La svalutazione impossibile l’euro condannato a essere forte ma il prezzo è lo 0,3% del Pil
IL VALORE CORRETTO PER L’ITALIA DOVREBBE ESSERE DI 1,19 DOLLARI MA QUELLO PER LA GERMANIA OLTRE GLI 1,50: MALGRADO IL RIBASSO DEI TASSI LA VALUTA HA PERSO QUASI NULLA. LA BCE PUÒ TENTARE ALTRE CARTE MA DEVE VEDERSELA CON L’OPPOSIZIONE TEDESCA
Eugenio OccorsioQuando si dice la precisione. Giovedì scorso, dopo il ribasso dei tassi deciso dalla Bce allo 0,25%, l’euro è sceso a 1,33 sul dollaro: esattamente il livello indicato dalla Morgan Stanley come “fair value” per la moneta comune. Il problema è che già nella tarda serata di giovedì la valuta europea ha ricominciato a salire. V enerdì l’euro è salito ancora a 1,34, cioè a un passo da quell’1,35 dove si trovava prima dell’operazione varata da Draghi. «Un’operazione sorprendente: su 75 economisti interpellati alla vigilia solo 3 avevano previsto il ribasso », nota Paolo Guerrieri, economista della Sapienza. «E anche un’operazione coraggiosa contro la quale si sono schierati, rincarando la dose il giorno dopo, i tedeschi». Ma soprattutto un’operazione (quasi) inutile? «No, è una misura che noi chiedevamo da tempo», risponde Piercarlo Padoan, capo economista dell’Ocse. «Il fatto è che le altre banche centrali hanno a disposizione un ben più forte spiegamento di mezzi e risorse. Stati Uniti e Giappone procedono con una creazione di liquidità molto maggiore e le rispettive valute scendono più vistosamente e rapidamente. Sarebbe il momento per la Bce di mettere in campo una versione europea del quantitative easing ». Un’ipotesi, quest’ultima, sulla cui fattibilità gli economisti sono divisi: «Temo che per motivi “politici” sia una soluzione difficilmente adottabile nel breve periodo», spiega Brunello Rosa, direttore delle macrostrategie all’Rge, uno dei pochi think-tanka predire il taglio. «Sembra più probabile un ulteriore taglio dei tassi, compreso quello sui depositi presso la Banca centrale, che è a zero e potrebbe scendere in territorio negativo». Insomma per ora l’euro resta forte, e i problemi per gli esportatori rimangono tutti in piedi. Una situazione che anno dopo anno diventa sempre più pesante. Secondo la Merrill Lynch i livelli attuali sono già difficilmente sostenibili («siamo nella parte più alta del raggio di equilibrio», scrive in un reportdatato 6 novembre), ma se ci dovesse essere una minima impennata e ci si avvicinasse agli 1,40 «sarebbero vanificati tutti i dolorosi sforzi dei Paesi in crisi per raggiungere gli aggiustamenti di bilancio». Un’atroce beffa: il fattore valutario penalizzerebbe l’export in misura così violenta da rendere impossibile il ripristino della crescita e il riassorbimento della disoccupazione, lasciandoci solo con la soddisfazione morale di aver rimesso a posto i conti pubblici. «Le esportazioni già oggi non possono diventare un motore di sviluppo: tutta la periferia d’Europa non potrebbe sopportare un euro più forte», scrive la Merrill Lynch. In questa situazione, l’Italia è la vittima numero uno per le sue dimensioni e perché abbina un mercato interno debole a una forte dipendenza dalle vendite estere, frenate dal vincolo valutario. «A questo si risponde di solito con miglioramenti di competitività interni tipo allentamenti delle tasse o del costo del lavoro, entrambi i più alti d’Europa, invece niente», accusa Adolfo Guzzini, che con i suoi sistemi di illuminazione fattura 200 milioni di cui il 75% all’estero. Mario Moretti Polegato, patron della Geox, 800 milioni di fatturato di cui il 65% all’export, è ancora più duro: «Dobbiamo fare sistema come Paese, come fanno i nostri concorrenti. Noi come gruppo possiamo compensare qualche partita, qualche fornitura di materie prime, fra diverse valute. Ma c’è bisogno di un’azione di coordinamento fra imprese, banche e istituzioni anche internazionali perché vengano contenuti i danni di una valuta sopravvalutata: tutto questo spetta solo al Governo, che invece è assente». Che l’euro sia sopravvalutato per l’Italia è riconosciuto all’unanimità. «È come se ci fossero due Europe: alla Germania al contrario che a noi converrebbe una stretta monetaria per contenere l’inflazione», spiega Padoan. Secondo Merrill Lynch l’euro (a 1,35 sul dollaro) vale il 4% di troppo per l’Italia, e il 2% di “troppo poco” per la Germania. La Morgan Stanley mentre fissa il livello di 1,33 per l’aggregato di Eurolandia, dice che sarebbe corretto un valore di 1,19 per l’Italia e 1,53 per la Germania. E il Fondo Monetario è arrivato ad auspicare una svalutazione del 10% dell’euro per il nostro Paese nel famoso rapporto “articolo 4”. Il Centro studi Confindustria ha fatto un altro calcolo: «Dal 1997, anno di nascita dell’euro, il tasso di cambio in termini reali, cioè in termini di costo del lavoro per unità prodotta nonché di potere d’acquisto, è peggiorato del 40% in Italia rispetto alla Germania», spiega Luca Paolazzi, che del Centro studi è direttore. «In queste condizioni, scostamenti anche apparentemente marginali hanno effetti moltiplicati e nefasti. Il cambio ha avuto un apprezzamento nell’ultimo anno del 5%: bene, è come se i tassi d’interesse fossero aumentati dell’1%. Gli effetti sulla crescita dell’Italia, se si resta su questi livelli, saranno di uno 0,3 di Pil sottratto l’anno prossimo e 0,2 nel 2015». Visti i tassi di sviluppo previsti, può fare la differenza fra recessione e crescita. Ma come si è potuto arrivare a una doppia penalizzazione così mortificante, euro troppo forte e Germania lontana? «Il problema spiega Angelo Baglioni, economista della Cattolica - è che la forza concorrenziale di un Paese non è basata solo sulla valuta. È tutto un insieme di politiche di sviluppo internazionale efficaci, di coordinamento fra entità pubbliche e private, di promozioni adeguate, e all’interno di infrastrutture all’altezza, di ragionevole pressione fiscale, di condizioni sindacali accettabili. Su tutti questi punti la Germania ci batte». Anche chi punta sulla specificità e sull’innovazione del made in Italy di pregio deve chiudere il bilancio in euro e quindi subisce il fattore valutario. Nerio Alessandri con la sua Technogym fattura oltre 400 milioni di cui il 90% all’estero, e commenta: «Benché i prodotti italiani siano i più attraenti, stiamo regalando ai concorrenti asiatici e americani un importante asset competitivo. La forza dell’euro è figlia della politica europea ispirata al solo rigore ». L’esempio sono gli Usa e il Giappone, che hanno messo in campo una politica aggressiva: «Solo un’Europa che mette la crescita al centro dell’azione, riprende a investire e stimola i propri consumi interni, può ambire a un cambio eurodollaro equilibrato e sostenibile », dice Alessandri. E Andrea Guerra, amministratore delegato della Luxottica, 7 miliardi di fatturato anche in questo caso per il 90% all’estero e anche qui con un indubbio “vantaggio stile” italiano, incalza: «Quando vi parlano di fine del secolo americano o di decadenze varie, non gli credete. Gli Stati Uniti sono in grado di gestire alla grande i cambi con una micidiale sinergia fra Fed, banche, amministrazioni. E tutto il mondo deve adattarsi». Già, la sinergia con le banche. «La speranza per ridurre le tensioni all’interno dell’area euro, e verosimilmente anche le differenze di forza della valuta, oltre che per affrontare più uniti il problema del cambio, è l’unione bancaria», commenta Rainer Masera, economista di lungo corso. «Però anche qui rischiano di riprodursi le diatribe interne che tanto male fanno all’Europa. Per esempio, ancora non è stato chiarito, e sarebbe urgente farlo, il meccanismo di risoluzione. Se una banca fallisce, chi paga? E’ stato creato l’Esm, il meccanismo di soccorso, ma i tedeschi non vogliono che serva a salvare le banche. E per la ricapitalizzazione è in corso un altro braccio di ferro fra chi sostiene che debbano essere gli Stati a intervenire e chi invece avverte che così salta il rapporto deficit/Pil. Insomma siamo ben lontani da un’intesa». Intanto l’euro è fuori controllo. La Technogym (90% delle vendite all’estero) è un simbolo del made in Italy vincente, ma deve comunque fare i conti con un cambio del tutto sfavorevole rispetto alla concorrenza americana e asiatica
http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/11/11/news/la_svalutazione_impossibile_leuro_condannato_a_essere_forte_ma_il_prezzo_lo_0_3_del_pil-70707090/
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