Missili? No, grazie. L’opinione pubblica boccia la guerra
Scritto il 29/8/13
La rottura ormai consumata tra governi e governati dell’Occidente non potrebbe essere più netta di così: dopo sette giorni di intensissima indignazione mondiale a comando – con ogni tipo di media – per “l’esecrabile infamia” attribuita a Bashar el Assad, le percentuali di cittadini contrari all’intervento militare punitivo in Siria non sono cambiate: negli Stati Uniti i contrari sono il 70% (Pew research) e in Francia il 59% (Ifop). I dati italiani e inglesi non sono stati divulgati. L’assalto dei presidenti-sceriffi al necessario consenso delle rispettive opinioni pubbliche è fallito. L’opzione militare diventa politicamente impraticabile, oltre che strategicamente pericolosa, tatticamente inutile, umanamente crudele e giuridicamente precipitosa e infondata. La credibilità degli apparati di comunicazione e costruzione del consenso dei governi occidentali è ormai vicina allo zero.
Ad onor del vero, Emma Bonino in questa occasione ha tenuto un comportamento esemplare: attendere il responso dell’Onu; agire solo su suo mandato e, in caso di richiesta di uso delle basi, interpellare il Parlamento. La nuova strategia consiste nel prender tempo senza far cessare la minaccia e senza perdere la faccia. La preparazione della marcia indietro è iniziata con l’ipotesi che l’ordine di usare il gas sarebbe partito da non da Bashar, ma dal fratello minore Maher, promosso sul campo a comandante di una divisione corazzata perché da comandante di brigata qual’è non sarebbe un colpevole di rango adeguato. Ha iniziato il ministro degli esteri britannico William Hague annunziando per oggi una seduta alla Camera dei Comuni, subito imitato da François Hollande che ha convocato il Parlamento. Ha seguito Ban Ki Moon asserendo (ieri) che gli inquirenti delle Nazioni Unite hanno bisogno di quattro giorni per concludere l’inchiesta e tutti – anche chi diceva che l’inchiesta era tardiva e inutile – hanno accettato il rinvio.
Tra tre giorni la rappresaglia non si potrà più fare perché Barack Obama partirà per la Svezia il 3 settembre dove conta di sostare in visita prima di andare il giorno 5 al G20 di Pietroburgo ospite di Putin, col quale però ha annunziato di non volere parlare in un incontro bilaterale che peraltro aveva sollecitato. Adesso il Dipartimento di Stato comunica confidenzialmente che – grazie al rinvio – potrà cercare di rafforzare la coalizione (Turchia e Giordania si sono sfilate) ormai ridotta ai minimi termini. Il Pentagono dice che userà il tempo a disposizione per rafforzare il dispositivo navale onde aumentare la credibilità della minaccia.
Superata la fase delle minacce e messe in guardia, si apre la fase negoziale tra Usa e Russia che sono gli autentici protagonisti del confronto. Se Obama sta rinunziando, come sembrerebbe, alla punizione a Assad – in realtà a infliggere nuove sofferenze ai siriani – vuole dire che intende uscire vittorioso dal G20 e quindi che ha predisposto per Putin un pacchetto di offerte che non si può rifiutare. Rinunzia definitiva allo scudo antimissile in Europa dell’est? Riconoscimento di una sfera di influenza alla Russia nel Levante? Forse il nuovo ordine mondiale passa per una Nuova Yalta e le sole cose che d’ora in poi vedremo in bianco e nero saranno le facce dei protagonisti.
(Antonio De Martini, “Guerra di Siria, avviso agli spettatori: l’attacco è rimandato per impraticabilità del campo”, dal “Corriere della collera” del 29 agosto 2013, ripreso da “Come Don Chisciotte”).
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