Pini: Letta è come Monti, stabilizza solo la depressione
Scritto il 22/10/13
La legge-delega approvata dal governo Letta e inviata alla Commissione Europea conferma la rotta lungo la quale si muove il premier: totale rispetto dei vincoli europei, alla faccia della sbandierata volontà di far crescere il reddito dell’1% nel 2014 e del 2% nei due anni successivi. Nessuna misura, in realtà, per far uscire il paese dalla depressione. La riduzione del cuneo fiscale per abbattere il costo del lavoro e sostenere imprese e occupazione? Diluita, in modo assolutamente inefficace. Lo sostiene il professor Paolo Pini, economista dell’università di Ferrara. Errore già commesso nel 2007 dal governo Prodi: una manovra triennale, con 2,5 miliardi drenati il primo anno con tagli lineari ai danni degli enti locali, costretti ad aumentare la pressione fiscale. Idem Letta: per il 2014 il saldo netto delle azioni previste è pari a 3 miliardi di euro, che consentiranno di soddisfare l’Europa per il vincolo deficit/Pil sotto il 3%. E gran parte delle risorse deriveranno da tagli alla spesa pubblica, 16,1 miliardi nel triennio, 3,5 nel 2014.
Solo 3,8, aggiunge Pini su “Micromega”, sono i miliardi previsti da interventi impositivi sulle attività finanziarie (aumento dell’imposta di bollo), senza contare il rincaro delle imposte locali e l’introduzione della “Service Tax”, o Trise, «con spostamento di imposizione dai proprietari anche agli inquilini, lasciando alle amministrazioni decentrate maggiori flessibilità nella fissazione delle imposte al fine di recuperare maggior gettito per far fronte a tagli previsti ed erogare servizi essenziali». Il modello di riduzione del cuneo fiscale «non sembra quindi diverso da quello passato», anche se più soft. Una stima dalla Cgia di Mestre parla chiaro: nello scenario più favorevole, il vantaggio fiscale sarà di appena 172 euro, pari a 14 euro mensili, per un lavoratore dipendente che percepisce 971 euro netti mensili. Per altri livelli di reddito, inferiori o superiori, si scende a vantaggi fiscali irrisori, sino a divenire nulli per le fasce estreme di reddito. Risultato: nessun effetto sulla crescita della domanda interna, nuove stangate in arrivo con le imposte locali e nuova recessione, provocata dai tagli alla spesa pubblica.
«Benché siano previsti interventi a sostegno degli investimenti in capitale (tra cui completamento o manutenzione della rete ferroviaria e autostradale) o il rinnovo dell’ecobonus fiscale», cioè l’alleggerimento dei vincoli di spesa per gli enti locali “virtuosi”, il complesso della spesa «si riduce con effetti evidentemente deflazionistici sulla componente pubblica della domanda interna». Per i dipendenti pubblici, contratti ancora bloccati per un anno, e indennità cancellate. Infine, devono essere ancora trovati i 2,4 miliardi necessari a compensare la seconda rata 2013 dell’Imu. «L’obbiettivo vero della legge di stabilità non è la crescita, ma il rispetto dei vincoli previsti nel Patto di Stabilità e Crescita», afferma Pini, citando lo stesso documento di sintesi del governo, secondo cui si limiterà l’indebitamento: il disavanzo nel 2014 risulterà pari al 2,5% del Pil. «Anche a seguito di questi vincoli di austerità», osserva Pini, dal 2008 con la depressione il nostro paese ha perso 7 punti percentuali di reddito, e altri 2 ne perderà quest’anno, per un totale di 9. «Il governo Letta, in continuità piena con il governo Monti, rimane “fedele alla linea”: contenimento della spesa pubblica, regressività nella imposizione fiscale, azioni per la crescita scarse e poco efficaci». Come volevasi dimostrare: «La legge di stabilità stabilizza l’austerità e con essa la depressione».
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