Snowden, la spia rimasta al freddo
Malgrado il falso allarme dell'aereo boliviano fatto atterrare a Vienna, la Russia non sembra intenzionata a lasciare che il contractor statunitense prenda il volo, adesso che Washington è in difficoltà. Mosca cerca una posizione di forza sui dossier Siria, Iran e Afghanistan. Ma guai a tirare troppo la corda.
[La locandina del film "La spia che venne dal freddo". Fonte: amazon.com]
[La locandina del film "La spia che venne dal freddo". Fonte: amazon.com]
“La Cia ci spia e non vuole più andare via”, cantava Eugenio Finardi a metà degli anni Settanta. A cavallo di un decennio molto caldo per le sorti del nostro paese e per lo scontro infinito tra Stati Uniti (Occidente) e Unione Sovietica.
Poi, con la caduta dell'impero bolscevico e la fine (presunta) della guerra fredda, il massiccio lavoro d'intelligence messo in campo dalle due rivali e dai loro paesi satelliti sembrava destinato ad essere ridimensionato.
In realtà, erano soltanto cambiate le priorità. Mentre in Russia piano piano risalivano le scale del potere gli uomini di quello che fu il Kgb sovietico, fino a portare l'attuale presidente Putin sulla poltrona più alta del Cremlino, in Occidente la “scomparsa” del nemico comune minava la coesione atlantica e innescava la necessità per Washington di capire le priorità strategiche degli alleati.
Oggi, con Edward Snowden bloccato nel limbo dell'aeroporto moscovita di Sheremet'evo (la voce che fosse sull'aereo del presidente della Bolivia si è rivelata priva di fondamento, anche se ha costretto Morales ad atterrare a Vienna perché alcuni paesi non gli hanno concesso lo spazio aereo per tornare in patria), la storia sembra fare un salto indietro e riproporre su scala globale le reali dimensioni di un'attività di spionaggio, di amici e nemici, più vigorosa che mai.
Un lavoro certosino che in questo momento, alla luce delle ammissioni della talpa americana, sta mettendo in difficoltà gli Stati Uniti, ma che presto potrebbe ritorcersi anche contro la Russia di Putin, visto l'enorme apparato d'intelligence attivo sia nei paesi più o meno alleati di Mosca sia in casa di storici nemici.
Per adesso, al centro dello scandalo c'è Washington e la sua strategia d'intelligence. Mosca ha in mano l'uomo che lo ha innescato e che, al di là di dichiarazioni più o meno attese, non sembra aver intenzione di mollare. Stando a quanto riferito da fonti interne al governo dell'Ecuador, infatti, il Cremlino o chi per lui, avrebbe messo i bastoni tra le ruote di Quito pronto a prendere in seria considerazione la richiesta di asilo politico inoltrata dal giovane Snowden alle autorità del paese sudamericano.
Una notizia che getta una luce diversa sul caso al centro delle cronache e dell'imbarazzo delle diplomazie internazionali. Secondo quanto riportato dall'agenzia italiana Agi, lo scorso primo luglio, l'Ecuador aveva chiesto di mettere Snowden su un volo diretto in Vietnam o a Singapore, dove avrebbe potuto incontrare il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño in visita ufficiale. Niente di tutto questo è stato permesso, neanche far partire il contractor americano per Quito su un volo di Stato del paese di destinazione.
Mosca probabilmente ha intenzione di tirare per le lunghe la faccenda: troppo ghiotta l'occasione di veder in difficoltà la potenza americana nei confronti dei suoi alleati, spiati e ora decisamente arrabbiati. Tenere in forse la sorte di Snowden permette di non spegnere i riflettori su quanto accaduto e sta accadendo, e lascia la Russia in una posizione di forza nella risoluzione di caldissimi dossier aperti: dalla Siria all'Iran fino all'Afghanistan e al ritiro delle truppe Nato dal paese centroasiatico.
Nessuno, o comunque pochi, avevano creduto alla sorpresa di Putin per l'atterraggio a Mosca del giovane informatico statunitense proveniente da Hong Kong. Così come nessuno aveva pensato che Snowden avesse potuto volare verso la Federazione russa senza che la Cina ne sapesse nulla. Le due potenze rivali degli Stati Uniti potranno da oggi mettere a confronto le rispettive e molto zoppicanti "democrazie" con quella americana, sbandierata da Washington come esempio da seguire (spesso con la forza) per il resto del mondo.
“Basta ingenuità”, ha tuonato l'ex capo della Cia James Woolsey sulle pagine dellaStampa. “Russia e Cina non sono partner degli Stati Uniti”, ha spiegato, “ma rivali”. E bisognerà “spiegare con i fatti a questi paesi che ci sono conseguenze tangibili da subire per i comportamenti che adottano verso di noi”.
Un prezzo da pagare, per chi sfida gli Usa e cerca di umiliarli. Un conto che Washington prima o poi chiederà di saldare a Mosca e Pechino, nelle forme e nei tempi che troverà più giusto scegliere. Russia e Cina lo sanno: tireranno la corda, senza però farla spezzare.
Una corda a cui è legato il destino del giovane Snowden, l'ex funzionario della Cia fermo nello scalo internazionale di Mosca, da dove vorrebbe fortemente andar via.
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