Se il pm ostenta in ufficio il suo odio per il Cavaliere
A Roma il giudice De Santis tiene sulla parete due vignette contro Berlusconi. La dimostrazione che il terzo potere sconfina nella battaglia politica
Si capisce subito che aria tira, nell'ufficio del pm romano Edoardo De Santis. Basta aprire una porta e entrare nell'anticamera. Lì c'è il suo credo. Chi sono, come la penso, e soprattutto chi mi sta sulle balle.
E non è certo, il suo, un manifesto dell'imparzialità. Chi ha detto mai che un giudice debba essere al di sopra delle parti? L'identikit è questo: due vignette anti Cav e una frase che è una dichiarazione di fede o di indipendenza sui generis. «Credo solo a me, e già mi fido poco».
Non sia mai che in una procura si creda nella legge. Sì, va bene, il principio dell'imparzialità della magistratura è già un concetto fragile di suo, in un Paese dove da anni i poteri dello Stato si affrontano più che rispettarsi, e dove le toghe sconfinano spesso e volentieri nella politica. Ma è comunque difficile non stupirsi almeno un po' quando tra le mura di una procura della Repubblica ci si imbatte in un'immagine che sbeffeggia apertamente un politico, che manco a dirlo è Silvio Berlusconi. Le due vignette sono in realtà i tipici fotomontaggi da «social satira», quelli che di solito girano sui profili Facebook di chi è in vena di cazzeggio. Uno è la parodia di un celebre quadro giovanile di Picasso, «Scienza e carità». Berlusconi è a letto, morente, sotto una foto di Bettino Craxi. Accanto a lui c'è Niccolò Ghedini che gli tasta il polso, mentre dall'altra parte del letto la Boccassini gli porge una tazza tenendo in braccio Brunetta. Il secondo è una foto del Cav che stringe la mano ad Angelino Alfano sulla quale campeggia una scritta bianca: «Reo con fesso».
In sé, le due immagini non sono niente di trascendentale. La satira - che faccia ridere o meno - è sacra. Ma è sacra solo se resta fuori dai luoghi in cui si amministra la giustizia: che il «reo» Berlusconi (per non dire del «fesso» vicepremier Alfano) venga preso in giro negli stessi ambienti dove il leader politico viene indagato non è solo inappropriato, è assurdo. Tanto più che, come detto, le vignette non sono incollate a un distributore del caffè in corridoio né esposte sulla bacheca del bar della procura, ma appese al muro dentro l'ufficio di un magistrato inquirente. Un luogo che non dovrebbe essere deputato al cazzeggio né alla satira politica.
Come si può vedere nella foto qui sotto, le due fotocopie fanno bella mostra di sé sulla parete, sopra un mobiletto affollato di faldoni di atti giudiziari, attaccate con una puntina da disegno, visibili a chiunque passeggi per il corridoio della procura, appena dietro la porta dell'ufficio. Certo, non sappiamo se a metterle lì sia stato proprio il pm, ma di certo a De Santis non devono dispiacere, se la toga, entrando e uscendo dalla sua stanza, non ha trovato nulla da ridire sulle scelte di arredamento della piccola anticamera.
Quelle due fotocopie non rendono un buon servizio alla magistratura. L'idea che un testimone convocato dal pm De Santis venga accolto da quelle due foto «scherzose» è grottesca. La giustizia non è, non dovrebbe essere, una barzelletta. Ma le vignette da sfottò finiscono per diventare, appunto, due icone della parzialità delle toghe, molto eloquenti e in fondo molto poco scherzose per chi magari non le trova divertenti e si trova, suo malgrado, a osservarle mentre fa anticamera - appunto - in attesa di un faccia a faccia con l'inquilino togato della stanza.
Di certo, anche se De Santis non indaga sul Cav, è pm nel processo per il ricatto-trans a Piero Marrazzo. In aula, proprio l'ex governatore ha ricordato che a informarlo dell'esistenza del filmato fu Berlusconi, avvertito dal direttore di Chi, Signorini. Un dettaglio già spacciato in passato da alcuni giornali per ipotetica ricettazione. Ma tanto il pm non ha pregiudizi.
A Roma il giudice De Santis tiene sulla parete due vignette contro Berlusconi. La dimostrazione che il terzo potere sconfina nella battaglia politica
Si capisce subito che aria tira, nell'ufficio del pm romano Edoardo De Santis. Basta aprire una porta e entrare nell'anticamera. Lì c'è il suo credo. Chi sono, come la penso, e soprattutto chi mi sta sulle balle.
E non è certo, il suo, un manifesto dell'imparzialità. Chi ha detto mai che un giudice debba essere al di sopra delle parti? L'identikit è questo: due vignette anti Cav e una frase che è una dichiarazione di fede o di indipendenza sui generis. «Credo solo a me, e già mi fido poco».
Non sia mai che in una procura si creda nella legge. Sì, va bene, il principio dell'imparzialità della magistratura è già un concetto fragile di suo, in un Paese dove da anni i poteri dello Stato si affrontano più che rispettarsi, e dove le toghe sconfinano spesso e volentieri nella politica. Ma è comunque difficile non stupirsi almeno un po' quando tra le mura di una procura della Repubblica ci si imbatte in un'immagine che sbeffeggia apertamente un politico, che manco a dirlo è Silvio Berlusconi. Le due vignette sono in realtà i tipici fotomontaggi da «social satira», quelli che di solito girano sui profili Facebook di chi è in vena di cazzeggio. Uno è la parodia di un celebre quadro giovanile di Picasso, «Scienza e carità». Berlusconi è a letto, morente, sotto una foto di Bettino Craxi. Accanto a lui c'è Niccolò Ghedini che gli tasta il polso, mentre dall'altra parte del letto la Boccassini gli porge una tazza tenendo in braccio Brunetta. Il secondo è una foto del Cav che stringe la mano ad Angelino Alfano sulla quale campeggia una scritta bianca: «Reo con fesso».
In sé, le due immagini non sono niente di trascendentale. La satira - che faccia ridere o meno - è sacra. Ma è sacra solo se resta fuori dai luoghi in cui si amministra la giustizia: che il «reo» Berlusconi (per non dire del «fesso» vicepremier Alfano) venga preso in giro negli stessi ambienti dove il leader politico viene indagato non è solo inappropriato, è assurdo. Tanto più che, come detto, le vignette non sono incollate a un distributore del caffè in corridoio né esposte sulla bacheca del bar della procura, ma appese al muro dentro l'ufficio di un magistrato inquirente. Un luogo che non dovrebbe essere deputato al cazzeggio né alla satira politica.
Come si può vedere nella foto qui sotto, le due fotocopie fanno bella mostra di sé sulla parete, sopra un mobiletto affollato di faldoni di atti giudiziari, attaccate con una puntina da disegno, visibili a chiunque passeggi per il corridoio della procura, appena dietro la porta dell'ufficio. Certo, non sappiamo se a metterle lì sia stato proprio il pm, ma di certo a De Santis non devono dispiacere, se la toga, entrando e uscendo dalla sua stanza, non ha trovato nulla da ridire sulle scelte di arredamento della piccola anticamera.
Quelle due fotocopie non rendono un buon servizio alla magistratura. L'idea che un testimone convocato dal pm De Santis venga accolto da quelle due foto «scherzose» è grottesca. La giustizia non è, non dovrebbe essere, una barzelletta. Ma le vignette da sfottò finiscono per diventare, appunto, due icone della parzialità delle toghe, molto eloquenti e in fondo molto poco scherzose per chi magari non le trova divertenti e si trova, suo malgrado, a osservarle mentre fa anticamera - appunto - in attesa di un faccia a faccia con l'inquilino togato della stanza.
Di certo, anche se De Santis non indaga sul Cav, è pm nel processo per il ricatto-trans a Piero Marrazzo. In aula, proprio l'ex governatore ha ricordato che a informarlo dell'esistenza del filmato fu Berlusconi, avvertito dal direttore di Chi, Signorini. Un dettaglio già spacciato in passato da alcuni giornali per ipotetica ricettazione. Ma tanto il pm non ha pregiudizi.
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