Lordon: la moneta salva-Europa che la sinistra non vuole
Scritto il 31/8/13
La sinistra europea è direttamente responsabile del crimine contro la democrazia chiamato Eurozona, organizzato per conto delle élite che avevano un unico obiettivo: far sparire la sovranità popolare dal vecchio continente, precipitandolo in una crisi inaudita, in cui il lavoro scarseggia e i diritti diventano un lontano ricordo. E’ la conclusione cui perviene l’economista francese Frédéric Lordon, che indica una via d’uscita possibile: al posto dell’attuale “moneta unica”, per superare la crisi servirebbe una “moneta comune” europea, governata in modo sovrano dalle banche centrali nazionali e non convertibile all’esterno se non attraverso «una nuova Bce», che non avrebbe più potere in materia di politica monetaria, ma fungerebbe solo da “ufficio cambi” per le transazioni internazionali tra le nuove “euro-monete” e le altre valute mondiali, come il dollaro.
«Molti, specialmente a sinistra, continuano a credere che l’euro verrà modificato, che passeremo dall’attuale euro austeritario a un euro finalmente rinnovato, progressista e sociale: questo non succederà», avverte Lordon in un intervento pubblicato dal “Manifesto” e da “Libération” e ripreso da “Megachip”. «Basta pensare all’assenza di qualsiasi leva politica nell’attuale immobilismo dell’unione monetaria europea per farsene una prima ragione. Ma questa impossibilità – continua Lordon – poggia soprattutto su un argomento molto più forte, che può essere espresso con un sillogismo». Premessa maggiore: «L’attuale euro è il risultato di una costruzione che, anche intenzionalmente, ha avuto come effetto quello di dare tutte le soddisfazioni possibili ai mercati dei capitali e strutturare la loro ingerenza sulle politiche economiche europee». Premessa minore: «Qualsiasi progetto di trasformazione significativa dell’euro è ipso facto un progetto di smantellamento del potere dei mercati finanziari e di espulsione degli investitori internazionali dal campo dell’elaborazione delle politiche pubbliche». E’ ingenuo, quindi, aspettarsi che i “padroni dell’universo” lascerebbero fare.
«I mercati – chiarisce l’economista – non lasceranno mai che si concepisca, sotto i loro occhi, un progetto la cui finalità evidente è quella di sottrarre loro il potere disciplinare». E appena un progetto di smantellamento dell’euro cominciasse ad acquisire un briciolo di consistenza politica e qualche probabilità di essere attuato, «si scatenerebbero una speculazione e una crisi di mercato acuta che non lascerebbero il tempo di istituzionalizzare una costruzione monetaria alternativa». Il solo esito possibile, a caldo, «sarebbe il ritorno alle monete nazionali», cioè lo scenario più avversario da «quella sinistra “che ancora ci crede”», come il partito socialista francese, «che oramai con la sinistra intrattiene esclusivamente rapporti di inerzia nominale». Idem per «la massa indifferenziata degli europeisti che, silenziosa o beata per due decenni, scopre solo ora le tare del suo oggetto prediletto e realizza, con sgomento, che potrebbe andare in frantumi». Nessuna soluzione sul tappeto, perché «un così lungo periodo di beato torpore intellettuale non si recupera in un batter d’occhio». In altre parole: dall’attuale sinistra europea è inutile aspettarsi qualcosa di utile.
In verità, aggiunge Lordon, «le scarne idee a cui l’europeismo aggrappa le sue ultime speranze sono diventate parole vuote: titoli di Stato europei (o Eurobond), “governo economico”, o ancora meglio il “balzo in avanti democratico” di François Hollande», formule di carta che possono al massimo suscitare l’ilarità di Angela Merkel. La sinistra annaspa tra «soluzioni deboli per un pensiero degno della corazzata Potëmkin che, non avendo mai voluto approfondire nulla, rischia di non capire mai niente». Ma attenzione, non è detto che Hollande e compagni siano solo tonti, e quindi innocenti: è possibile che siano, più che altro, complici diretti dell’ingegneria del disastro. «Può darsi che si tratti non tanto di comprendere quanto di ammettere: ammettere finalmente la singolarità della costruzione europea, che è stata una gigantesca operazione di sottrazione politica». Cosa c’era da sottrarre, esattamente? «Né più né meno che la sovranità popolare». Sicché, «la sinistra di destra, diventata come per caso europeista forsennata, si riconosce, tra l’altro, per come le si drizzano i capelli in testa quando sente la parola sovranità, immediatamente ridotta a “ismo”: sovranismo».
La cosa strana, aggiunge Lordon, è che a questa “sinistra di destra” «non viene in mente neanche per un attimo che “sovranità”, intesa innanzitutto come sovranità del popolo, è semplicemente un altro termine per indicare lademocrazia stessa». E’ come una sorta di “confessione involontaria”: «Il rifiuto della sovranità equivale a un rifiuto della democrazia in Europa», anche se la retorica di partito fabbrica spauracchi come l’espressione “ripiegamento nazionale”, temendo il 25% del Front National, senza peraltro domandarsi da dove venga il successo di Marine Le Pen. Una percentuale che «ha molto a che fare con la distruzione della sovranità, non intesa come esaltazione mistica della nazione, ma come capacità dei popoli di determinare il loro destino». Finiamola con l’ipocrisia, insiste Lordon: la sinistra, massima sostenitrice dei trattati-capestro europei, da Maastricht in poi, ha finto di ignorare «lo scandalo intrinseco della sottrazione delle politiche pubbliche al criterio fondamentale della democrazia», cioè la possibilità di rivedere sempre gli accordi presi. In Europa, invece, «si è scelto di scrivere tutto e una volta per tutte in trattati inamovibili». Politica monetaria, uso dello strumento budgetario, livello di indebitamento pubblico, forme di finanziamento del deficit: «Tutte queste leve fondamentali sono state scolpite nel marmo».
Come si potrebbe discutere del livello di inflazione desiderato quando quest’ultimo è stato affidato a una Banca centrale indipendente e tagliata fuori da tutto? Come si potrebbe decidere una politica budgetaria quando il suo saldo strutturale è predeterminato (“pareggio di bilancio”) ed è fissato un tetto per il suo saldo corrente? E ancora: come decidere se ripudiare un debito, quando gli Stati possono finanziarsi solo sui mercati di capitali? «Lungi dal fornire la benché minima risposta a queste domande – anzi, con l’approvazione implicita che danno a questo stato di cose costituzionale – le trovate da concorso per le migliori invenzioni europeiste sono votate a passare sistematicamente accanto al nocciolo del problema», col granitico appoggio della “sinistra di destra” inaugurata da Mitterrand e incarnata oggi da Hollande. «Ci si domanda così quale senso potrebbe avere l’idea di “governo economico” dell’Eurozona, questa bolla di sapone, che il Ps propone, quando non c’è proprio più niente da governare, dal momento che tutta la materia governabile è stata sottratta a qualsiasi processo decisionale per essere blindata in quei trattati».
Anche immaginando – in via del tutto ipotetica – un’Europa finalmente libera, civile e democratica, ovvero «unademocrazia federale in piena regola, con un potere legislativo europeo degno di questo nome, ovviamente bicamerale e dotato di tutte le sue prerogative, eletto a suffragio universale» e non certo “nominato” com’è oggi la Commissione Europea, la domanda che si porrebbe a tutti coloro che sognano di “cambiare l’Europa per superare la crisi” sarebbe la seguente: «Riescono a immaginare la Germania che si piega alla legge della maggioranza europea se per caso il Parlamento sovrano decidesse di riprendere in mano la Banca centrale, di rendere possibile un finanziamento monetario degli Stati o il superamento del tetto del deficit di bilancio?». Ridicolo il solo pensarlo. Sarebbe come aspettarsi l’applauso dei francesi se «la maggioranza europea imponesse alla Francia la privatizzazione integrale della sicurezza sociale». A proposito: «Chissà come avrebbero reagito gli altri paesi se la Francia avesse imposto all’Europa la propria forma di protezione sociale, come la Germania ha fatto con l’ordine monetario, e se, come quest’ultima, ne avesse fatto una condizione imprescindibile».
Bisognerà dunque che gli architetti di questo disastroso europeismo si accorgano che «non c’è democrazia vivente, né possibile, senza uno sfondo di sentimenti collettivi, unico capace di far acconsentire le minoranze alla legge della maggioranza». Se la democrazia è “la legge della maggioranza”, aggiunge Lordon, «questo è proprio il genere di cose che gli alti funzionari – o gli economisti – sprovvisti di qualsiasi cultura politica, e che però formano l’essenziale della rappresentanza politica nazionale ed europea, sono incapaci di vedere. Questa povertà intellettuale – continua l’economista – ci porta regolarmente ad avere questi mostri istituzionali che ignorano il principio di sovranità, e il “balzo in avanti democratico” si annuncia già incapace di comprendere come questo comune sentire democratico sia una condizione essenziale e di come sia difficile soddisfarla in un contesto plurinazionale».
Primo passo, dunque: il ritorno alle monete nazionali, per ripristinare sovranità democratica, potere di spesa e quindi strumenti finanziari anti-crisi. Soluzione «tecnicamente praticabile», secondo Lordon: «Basta che sia accompagnata da alcune semplici misure ad hoc (in particolare il controllo sui capitali) e saremo in grado di non abbandonare completamente l’idea di fare qualcosa in Europa». Non una “moneta unica”, poiché questa presuppone una costruzione politica autentica, per il momento fuori dalla nostra portata. Fattibile, invece, una “moneta comune”, ossia «un euro dotato di rappresentanti nazionali: degli euro-franchi, delle euro-pesetas, ecc». Immaginiamo questo nuovo contesto, in cui le denominazioni nazionali dell’euro non siano direttamente convertibili verso l’esterno (in dollari, yuan) né tra loro. «Tutte le convertibilità, esterne e interne, passano per una nuova Banca Centrale Europea, che funge in qualche modo da ufficio cambi, ma è privata di ogni potere dipolitica monetaria. Quest’ultimo è restituito alle banche centrali nazionali, e saranno i governi a decidere se riprendere il controllo su di esse o meno».
La convertibilità esterna, riservata all’euro, si effettuerebbe sui mercati di cambio internazionali, quindi a tassi fluttuanti, ma attraverso la Bce, cioè il solo organismo delegato per conto degli agenti (pubblici e privati) europei. «Di contro, la convertibilità interna, quella dei rappresentanti nazionali dell’euro tra loro, si effettua solo allo sportello della Bce, e a delle parità fisse, decise a livello politico: ci sbarazziamo così dei mercati di cambio intraeuropei, che erano il focolaio di crisi monetarie ricorrenti all’epoca del Sistema Monetario Europeo, e al tempo stesso siamo protetti dai mercati di cambio extraeuropei per l’intermediario del nuovo euro». Proprio questa doppia caratteristica, secondo Lordon, sarebbe «la forza della moneta comune», restituita ai governi in modo da consentire loro di far fronte al disastro della recessione provocata proprio dalla rigida deflazione imposta dall’attuale euro-rigore.
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