spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

venerdì 19 aprile 2013

La Germania ci sta rovinando


La Germania sta barando: ci impone lo spietato regime di austerity e il taglio della spesa pubblica, mentre – sottobanco – usa nientemeno che il proprio debito pubblico (quello che ci impedisce di utilizzare) per lucrare sulla nostra crisi, aggravandola e pilotandola attraverso il mercato finanziario dei titoli di Stato. Lo afferma Pietro Cambi attraverso “Crisis”, il blog di Debora Billi. La “virtuosa” Germania, sostiene Cambi, ricorre proprio alla vituperata finanza pubblica per ricattare l’Italia e gli altri “Piigs”, grazie ad un semplice artificio bancario: se lo adottasse anche l’Italia, potrebbe abbattere di colpo gli interessi sul debito e tagliare lo spread dell’80%. Basterebbe tornare alla sovranità monetaria, sottraendosi alla tagliola dell’euro? Berlino, sostiene Cambi, lo sta già facendo: alla faccia delle pretese privatizzazioni, che a noi vengono imposte, è tuttora largamente pubblico il capitale delle maggiori banche tedesche.
Berlino, racconta Cambi, ha sistematicamente aggirato l’articolo principale del regolamento europeo che vieta allebanche centrali di concedere Angela Merkelliquidità agevolata ai propri Stati, passando direttamente alla clausola – perfettamente legale – che invece concede questa facoltà decisiva agli “enti creditizi di proprietà pubblica”. In regime pre-euro, la funzione di “prestatore di ultima istanza” era prerogativa di Bankitalia: anche oggi, se fosse autorizzata, la banca centrale potrebbe infatti approvvigionarsi presso la Bce di liquidità ad un tasso privilegiato, come tutti gli istituti bancari europei, dello 0,75%: così, Bankitalia potrebbe «comprare i titoli di Stato italiani immessi sul mercato» e «spegnere immediatamente la febbre da spread». In concreto: gli interessi su Bot e Btp lo Stato li pagherebbe a se stesso, perché «sarebbe debitore di una banca di cui è il proprietario». Quindi quei soldi «tornerebbero allo Stato o, cosa equivalente, andrebbero a ricostituire le riserve della banca stessa, che così potrebbe meglio adempiere alle proprie funzioni e, alla fine, fare da sé», ovvero «comprare i titoli Btp senza più chiedere soldi alla Bce».
In pratica, aggiunge Cambi, si recupererebbe la famosa sovranità monetaria che permetteva alla Banca d’Italia di stampare lire, ove necessario, per acquistare i titoli di Stato rimasti invenduti e così tener bassi i tassi d’interesse. Mission impossibile: lo vieta il regolamento europeo che mette fuori gioco le banche centrali. Ma attenzione: non gli “enti creditizi di proprietà pubblica” che, «nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca Centrale Europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati», ovvero la sospirata “liquidità agevolata” della Bce. Chiaro, no? Persino imbarazzante, dice Cambi: dunque, in teoria, “si può fare”. Tant’è vero che la Germania lo sta già facendo. All’Italia basterebbe nazionalizzare una banca, magari in cattive acque come il Monte dei Paschi di Siena, usandola come Commerzbank, colosso finanziario tedesco a capitale pubblicoveicolo – attraverso l’acquisizione facilitata di euro – per sostenere i titoli di Stato e abbattere lo spread.
In Germania, spiega Cambi, oltre la metà del sistema bancario è in mani pubbliche. Eesempio: la Commerzbank, secondo istituto tedesco, ha lo Stato come azionista di maggioranza. E «siccome, tramite le proprie banche investe (e massicciamente) nei nostri Btp, lo Stato tedesco, come azionista di maggioranza, lucra sulle nostre sfighe e sul nostro spread: gli basta non comprare i nostri bond, ed ecco che lo spread si innalza». In poche parole, il governo di Berlino «esercita un controllo diretto impressionante sulla nostra politica interna», con manovre finanziarie da centinaia di miliardi. Lo Stato tedesco «è l’azionista di maggioranza di centinaia di istituti bancari di diritto privato ma a capitale quasi totalmente pubblico, che accedono alla Bce allo 0,75%». Quindi Berlino «compra massicciamente titoli tedeschi, tenendo giù i loro tassi di interesse».
Altro esempio, la Kfw (Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), istituto nato nel dopoguerra per gestire i fondi del Piano Marshall: è posseduta all’80% dalla Repubblica Federale Tedesca e al 20% dai Lander. In pratica, è al 100% pubblica, «come altre centinaia di banchetedesche» che, «con la scusa del project financing», finanziano un sacco di enti, iniziative e attività pubbliche e private, al posto dello Stato, «tenendo su a forza l’economia del paese». Formalmente, sono istituti di diritto privato, e quindi i loro finanziamenti – frutto del capitale pubblico e decisivi per l’economia tedesca – non vanno ad aumentare il debito pubblico della Germania. E come fa, Berlino, ad approvigionarsi di euro? «Comprando decine di miliardi di euro di Bund, con gli euro presi in prestito dalla Bce allo 0,75% e, ovviamente con gli interessi sui prestiti a privati». Per approvvigionarsi sul mercato allo scopo Kwf, altro pilastro della finanza pubblica tedescadi finanziare queste attività, il governo tedesco «ha emesso nel tempo una quantità enorme di obbligazioni: insomma, ha fatto debiti per 430 miliardi di euro».
Al contrario della nostra analoga Cassa Depositi e Prestiti, le cui passività (obbligazioni postali) contribuiscono al cumulo del debito pubblico italiano per quasi il 20% del nostro Pil, le passività germaniche della Kfw, pari quasi 500 miliardi di euro, rappresentano il 17% del Pil tedesco. Ma – e qui sta il “trucco” – non sono state contabilizzate nel bilancio statale, e quindi non vanno ad aumentare, come invece dovrebbero, il “virtuoso” debito pubblico tedesco. Il tutto, aggiunge Cambi, è regolarmente permesso dalla Comunità Europea attraverso l’Esa-95, il manuale contabile che detta le regole per il calcolo dei debiti pubblici. Bruxelles «esclude dal computo le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi». Ovvero: fino a che un eventuale deficit o comunque i costi di funzionamento sono coperti almeno per il 50,1% dai ricavi, il deficit e le altre passività dell’istituto non vengono computati nel bilancio dello Stato. Come ha scritto il “Corriere della Sera”, la serietà di un tale principio è paragonabile alla considerazione del rischio da parte dei contabili che hanno favorito il crac della Lehman Brothers.
«Con un trucco meramente contabile, che in casi analoghi oltreoceano ha portato a condanne per bancarotta fraudolenta, la Germania ha cancellato o, se preferite, “occultato” oltre il 17% del suo debito pubblico», dichiara Cambi. «Eliminato questo trucco contabile, il debito pubblico tedesco farebbe un balzo del 20% in in colpo solo, dall’80% al 97%». Ed è solo la punta dell’iceberg di un tipo di “contabilità creativa” «probabilmente più spudorata di quella che è stata imputata alla famigeratissima e disgraziatissima Grecia, che peraltro aveva truccato i conti di un ben più modesto 10%». In effetti, aggiunge Cambi, i debiti degli istituti tedeschi nei confronti della Bce ammontano a qualcosa come 750 miliardi di euro – e di questi, almeno la metà sono da riferire a banche di proprietà pubblica. E il François Hollandebello è che la Germania non è il solo paese a fare questo genere di trucchetti: «Anche in Francia, Hollande (tanto per cambiare) ha appena istituito un ente simile, la Bpi, con compiti simili e una quarantina di miliardi di dote».
E allora perché Monti e colleghi non hanno pensato, a loro volta, a una soluzione del genere? Ovvero: perché mai, «pur essendo ben a conoscenza di questi immensi trucchi contabili», i “salvatori” dell’Italia «non hanno denunciato la Germania e le sue velleità paneuropee di fronte al mondo?». E’ proprio lì che Monti non voleva arrivare: «Non volendo nazionalizzare una banca per meri motivi di contabilità nazionale, perché così facendo si renderebbero troppo evidenti i giochini altrui, si preferisce trovarsi una buona scusa, come ad esempio l’evidente rischio di insolvenza dell’istituto medesimo, per essere “costretti” a nazionalizzarlo», come appunto il Montepaschi. Tutto questo, aggiunge Cambi, poteva semplicemente non-succedere, se solo non avessimo privatizzato, in nome del liberismo, la maggior parte dei nostri istituti bancari e di conseguenza la Banca d’Italia. Quanto alla mancata denuncia dei trucchi tedeschi, basta ascoltare Monti: solo «una crisi tremenda» avrebbe consentito di tagliare in Pietro Cambimodo selvaggio la spesa pubblica e procedere alla «privatizzazione e liberalizzazione forzosa dell’intera società».
Capito a cosa serviva, l’esplosione dello spread? «Una volta deciso che la crisi e le sue devastanti conseguenze erano il prezzo da pagare per plasmare il paese, Grecia o Italia non importa, secondo la dottrina della shock economy, il resto è una logica conseguenza: se non è un movente, ci si avvicina molto». E in Europa lo sanno? «Certo», conclude Cambi: è proprio da lì – dal sistema di potere che si estende da Bruxelles fino a Berlino – che è partita la grande “tosatura” dell’Italia e degli altri “Piigs”. Operazione truccata, insiste Cambi, e atrocemente sleale: proprio chi vieta all’Italia di ricorrere al debito, in realtà fa uso massiccio del propriodebito pubblico per sostenere la propria economia, contro la nostra. Quand’è che la politica italiana se ne comincerà ad occupare?

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