Il domino di B. e Letta. Se crolla uno cade l’altro
di Furio Colombo | 18 agosto 2013
Come è possibile fingere di credere, senza ridere, che Berlusconi sia adorato da dieci milioni di italiani che non possono vivere senza di lui, ma odiato dai giudici, che dedicano tutta la loro attività professionale a perseguitarlo?
E come fanno ad essere così di sinistra i giudici, in un Paese in cui non c’è nessuna sinistra perché ciò che ne resta governa insieme ai più appassionati difensori di Berlusconi?
Che cosa spinge i giudici, e solo i giudici, a rovinarsi nell’isolamento e nella solitudine, mentre tutti godono la “pacificazione”? Infatti lo stesso giorno (15 agosto) trovate sul Corriere della Sera due articoli che si fronteggiano e si completano. Uno è l’intervista a Maurizio Gasparri che esulta: “Lo dice il Colle. Berlusconi, leader incontrastato, deve avere una piena agibilità politica. Questo vuol dire che deve essere candidabile”.
L’altra è l’intervista a Matteo Colaninno, responsabile Economia del Pd che aggiunge: “Il presidente della Repubblica ha scongiurato tentativi di destabilizzazione (…) Enrico Letta con il suo governo ha costruito un supporto fondamentale di credibilità e affidabilità che non può essere incrinato. E il Partito Democratico deve essere sempre più determinato a sostenere l’esecutivo”. Si vede bene, a questo punto, che due cerchi si saldano, e anzi uno entra nell’altro come nel simbolo delle Olimpiadi: chi sostiene Letta non può “contrastare” Berlusconi. Chi sostiene Berlusconi garantisce la stabilità del governo Letta. Tutto poggia, dunque, sull’“agibilità di Berlusconi”.
Come dice la condanna che gli è stata comminata, come dice il codice penale, quella agibilità è proprio ciò che dovrebbe essere escluso e precluso. Non si condanna qualcuno in via definitiva con pena pesante per reato grave, affinché resti “agibile”. È evidente il doppio problema.
Da una parte tutti insieme dobbiamo sostenere Letta, pena il tracollo e la rovina del nostro Paese, che solo un traditore può desiderare. Dall’altra, tutti insieme, dobbiamo salvare Berlusconi, perché la sua salvezza è legata, attraverso il governo Letta, alla salvezza del Paese.
Il doppio legame funziona da pietra al collo o da salvagente a seconda della “agibilità” che verrà garantita a Berlusconi. In questo strano modo prende vita una maggioranza che, all’inizio, è solo il congiungersi (provvisorio, si dice sul momento, poi non si dice più) dei due maggiori partiti, che un tempo si alternavano nei ruoli di maggioranza e opposizione. Ma, con il passare dei giorni e delle settimane, molte altre voci sono andate aggiungendosi, dagli ammonimenti espliciti del capo dello Stato ai commentatori più credibili e più autorevoli, per dire: tocca a tutti noi, amici della Patria, fare il nostro dovere.
Quale dovere? Si riassume in tre punti. Primo sostenere il governo Letta, anche se immobile, e anzi darsi da fare per dimostrare che non lo è. Secondo, proteggere Berlusconi dalle pretese della giustizia. Pur salvando le forme, non si può permettere che una sentenza si incunei fra un leader e la massa di voti a quel leader, che deve restare “incontrastato”. Terzo, rendersi conto che più si lavora insieme e più si rafforza l’argine di questo Paese contro la rovina.
Dunque smetterla subito con il lamento dei rischi che corre l’art.138 (che in teoria, cioè nel testo costituzionale, impedirebbe di manomettere la Costituzione senza le prescritte garanzie di modi e di tempi) e avviarsi in buon ordine verso la “necessaria” riforma della giustizia. Tutto ciò presume una solida maggioranza.
Che maggioranza è? Prima di tutto, molto grande, perché a chiunque si muova in direzione diversa, viene detto che sta affondando l’Italia. In secondo luogo molto disciplinata e con ben poco spazio di discussione altrimenti, ti ripetono, l’Italia precipita.
Sulla sinistra tutto comincia con l’eliminazione di Renzi. Non è in questione la sua eventuale diversità rispetto ai soliti leader del Pd. Ma bisogna evitare il rischio di toccare anche solo un pezzo del gioco.
In tal modo il gioco resta immobile come per un incantesimo.
Chi è fuori è fuori, e purtroppo non sembra avere l’energia o l’intenzione di scuotere la scacchiera, e quando parla, parla di se stesso, e di come sarebbe grande se avesse tutti i voti di tutti.
Ma non qui, non adesso.
Oppure si affaccia Vattimo che sostiene l’utilità politica dei blocchi stradali (Il Corriere della Sera, 15 agosto). Ovvio che è facile liquidarlo come No Tav. C’è Sel, ma non ha i media. Ci sono i media, ma sono già tutti occupati da vent’anni.
Viene in mente una frase assurda: il Paese non è maturo per la fine di Berlusconi. Vuol dire che il danno e le sue conseguenze sono molto più gravi e profonde persino di ciò che noi, antiberlusconiani viscerali dal 1994, e colpiti dalla deviazione mentale e politica del “giustizialismo” (vuol dire: se c’è una sentenza, si esegue) avevamo annunciato e poi denunciato. Così gravi da non poterle interrompere, pena la morte della vittima.
Il Fatto Quotidiano, 18 Agosto 2013
Nessun commento:
Posta un commento
5 STELLE