Andreotti e i nemici dell’Italia, da Gladio a Maastricht.
Scritto il 07/5/13
In un giorno di mezza estate del 1990, Giulio Andreotti ha svelato di punto in bianco l’esistenza di Gladio, mandando in tilt i piani e gli apparati di tutti i paesi Nato. «Di tutti i suoi segreti, questo in definitiva è il meno comprensibile», scrive Rita Di Giovacchino sul “Fatto Quotidiano”. Forse qualcuno voleva sbarrargli il passo, impedirgli di diventare Capo di Stato, e lui preferì giocare d’anticipo. «Tutti i rischi che potevano venirgli dall’azzardo di rivelare il più protetto segreto di Stato dovevano apparirgli di gran lunga inferiori a quello che si stava preparando». Poco dopo, infatti, vennero le stragi di mafia: Falcone e Borsellino e le bombe di Roma, Firenze, Milano. «Come al solito non si era sbagliato». Di quel periodo cruciale, Nino Galloni ha appena ricordato l’impegno di Andreotti, contrastato dai poteri forti, per scongiurare la fine della sovranità economico-finanziaria italiana con l’avvento dell’Europa di Maastricht. Decisiva una telefonata di Kohl: a Roma qualcuno “rema contro”. Pochi anni prima, Andreotti aveva scandalizzato le cancellerie europee, avvertendo nella riunificazione tedesca un serio pericolo per tutti.
Pochi ricordano che Andreotti, tra i mille incarichi che ha avuto, da senatore a vita fu componente della commissione Mitrokhin, ossia «quel carrozzone voluto da Silvio Berlusconi per indicare nei comunisti e nel Kgb i responsabili di tutti i mali d’Italia (oltre che del mondo) nonché far passare Romano Prodi come una spia al soldo dei sovietici», scrive Gianni Cipriani su “Globalist”, rievocando le confidenze ricevute dal “divo Giulio” al termine di un’audizione. «Andreotti era stato colui che, con grande disappunto di Cossiga, aveva avviato l’iter perché si ammettesse l’esistenza di Gladio». Fu così che gli chiesero del ruolo della Cia in Italia. Risposta più che esplicita: «Il senso di quelle parole fu che loro, i democristiani, dovevano fare una specie di slalom per tenere insieme la loro politica nell’ambito del guinzaglio stretto imposto dalla guerra fredda. E che molti di loro erano spiati e invisi a Washington non meno dei comunisti. Anche il neofascismo, altra cosa che mi colpì, era uno strumento utile a una stabilizzazione del potere contro possibili fughe in avanti». Peccato, aggiunge Cipriani, che quelle vicende non siano più patrimonio condiviso della sinistra: «Gli eredi del Pci, nell’ansia di diventare una forza politica affidabile agli occhi di Washington, si sono affrettati a dimenticare, ridimensionare, revisionare».
Giulio Andreotti: Belzebù, l’amico della mafia, l’anima nera della Prima Repubblica. Non c’è scandalo che non lo abbia sfiorato: il delitto Moro, Sindona, Licio Gelli. «I misteri d’Italia sfilavano nelle aule giudiziarie per dissolversi alla fine in un suo commento sarcastico: i segreti logorano chi non ce l’ha». Nelle aule giudiziarie, ricorda il “Fatto”, il processo Andreotti si è trasformato in quello a un’intera epoca, che ci sembra già tanto lontana. E’ stato il politico italiano più longevo: sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel 1945 con Alcide De Gasperi, era capo del governo 47 anni dopo. Gli storici, osserva Aldo Giannuli, continueranno a chiedersi se sia stato un lungimirante statista o solo il peggior manovratore della partitocrazia, un grande artista della realpolitik o nient’altro che il “grande vecchio” di ogni trama ed ogni scandalo. Alcuni ne ricorderanno l’inossidabile centrismo e l’ostilità al centrosinistra, altri l’essere stato il presidente del Consiglio della solidarietà nazionale e l’alleato di Zaccagnini nel XIV congresso democristiano. C’è chi ne ricorderà il sospetto coinvolgimento nel golpe Borghese e chi la sua collaborazione con il gruppo comunista per l’approvazione dei nuovi regolamenti parlamentari.
Andreotti, l’uomo del granitico atlantismo degli anni ’50, quando Mattei sfidava la potenza petrolifera Usa. Ma anche quello delle tacite confluenze con la politica sovietica negli anni ‘80: «Si pensi alla politica filo-araba, ai rapporti con il regime etiopico di Menghistu Hailè Mariam con la vicenda dell’autostrada del Tana Beles, alla freddezza verso il dissenso dell’est – a cominciare da Solidarnosc – e alla vicenda di Sigonella». Le accuse di collusione con l’estrema destra, ma anche le rivelazioni su Giannettini e la decisione di svelare la verità su Gladio. A zig-zag anche il suo profilo in materia di mafia: dall’amicizia con Salvo Lima fino alla prima legge antimafia, varata proprio dal suo governo. E’ la mossa del cavallo, dice Giannuli: precedenza alla tattica, stando sempre al centro della scacchiera, architettando mosse imprevedibili e restando sempre inafferrabili. Il rischio? «Banalizzare una figura così complessa, appiattendola su una sola delle sue dimensioni».
Giannuli preferisce sottolineare il cuore della politica andreottiana: l’acquisizione del pieno controllo della sovranità finanziaria italiana. Fino agli anni ’70, «la separazione fra politica ed economia (soprattutto finanza) era molto ben delineata e fondava uno dei patti costituenti del sistema di potere dell’Italia repubblicana: ai cattolici sarebbe spettata la serie A della politica (presidenza del Consiglio, ministero dell’interno e almeno la metà di quelli a più spiccata valenza politica) ma nel mondo bancario avrebbero dovuto accontentarsi della serie B (banche di raccolta)». Mentre ai laici, al contrario, sarebbe spettata la serie B della politica ma la serie A dellafinanza (le grandi banche d’affari). «Sino alla fine degli anni sessanta si trattò di una separazione molto rispettata. Poi le cose iniziarono a mutare con l’alleanza di Andreotti con Sindona prima e con Calvi dopo, e con la sua manovra per dare l’assalto a Mediobanca».
Per Nino Galloni, all’inizio degli anni ‘90 Francia e Germania tramavano contro l’Italia per imporre l’euro, svantaggiando il comparto manifatturiero italiano dopo la demolizione della potente industria di Stato. Se la moneta unica era il prezzo imposto dai francesi per controllare la Germania, chi temeva un’Europa improvvisamente unita e prospera, lungo la frontiera dell’ex Unione Sovietica, forziere planetario di energia e materie prime, probabilmente ha concesso a Berlino il vantaggio tattico di cui gode tuttora. L’Europa a trazione tedesca è sul punto di esplodere? Forse non è una cattiva notizia, per chi vedeva in Bruxelles un potenziale competitore, lungo la rotta dell’Est che, attraverso l’ex impero di Mosca, arriva fino a Pechino. Automatismi inquietanti: il disvelamento di Gladio (braccio illegale e terroristico della Nato), la morte di Falcone e Borsellino e il processo per il “bacio a Totò Riina”, mentre Ciampi e Andreatta offrivano a Maastricht lo scalpo di un paese che tifava per le clamorose inchieste di Mani Pulite, scardinando il corrotto sistema di potere di cui proprio lui, il “divo Giulio”, era stato il supremo, ineffabile emblema.
fonte http://www.libreidee.org/
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