, effimero per definizione, ma dalla profondità dell’impegno assunto dagli sposi che accettano di entrare in una comunione di vita totale’”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/29/papa-francesco-anche-gesu-fu-profugo-e-un-dovere-accogliere-i-migranti/827254/





GRILLO VS NAPOLITANO,LA NUOVA SFIDA ONLINE

Grillo contro Napolitano, la nuova sfida è il contro discorso di fine anno

Il 31 dicembre, proprio mentre il presidente della Repubblica rivolgerà il suo discorso alla nazione a reti unificate, il leader del M5S terrà il suo 'contro-discorso di fine anno'. Appuntamento alle 20.30 sul suo blog e su "La Cosa"



Lo aveva fatto a Natale e lo farà per l’ultimo giorno dell’anno. Ma questa volta Beppe Grillo lancia la sfida a Giorgio Napolitano in contemporanea tv. Il 31 dicembre, proprio mentre il presidente della Repubblica rivolgerà il suo discorso alla nazione a reti unificate, il leader del M5S terrà il suo ‘contro-discorso di fine anno’.
Il leader dei 5 stelle dà appuntamento alle 20.30 sul suo blog e su “La Cosa” (la web tv del Movimento). Così mentre milioni di italiani ascolteranno le parole del capo dello Stato in televisione, molti altri andranno sul web per seguire Grillo. Non faranno né una cosa né l’altra, invece, la maggior parte dei parlamentari di Forza Italia e della Lega Nord. O meglio spegneranno la tv. I forzisti hanno aderito all’iniziativa lanciata dall’ex parlamentare Giuseppe Moles di “boicottare il discorso di Napolitano”. I ‘lumbard’, invece, stanno addirittura valutando l’ipotesi di aderire allarichiesta di impeachment nei confronti del capo dello Stato lanciata proprio dal M5S: “Faremo una valutazione della coerenza del presidente della Repubblica”, precisa il senatore Guido Guidesi.
E infatti il biglietto di auguri natalizi dell’ex comico al capo dello Stato era stato questo: “A gennaio lo aspetta una richiesta di impeachment” definendo l’inquilino del Quirinale un “re” che “nomina i suoi primi ministri” e non rispetta la Costituzione. Un attacco che aveva provocato una levata di scudi da parte della maggioranza e aveva sorpreso perché arrivato poco dopo il duro richiamo di Giorgio Napolitano all’esecutivo per il caos sul decreto ‘salva Roma’. Il monito del capo dello Stato avrebbe potuto rappresentare, per i cinque stelle, un buon pretesto per attaccare l’esecutivo. Invece il mirino resta sempre puntato sul Colle.

L'EMERGENZA RIUFIUTI RISCHIA DI DIVENTARE UN CASO IRRISOLVIBILE.

Rifiuti, “Terra dei fumi” in tre Regioni per salvare il sud dall’emergenza

di  | 29 dicembre 2013

Il disegno di legge collegato alla manovra individua una rete integrata di inceneritori per trattare l'immondizia di tutta Italia. Ma solo Lombardia, Emilia Romagna e Toscana hanno 30 dei 52 impianti presenti nel Paese. Tra le città candidate anche Parma. Milano si oppone, Bologna tace. E infuria la polemica contro la Regione: "Non ci sarà sicurezza su ciò che arriva"

Rifiuti, “Terra dei fumi” in tre Regioni per salvare il sud dall’emergenza
I sindaci dell’Emilia Romagna però non ci stanno, perché il rischio è che a fare da parafulmine alle carenze di alcuni territori, debbano essere le regioni che da anni hanno adottato una politica di smaltimento rifiuti basata sulla raccolta differenziata e sugli impianti di incenerimento. Secondo i dati di Federambiente in Italia ci sono 52 impianti e di questi, una trentina (pari quasi al 60 per cento) sono concentrati in tre regioni: Lombardia (13), Emilia Romagna e Toscana (8 ciascuna). Una concentrazione di impianti che stride con la carenza del sud Italia: in Campania,Calabria Puglia ne esistono al massimo uno o due.
Tra le città candidate a ricevere rifiuti da tutta Italia c’è Parma, la Food Valley dove da fine agosto è stato acceso l’ultimo inceneritore in Regione, nonostante i tentativi del sindaco Cinque stelleFederico Pizzarotti di fermarlo. I cittadini lo avevano scelto alla guida del Comune anche con la speranza che potesse bloccare il forno gestito dalla multiutility Iren, ma dopo un anno di braccio di ferro, anche Pizzarotti ha dovuto alzare bandiera bianca. L’unico obiettivo rimaneva quello di “affamare l’inceneritore” con l’aumento della differenziata per spegnerlo in futuro, ma con le nuove disposizioni da Roma, ora quella speranza si è trasformata in un miraggio. “E’ evidente che il nostro inceneritore non potrà essere affamato, perché saranno Regione e Governo, attraverso la legge, a stabilire quali rifiuti dovranno essere bruciati nel forno” protesta l’assemblea permanente No inceneritori, che a novembre aveva occupato l’impianto di Ugozzolo, imbrattando i muri con scritte contro il camino e contro il sindaco Pizzarotti. 
La battaglia dell’amministrazione si è spostata contro la proposta della rete integrata di inceneritori per l’Italia. Pizzarotti ha alzato la testa insieme agli altri sindaci dell’Emilia Romagna per evitare che qui arrivino i rifiuti dalle regioni che non sanno come sbarazzarsi della propria immondizia. Insieme agli altri primi cittadini ha scritto al ministro Andrea Orlando e al ministro Flavio Zanonato, al presidente della Regione Vasco Errani e all’assessore Gian Carlo Muzzarelli per chiedere di non penalizzare i territori virtuosi in tema rifiuti come l’Emilia Romagna. Dal 2009 al 2012 nella regione i rifiuti avviati a smaltimento si sono già ridotti del 15 per cento. Gli impianti emiliano-romagnoli hanno una capacità di 1.100.000 tonnellate l’anno, ma nel 2020 il piano prevede che i rifiuti urbani da smaltire saranno solo 650mila tonnellate, a fronte di una riduzione del 25 per cento di produzione di rifiuti e il raggiungimento del 70 per cento di raccolta differenziata.
I sindaci hanno definito “improponibile una programmazione che preveda flussi di rifiuti a livello sovraregionale” perché gli impianti sono stati realizzati in ambito provinciale finanziandoli con le tariffe e con le società di servizi che sono a partecipazione degli enti locali. Il piano nazionaleequivarrebbe a mandare in fumo anni di sforzi e sacrifici per i cittadini che hanno pagato le bollette e imparato la raccolta differenziata con la speranza di potere un giorno spegnere gli inceneritori. “I rifiuti da fuori regione romperebbero quel delicato equilibrio tra responsabilità e premialità che sostiene i risultati e i comportamenti dei cittadini” spiegano i sindaci, che tra le altre cose propongono il finanziamento nazionale di impianti di recupero e trattamento dei rifiuti, incentivi economici ai territori che ne producono meno e attuano la differenziata e penalizzazione fiscale per lo smaltimento.
Anche la Regione Lombardia, che recentemente ha votato la progressiva disattivazione dei suoi 13 impianti di termovalorizzazione, si è opposta alla proposta di Roma. L’Emilia Romagna invece tace, in attesa che venga discusso a gennaio 2014 il piano regionale che finora ha creato polemiche e divisioni. Di parole da spendere però ne ha molte l’ex assessore all’Ambiente Sabrina Freda, esautorata da Errani per le sue idee anti-inceneritore, che chiede alla Regione di prendere una posizione come ha fatto la Lombardia. Secondo la segretaria regionale dell’Idv che puntava alla dismissione progressiva degli impianti, con il piano nazionale il danno sarà dei cittadini, che “con la raccolta differenziata libereranno spazio negli inceneritori per rifiuti che arrivano da altre parti d’Italia e che con le loro bollette hanno foraggiato gli inceneritori e continueranno a farlo, anche se bruciano rifiuti altrui, respirando le loro emissioni”. Inoltre c’è il rischio di perdere il controllo sui rifiuti: “Negli impianti potrebbero bruciare anche le ecoballe campane, non ci sarà più sicurezza su quello che arriva”. A incassare – come ricorda Andrea Defranceschi (M5S) - saranno inveceHeraIren e la Regione: riceveranno soldi grazie allo smaltimento

domenica 29 dicembre 2013

Landini: sì al contratto unico di Renzi per lavoratori

Landini: sì al contratto unico di Renzi per lavoratori"Per eliminare altri contratti inutili e precari" (Repubblica)Landini: sì al contratto unico di Renzi per lavoratori


Il contratto unico per i lavoratori, proposto dal leader del Pd Matteo Renzi, "può essere la strada per ridurre la precarietà". Lo afferma il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, sottolineando che a questa proposta "dico sì" se "vuol dire cancellare una serie di forme contrattuali inutili che hanno soltanto precarizzato il mondo del lavoro".

"Dico basta - spiega Landini in un'intervista alla Repubblica -ai contratti di collaborazione, alle false partite Iva, al lavoro interinale, a quello a progetto. Bisogna guardare in faccia la realtà e smetterla di fingere: sono contratti che non servono nè alle imprese nè ai lavoratori. Penso che Renzi voglia aprire una
fase nuova".
Per il segretario della Fiom, però, non è un'apertura a modifiche dell'articolo 18. "Vorrei far notare - sottolinea - che tutti quei lavoratori precari non hanno nè diritti nè tutele. Aggiungo che l'articolo 18 è stato modificato e non ha creato più
occupazione, bensì più licenziamenti per ragioni economiche. Il contratto unico a tempo indeterminato - conclude Landini -
avrebbe tutte le tutele, si tratterebbe solo di allungare il periodo di prova".

Monte Paschi, Alessandro Profumo bocciato dalla Fondazione.

Mps, la Fondazione si salva (per ora) e la banca torna un problema dello Stato




Il Monte dei Paschi di Siena rischia di tornare presto un problema pubblico. E’ questa la principale conseguenza della delibera degli azionisti della banca senese che hanno bocciato la proposta del cda presieduto da Alessandro Profumo di varare a gennaio l’aumento di capitale da 3 miliardi di euro necessario per la restituzione allo Stato dei cosiddetti Monti bond come convenuto con laCommissione europea a settembre. Ha votato contro il 69,06% del capitale presente in assemblea, cioè il 49,3% dei soci di Rocca Salimbeni. Quindi, come previsto, la bocciatura della proposta di Profumo e del direttore generale Fabrizio Viola è stata portata avanti con il voto quasi esclusivo della Fondazione Mps cui fa capo il 33,5% della banca toscana.
Forte della sua rappresentatività, l’ente è poi riuscito a far passare la sua proposta di procedere alla ricapitalizzazione soltanto nel mese di giugno: ha votato a favore l’82,04% del capitale presente in assemblea, mentre hanno votato contro o si sono astenuti complessivamente azionisti che detengono poco più del 2% della banca e non ha partecipato alla votazione il 15,67% del capitale. Una scelta che senz’altro concede più fiato alla fondazione guidata da Antonella Mansi e gravata da 339 milioni di debiti accumulati negli anni scorsi con una dozzina di banche nel tentativo di mantenere il controllo del Montepaschi. La ricapitalizzazione immediata, infatti, avrebbe tagliato la strada all’ente che sta trattando a 360 gradi una soluzione per la sua sussistenza, riducendo drasticamente il valore del suo unico asset, il Monte appunto.
Altrettanto non si può dire per Mps e per lo Stato italiano. Per la banca il rinvio dell’aumento di capitale e, quindi, della restituzione dei Monti bond, l’aiuto di Stato ottenuto dopo mille tortuosità dal governo dell’ex rettore della Bocconi e convalidato dal successore Enrico Letta, significa 120 milioni di euro di dividendi da staccare in più al Tesoro che lo scorso anno ha integralmente sottoscritto le obbligazioni. Per Saccomanni, però, l’incasso delle cedole è un misero antipasto in confronto alla prospettiva che offriva la tempistica prevista da Profumo e Viola, cioè la restituzione integrale dei 3,3 miliardi di aiuti di Stato entro febbraio. 
E ancora peggio potrebbe andare se le fosche previsioni di Profumo, le cui dimissioni sono date per scontate con tanto di lista dei potenziali successori, dovessero rivelarsi esatte. Secondo l’ex numero uno di Unicredit, a suo tempo messo in un angolo dalle fondazioni azioniste della banca milanese sempre per un problema di controllo, un rinvio della ricapitalizzazione significa renderla impossibile. La conseguenza? L’ingresso dello Stato, via conversione del debito in titoli, in un Monte dei Paschi che vale sempre meno. E, in contemporanea, lo sfumare definitivo della restituzione degli aiuti di Stato.
PROFUMO: “IL PALIO E’ TRA SIENA E I CONTRIBUENTI” - “Entriamo in un campo di incertezza, perchè non sappiamo che cosa succede da qui al prossimo maggio”, aveva detto il banchiere in assemblea a proposito del rinvio della ricapitalizzazione. “Oggi abbiamo la certezza che si possa realizzare l’aumento di capitale, domani si entra nell’incertezza: oggi c’è un consorzio di garanziache garantisce la riuscita dell’aumento, domani andrebbe ricreato il consorzio ma non sappiamo se sarà possibile e a che condizioni. Oggi le condizioni sono favorevoli per noi. La volatilità dei mercati è ancora rilevante e non sappiamo che cosa succederà da qui a maggio”, aveva aggiunto. Per poi ricordare come l’aumento di capitale a gennaio avrebbe risolto anche il tema del pagamento degli interessi sui Monti bond e, quindi, invitare a tenere presente anche il quadro politico: “Lasituazione politica in Italia è sempre piuttosto instabile e certo non ci auguriamo che possa accadere nulla di particolare. Certamente non sappiamo cosa accadrà da qui a maggio quanto ci saranno anche le elezioni europee”.
“Da dove arrivino i 3 miliardi mi interessa poco: se la banca è ben gestita e arrivano i 3 miliardi resta a Siena, altrimenti sparisce”, aveva poi detto il banchiere rispondendo alle preoccupazioni del sindaco di Siena, Bruno Valentini, sull’arrivo di capitali stranieri. “La verità è che in Italia siamo troppo capaci di attrarre investimenti stranieri”, ha ironizzato dicendosi “stupito” che anche la sezione di Siena di Confindustria si sia lamentata circa il possibile arrivo di investitori stranieri. ”Non c’è nessun Palio, se non con i contribuenti italiani”, ha quindi rimarcato senza sbilanciarsi sul tema delle sue dimissioni. ”Queste sono decisioni che si assumono a sangue freddo e nei luoghi deputati. Non ho nessuna anticipazione da fare agli azionisti”, ha detto ricordando che per gennaio è in calendario una riunione del consiglio di amministrazione della banca. Del resto queste cose sono solitamente oggetto di delicate trattative, come Profumo sa bene per averlo vissuto in prima persona nel settembre del 2010 quando ha lasciato Unicredit dopo una giornata di trattative costellata di annunci e smentite e con in tasca una liquidazione da oltre 40 milioni di euro.
L’AD INSODDISFATTO DEI RISULTATI DELLA BANCA - “Abbiamo messo la banca in sicurezza sotto profilo della liquidità e se ci fosse stato l’aumento di capitale a gennaio l’avremmo messa in sicurezza anche sul piano patrimoniale”, ha invece commentato Viola al termine dell’assemblea. “Oggi dobbiamo prendere atto che una parte del piano di ristrutturazione è stata rinviato. Il nostro percorso va comunque dritto al risanamento della banca”, ha aggiunto. Nel corso dell’assise l’amministratore delegato aveva precisato che il consorzio di banche che aveva garantito l’aumento di capitale a gennaio 2014 “si è mosso secondo la prassi del mercato”. C’è stata “una due diligence(l’analisi dello stato di salute di un’azienda, ndr) che ha valutato positivamente la situazione dell’istituto e anche le condizioni di mercato”. Il consorzio di garanzia, inoltre, ha ricevuto “le assicurazioni necessarie da investitori istituzionali” per il raggiungimento dell’obiettivo dell’aumento di capitale.
Lo stesso Viola aveva poi detto ai soci di non essere “soddisfatto dei risultati di questi ultimi due anni nelle trimestrali, ma questi risultati vanno indubbiamente inquadrati” in quella che era la situazione di Banca Mps ereditata dalla passata gestione di Giuseppe Mussari ed Antonio Vigni. “Il punto di partenza che abbiamo trovato all’inizio del 2012 era caratterizzato da alcuni problemi, a partire dalla carenza di capitale”, aveva osservato ricordando che nell’ottobre 2011 Banca Mps è “rimasta in piedi come soggetto funzionante grazie all’intervento straordinario della Banca d’Italia che ha dato liquidità alla banca”. Tra i “problemi strutturali” che l’istituto sconta ancora dalla passata gestione c’è “un’eccessiva esposizione su attività finanziarie che non rendevano, o rendevano pochissimo oppure in alcuni casi costavano”, come le operazioni sui derivati Santorini e Alexandria, oltre a una struttura del portafoglio crediti “con circa il 60% di mutui o finanziamenti a medio lungo termine”.
LA FONDAZIONE SI AUGURA CHE NON CI SIANO CONSEGUENZE - “Non ho la sfera di cristallo e mi auguro che non ci sia nessuna conseguenza. Sono però convinta che oggi sia stata chiarita definitivamente quella che era l’incertezza sull’aumento di capitale che noi abbiamo sempre appoggiato”, ha invece commentato il presidente della fondazione Mps sostenendo che “da noi non c’è stata nessuna sfiducia nei confronti dei vertici della banca”. Non solo. “Oggi non ci sono nè vinti nè vincitori”, ha aggiunto Mansi precisando che “da tempo avrei voluto che questa situazione fosse spersonalizzata perchè tutti dobbiamo avere grande attenzione per la banca. Se qualcuno pensa che non c’è stato un confronto tra noi sbaglia. Poi non sempre è possibile trovare una mediazione. Ci sono legittime posizioni che talvolta possono non essere conciliabili”.
“Lasciamo ai soci valutare quale sia il vero interesse della banca, nell’alternativa che si pone fra l’aumento di capitale nella tempistica che propone la Fondazione e il rinvio della decisione ad una nuova eventuale assemblea futura. Confidiamo che la vostra decisione sarà quella più opportuna, che non pregiudica le sorti dell’istituto bancario”, aveva detto in assemblea esprimendo per la fondazione Mps “il forte auspicio di mantenere comunque un ruolo di azionista rappresentativo all’interno della futura compagine azionaria della banca”. Poco prima aveva altresì ammesso che “la Fondazione, così come tutti gli azionisti, subirebbe danni irreparabili dalla conversione in azioni dei titoli sottoscritti dal governo. Mentre la banca, detto per inciso, continuerebbe ad esistere”, ricordando che “gli amministratori vi sarebbero costretti comunque non prima degli inizi del 2015, verificata la definitiva impossibilità di effettuare l’aumento di capitale o anche prima nell’ipotesi in cui risultasse compromesso l’equilibrio economico della banca; ipotesi che ad oggi, alla luce delle informazioni rese disponibili al mercato, non sembra essere prevedibile”.
“L’accelerazione dell’operazione di aumento del capitale avrebbe definitivamente compromesso la possibilità di continuare a farci carico di quelle utilità sociali che sono l’essenza della nostra natura fondazionale”, è stata la motivazione chiave del presidente dell’ente che ha chiuso il 2012 con undisavanzo di 193,7 milioni di euro dopo il rosso di 331,7 milioni del 2011. Conti che negli ultimi anni hanno impedito alla Fondazione di far fronte ai suoi doveri istituzionali imponendo una drastica riduzione delle erogazioni al territorio, sua mission statutaria. Eppure secondo Mansi “qui dovremmo parlare non di conflitto di interessi ma semmai di conflitto di doveri. Per noi la tutela dell’integrità del patrimonio non è un optional: non potete chiederci di far crollare proprio noi l’edifico che ci è stato dato dalla legge”. 
Quanto allo stato di salute dell’ente, “gli attuali organi della Fondazione, insediati da appena tre mesi, si sono trovati subito ad affrontare una situazione particolarmente grave e complicata, su cui peraltro sono state tempestivamente avviate le opportune verifiche tecniche, anche per accertare eventuali profili pregressi di responsabilità”. Mentre per la banca “è veramente molto difficile pensare che il terzo gruppo bancario italiano non riesca a trovare nella seconda finestra, dal maggio 2014, un consorzio di banche in grado di sostenere l’aumento, oltretutto disponendo di una generosa dotazione di commissioni. E’ ancor più difficile pensare che la realizzazione dell’aumento non sarebbe concretamente più facile se il suo più rilevante azionista, attualmente impossibilitato a seguire l’aumento, avesse nel frattempo realizzato un’importante discesa nella propria quota di partecipazione”. Precisazioni che però non hanno persuaso Profumo, per il quale “la decisione di oggi dell’assemblea degli azionisti è in linea con quella che portò alla difesa del 51% del capitale della banca, che si è dimostrata errata”.
IL PRIMO CONTO IN ARRIVO - Poche le certezze in attesa del giudizio del tempo. Tra queste il fatto che nel 2013 Mps tra Monti e Tremonti bond spenderà 330 milioni solo di interessi (30 legati a due mesi di Tremonti bond, 299,7 milioni relativi ai Monti bond attivi dal primo marzo). Nel 2014 potrebbe anche andare peggio, visto che il tasso di interesse salirà dal 9 al 9,5% e la massa di capitale sarà immutata a 4 miliardi per almeno 5 mesi, per un esborso di 161 milioni. Approvando l’aumento di capitale da 3 miliardi oggi, e facendolo partire al primo febbraio 2014 si sarebbero risparmiati 95 milioni in 4 mesi, se i tempi saranno più lunghi ogni mese si pagheranno poi 30 milioni in più. Se poi l’aumento di capitale non dovesse essere approvato a fine maggio, 200mila risparmiatori vedranno slittare di mesi o anni la loro cedola sul subordinato decennale Upper Tier 2, che nel 2008 portò 2 miliardi nelle casse della banca per finanziare l’acquisizione di Antonveneta.

sabato 28 dicembre 2013

INVESTIRE NELLE ATTIVITA' GIOVANILI DIVENTA RISCHIOSISSIMO, LE BANCHE NON FANNO CREDITO.

Giovani e imprese, “La mia azienda ostaggio della paura delle banche”

Daniela Cestelli, 27 anni, ha fondato la società "Ultimo Podere" per vendere sughi toscani ai nuovi ricchi dei Paesi emergenti. Ha il laboratorio per produrre i condimenti, i collaboratori e i contatti ma gli istituti di credito, a causa della stretta creditizia, le negano i finanziamenti. Una storia che spiega più delle statistiche perché in Italia la ripresa non arriva mai

Giovani e imprese, “La mia azienda ostaggio della paura delle banche”
Vendere il ragù di cinta a cinesi e indiani
“Mi sono laureata in Lingue e civiltà orientali alla Sapienza di Roma, ho studiato cinese, indi e inglese. Ho fatto una ricerca di mercato per capire cosa cercano i nuovi ricchi dei Paesi emergenti, ho capito che quando hai tutto vuoi l’elisir di lunga vita, tra i cui ingredienti c’è il cibo di qualità. E l’Italia può offrirlo”, racconta Daniela. Nel settembre 2012 prova quindi a diventare imprenditrice: nasce la società L’Ultimo Podere (www.ultimopodere.eu), 200 mila euro di capitale sociale (costituito però da un software conferito dai soci all’azienda), l’idea è di vendere in tutto il mondo i sapori della Toscana, la Pomarola, il ragù di Chinina, il ragù di Cinta, sughi in barattolo pensati per i palati cinesi e indiani. “Sono prodotti di altissimo livello, biologici, con materia prima proveniente dalle piccole aziende della provincia di Siena. Ho collaboratori bravissimi, un cuoco che ha viaggiato per il mondo ma ha imparato a cucinare con le nonne toscane. Anche il mio ragazzo lavora con me. Ho studiato il marchio e il barattolo, realizzato dalla Bruni, una delle più grosse vetrerie italiane. Un amico artista ha realizzato il logo. Abbiamo provato a fare quello che ripetono imprenditori comeOscar Farinetti: valorizzare l’agroalimentare italiano”. Fin qui tutto bene. Ma servono i soldi: 300 mila euro per partire. E Daniela scopre che cosa significano i numeri diffusi ogni mese dall’Abi: a novembre i finanziamenti bancari a famiglie e imprese in Italia sono crollati del 4 per cento rispetto a novembre 2012, dopo che a ottobre erano scesi del 3,7 per cento.
L’attesa infinita e i fornitori da pagare
Il viaggio di Daniela nella stretta creditizia comincia dal consorzio Fidi Toscana, società finanziaria della Regione Toscana che serve ad aiutare le imprese nel trovare credito con le banche, facendosi garante di una parte del finanziamento. “Il consorzio dà garanzie tra il 60 e l’80 per cento per l’imprenditoria femminile, presenti i preventivi e loro decidono se finanziarti. Ho compilato tutti i moduli,poi sono andata in Cina a insegnare l’italiano. Quando sono tornata, mi sono appoggiata alla Banca di Credito cooperativo di Cambiano, a Poggibonsi: ho depositato titoli a garanzia per 44 mila euro, che loro hanno valutato solo 36 mila, e mi hanno dato un fido di 50 mila euro”. Un finanziamento per cominciare i lavori, in attesa del prestito vero con la garanzia di Fidi Toscana. Cominciano i lavori, nasce il laboratorio con spazio vendita della Ultimo Podere, 400 metri quadri a Colle Val d’Elsa, tra Siena e Firenze, “a luglio telefono a Fidi Toscana per sapere che fine ha fatto la mia pratica, loro dicono di aspettare ancora per avere 300 mila euro oppure me ne propongono 250 mila con garanzia al 60 invece che all’80 per cento. Ma nessuno del consorzio è mai venuto a vedere cosa facevamo, anche solo per verificare se l’azienda esisteva davvero”. A fine luglio arriva la delibera, “ma la Banca di Cambiano chiede una fideiussione di 250 mila euro fornita dal mio babbo e dalla mia mamma, così la banca si sarebbe trovata ad avere una garanzia del 160 per cento! Un’assurdità, non potevo accettare, hanno anche preteso un aumento di capitale da 50 mila euro”. I genitori di Daniela hanno un bar-negozio-tabacchi in un paesino toscano,“siamo cinque figli, non potevo chiedere loro un simile sforzo. Ho pianto per giorni: il laboratorio era pronto, ma io avevo finito i soldi. Ho pagato un po’ di fornitori, ho spiegato la situazione, loro mi hanno dato fiducia”.
Si fidano soltanto di mamma e papà
Daniela cambia banca, lascia il Credito cooperativo di Cambiano e passa al Monte dei Paschi, sperando che un istituto più grosso sia più efficiente . Ma anche Mps esige una fideiussione, almeno 100 mila euro, “la banca non si fidava, ma almeno la direttrice della filiale è venuta a vedere l’azienda, ha fatto anche delle foto, il laboratorio era ormai funzionante, anche se i ragazzi hanno dovuto lavorare al freddo perché non avevo i soldi per il riscaldamento”, poi ci sono problemi con la Usl, inizia un’altra guerra burocratica per le autorizzazioni, così da poter dichiarare ufficialmente l’inizio dell’attività, necessaria per ottenere un altro fido da Mps. Daniela pensa di arrendersi, ormai i sughi sembrano destinati a rimanere un miraggio, dal consorzio Fidi Toscana è arrivato il via libera a fine settembre ma ora servono i soldi della banca. Il papà, la mamma e le sorelle la convincono: si rimangia l’orgoglio e accetta la fideiussione dei genitori, “e una settimana fa è arrivata la delibera dal Monte Paschi”, che tra Fidi Toscana e fideiussione si trova garantita al 100 per cento. Intanto la Ultimo Podere sarebbe pronta a lavorare a pieno ritmo, ma senza i capitali per comprare i macchinari, Daniela se ne è fatto prestare uno con cui riesce a produrre 200 barattoli al giorno invece che 2000 e solo per conto terzi, non ancora col suo marchio.
Ora si concede tre giorni di vacanza, “poi posso partire”, i contatti li ha, danarosi turisti orientali incontrati mentre lavorava nei weekend alle Cantine Antinori, a Firenze. “Quando ho cominciato ero contenta, i miei hanno un negozio, mio fratello un ristorante, sono cresciuta nel mondo dell’alimentare. Ma quando vai in banca ti trattano come se volessi rubare e ti passa la voglia”. Nei primi nove mesi del 2013, calcola Infocamere, sono nate in Italia 296 mila aziende. Una su tre è di un giovane sotto i 35 anni: non avendo speranze di essere assunti si mettono in proprio. Il problema è che poi devono trattare con le banche. E se i ragazzi non hanno genitori alle spalle a fare da garanti, sono guai.
Raccontate le vostre storie di giovani imprenditori, scrivete a s.feltri@ilfattoquotidiano.it
da Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre 2013