spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

sabato 9 novembre 2013

IL MODELLO ECONOMICO TEDESCO NON PUO' ESSERE COMPATIBILE IN ITALIA

AL BIVIO TRA CRESCITA E AUSTERITÀ
Al sistema Italia fa più male la Germania della Cina
Roma può seguire le ricette di Berlino solo se ottiene in cambio eurobond e salari tedeschi più alti
Giuseppe Russo


► I compiti di casa che gli italiani dovrebbero fare: il punto di vista di Berlino
Periodicamente, ora Bruxelles, ora Berlino, ricordano all’Italia che deve fare i compiti di casa. In altri termini, l’Europa e il suo socio di riferimento pensano che l’Italia possa salvarsi con l’austerità fiscale. C’è di che essere scettici. Sul suo commento ai mercati finanziari di ieri, un amico e collega, Giorgio Arfaras, ricordava quale fosse il punto di vista di Berlino. Chi volesse approfondire, può leggere qui. In sostanza, secondo Berlino, l’austerità fiscale produce il dividendo non solo del risanamento, ma anche della crescita perché:
  • a) Il moltiplicatore della spesa pubblica in deficit è circa 1, quindi il deficit pubblico, magari in eccesso al limite del 3% sarebbe inutile, in quanto 100 di deficit diventerebbero 100 di reddito e 100 di debito, e il rapporto debito pil non scenderebbe. E’ inutile per conseguenza permetterci un deficit maggiore del 3%.
  • b) Il debito procura interessi e autoalimenta la sua crescita. Siccome il debito corrisponde a tasse future, la sua formazione deprime da subito la domanda interna perché le famiglie scontano le tasse future dal reddito disponibile e deprimono la domanda per consumi.
  • c) Le riforme (liberalizzazioni) dei mercati dei beni, servizi e del lavoro stimolano la crescita e sono la vera strada per l’occupazione.
Giorgio Arfaras concludeva dichiarandosi dubbioso sul primo punto, del tutto scettico sul secondo punto (è “cervellotico” pensare che le persone siano così razionali da mettere da parte le tasse da lasciare in eredità ai figli che rimborseranno il debito pubblico). In sostanza, solo sul terzo punto si può essere d’accordo. I compiti di casa non ci convincono. Non del tutto. La nostra tesi è che il principale squilibrio macroeconomico europeo non è il deficit italiano, che è già aggiustato se corretto per il ciclo, ma è l’anomalo avanzo commerciale tedesco, che non è aggiustato e la Germania non fa nulla per aggiustare.
► Se la Germania è la nostra Cina
Oltre a condividere il pensiero di Arfaras, aggiungo un tema. Tutto bene se nell’Eurozona dei quindici non ci fossero interdipendenze macroeconomiche e finanziarie. Ossia, tutto bene se la recessione italiana fosse un fatto italiano e dunque da risolvere attraverso un dottore che in una camera operatoria sterile conduca le operazioni di risanamento in Italia, senza impatto su altri e senza soprattutto l’impatto di altri.
Vale l’opposto. La crescita macro in un’area valutaria, ottimale o no, non prescinde da come si distribuiscono attività e domanda nell’area in questione. Ora, su base annuale, la Germania ha un trade surplus del 6% del Pil, ossia 209 miliardi di euro di eccesso di produzione sui consumi. In altri termini, è la nostra Cina. Ed è peggio della Cina per due motivi. Perché la Cina ha una moneta sua, che si sta apprezzando, mentre la Germania non più. In secondo luogo, la Cina produce beni che noi non produciamo più, mentre la Germania produce esattamente quello che produciamo noi.
Mancando il cambio, il trade surplus tedesco è per circa due terzi una lama piantata nel ventre dei francesi e degli italiani, che sono gli altri importanti paesi manifatturieri d’Europa. La figura 1 illustra i saldi correnti (bilancia commerciale più dei servizi) con l’estero di questi tre paesi in percentuale del Pil. Si noti che la Germania ha un eccesso che supera il 7 per cento. La Francia sta sott’acqua (-2%). Noi siamo riemersi da poco (+1%) non perché produciamo troppo (come tedeschi), ma perché la contrazione dei consumi fa scendere le importazioni più velocemente delle esportazioni, che, come noto, non dipendono dal nostro reddito interno. Ossia, i due surplus, quello tedesco del 7% e quello italiano dell’1% sono sintomi di due malattie opposte.
Andamento rendimenti
Figura 1 – Il saldo di bilancia corrente con l’estero in % del Pil. Italia, Germani, Franca. Update 2013
► In aggiunta i tassi di interesse sono diversi
Non è finita qui. Siccome abbiamo costruito un’area valutaria con mercati dei tassi di interesse poco integrati, ogni paese ha il suo tasso, e i tedeschi traggono da questa asimmetria un beneficio che si riverbera sia sul bilancio pubblico, sia sul bilancio dei privati, che si finanziano beni durevoli, case e investimenti. Inoltre hanno più leva sostenibile. Tanto che le banche tedesche hanno già integralmente restituito i due LTRO. I francesi no. Le banche italiane sono in alto mare.

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► L’Italia non si aggiusta con il punto di vista di Berlino
Aggiungendo le mie considerazioni ai dubbi di Giorgio Arfaras, credo che l’Italia (macroeconomica) non si aggiusterà mai con “il punto di vista di Berlino”. È il modello di costruzione dell’euro che ce lo impedisce.
Questo non vuol dire che non ci potrebbero essere delle soluzioni. Se fossi il premier italiano (o quello francese: è lo stesso, perché i francesi ci stanno rapidamente seguendo sia sul sentiero del debito che su quello della bassa crescita e della disoccupazione), farei “i compiti di Berlino” solo a patto che Berlino faccia i suoi, ossia come qualsiasi fratello maggiore si prendesse le responsabilità che si dovrebbe prendere il paese che ha maggior peso in famiglia (ossia nell’eurozona):
  • a) permettendo gli eurobond, mettendo fine a un’area valutaria con mercati finanziari segregati, per allineare i costi del credito tra i diversi paesi; ve l’immaginate gli Stati Uniti con tassi di interesse diversi tra il Nord Dakota e il South Carolina?
  • b) aumentando la domanda interna e i salari dei tedeschi del 5-6% all’anno;
► Cosa succede se l’Europa non fa i suoi compiti?
Senza queste misure, che riguardano i compiti dell’Europa, l’economia italiana e quella francese hanno già un piede nella fossa, perché il solo modo per “aggiustarci” è la deflazione, ma con la deflazione il reddito di equilibrio scende (si chiama recessione) e se scende il reddito i saldi di finanza pubblica vanno fuori controllo. I nostri compiti di casa finiranno per essere inutili, perché ci ritroveremmo alla fine con un maggior debito di prima e un minor reddito per sostenerlo.
Purtroppo non vedo che i compiti dell’Europa siano nell’agenda né della guida di Bruxelles, né di quella di Berlino.
► Il riflesso sugli investimenti c’è, e si vede
Chi pensasse che questi argomenti sono pensieri teorici “da economista”, è però bene che si ricreda. L’impatto dell’impasse europea sulla nostra crescita vincolata è immediato e pratico. Non dimentichiamo che il debito pubblico italiano è interamente classato, ossia venduto al pubblico e quotato sui mercati finanziari. Guardate la figura 2. Nella figura 2 sono rappresentati per una volta non i rendimenti, ma la volatilità delle borse americana, europea e italiana e dei titoli di stato a breve a lungo termine italiani.
Andamento
Figura 2 – La volatilità dei Btp (linea verde) a confronto di alcune altre asset class. Nostre elaborazioni
Come si vede, durante la crisi dei debiti sovrani del 2011, la volatilità di tutte le asset class crebbe. Giusto, perché si trattava di una crisi sistemica. Poi quella delle azioni europee e americana è scesa, ossia si è normalizzata, mentre quella delle azioni italiana è scesa di meno. C’è più rischio a comprare le azioni italiane, e va bene. Ma quello che è veramente singolare è che se anche i Btp hanno ripreso a quotare intorno alla pari e oltre, ossia i loro rendimenti sono scesi insieme allo spread, la loro volatilità è rimasta esattamente quella della crisi del 2011.
Come dire che i mercati non si fidano più del nostro debito pubblico. Non più che nel 2011. Segno che non siamo i soli, io e Giorgio, a dubitare del punto di vista di Berlino e a credere che i compiti di casa che stiamo facendo, nelle condizioni attuali, sono poco o per nulla risolutivi. Al più, stiamo comprando un po’ di tempo, pagandolo caro.

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