spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

lunedì 4 novembre 2013

NAPOLITANO, RENZI E IL GOVERNO DELLE LARGHE INTESE

“Nei 101 contro Prodi c’erano anche i renziani”

FABIO MARTINI
In un libro dei due collaboratori di Bersani i retroscena su Colle
e formazione del governo. “Napolitano spiegò che la sua rielezione era una non soluzione”.





La lettera riservata di Giorgio Napolitano ai capi della maggioranza fu recapitata con urgenza dai motociclisti del Quirinale. Era il 15 aprile del 2013, mancavano tre giorni all’inizio delle votazioni per il nuovo Capo dello Stato e in quelle ore non c’era un’idea che fosse una, su come dare un governo al Paese e neanche su chi eleggere al posto di Napolitano 

Il Presidente uscente volle scrivere a Pier Luigi Bersani, Mario Monti e Angelino Alfano una missiva eloquente (cinque fogli in forma di appunto, siglati GN), inesorabile nell’indicare le ragioni che impedivano una sua rielezione, «una soluzione di comodo, una non soluzione», anche perché in passato i partiti nei suoi confronti erano stati prodighi di attestazioni di stima «talvolta contraddette nella pratica». E d’altra parte, insisteva Napolitano, non era possibile che un Paese come l’Italia non riuscisse ad esprimere una personalità per la presidenza della Repubblica. E in una lettera inviata al solo Bersani, il Capo dello Stato uscente autorizzava il segretario del Pd ad utilizzare come «circolare» per tutti i parlamentari democratici, una indisponibilità che lo stesso Napolitano aveva pubblicamente espresso a Renato Schifani.  

Le lettere riservate di Giorgio Napolitano, che oltre ogni dubbio testimoniano la sua ostilità ad un bis, rappresentano uno dei documenti più interessanti contenuti nel libro “Giorni bugiardi”, scritto (per Editori Internazionali Riuniti) da Stefano Di Traglia e Chiara Geloni, i due principali collaboratori di Pier Luigi Bersani nel campo della comunicazione. Instant book che, dalla visuale dei due autori, punta a ricostruire le vicende del Pd, dalle Primarie del dicembre 2012 alla ripetute sconfitte successive. Vicende incandescenti sulle quali Di Traglia e Geloni - da attori-spettatori - in qualche modo sono svincolati (e si vede) da obblighi di obiettività («il Pd non ha perso le elezioni»), ma sulle quali portano a conoscenza episodi significativi e inediti, frammenti destinati a comporre un compendio dei fatti realmente accaduti, premessa per una successiva interpretazione degli eventi che non sia scritta dai soli “vincitori”. Si parte dalle Primarie, volute da Bersani e subito osteggiate dalla sua nomenclatura, impaurita che il leader diventi troppo forte. I notabili terrorizzati si riuniscono con lui a casa della Bindi, ci sono anche D’Alema, Letta, Finocchiaro e Franceschini, che racconta: «Gli ripetevamo che era un rischio inutile...».  

Si legge nel libro che D’Alema arriva ad affidare «ad un emissario una previsione terribile: Arriverai terzo». Aneddoto, che assieme ad altri, conferma la rovinosa rottura tra gli ultimi due “comunisti” del Pd, Bersani e D’Alema. A dispetto di “Baffino”, Bersani invece vincerà le Primarie contro Renzi, ma poi perde clamorosamente le elezioni. Si intestardisce nel tentare di fare lui un governo, nella speranza che il Cinque Stelle possa dare un appoggio esterno. Per sfatare la diceria di un Bersani solipsista, disinteressato ad un rapporto personale con Grillo, Di Traglia e Geloni raccontano: «In Liguria si cercano contatti a tutto campo, anche il futuro senatore a vita Renzo Piano è della partita» e la ricerca di intermediari fu così accurata che si arrivò «a parlare col dentista» del comico. Non è l’unico dettaglio vivido e un po’ impietoso che gli autori propongono nel raccontare l’epopea bersaniana. I due raccontano di avere ritrovato in uno scatolone una cartellina piena di bozze di decreti legge che nei mesi precedenti, senza dirlo a nessuno, Bersani si era fatto preparare in vista del suo ingresso a palazzo Chigi, testi «dettagliatatissimi» su divorzio breve, fecondazione assistita, unione civili, Welfare, pronti ad essere approvati alla prima botta: «Avevo in mente un governo destabilizzante, di rottura», da far partire con «un primo Consiglio dei ministri» convocato con la scusa di «conoscerci un po’ tra noi, ma poi avrei chiuso la porta» e l’indomani mattina «gli italiani si sarebbero ritrovati con tutta quella roba».  

Un racconto ex post che potrebbe scivolare sul patetico, ma è Bersani stesso che evita la deriva, coniando una definizione spiritosa e al tempo stesso profonda: «Governare è tenere un ritmo sincopato, avete presente Keith Richards? Lui batte sempre un nanosecondo prima. Bisogna prendere la gente un attimo prima di quando se lo aspetta». Gustosa la descrizione dell’incontro tra Bersani e Berlusconi che, come al solito, per simpatizzare, parla d’altro, «racconta aneddoti sulla sua condizione di fidanzato con suocera» e «rivela di essere sul punto di sostituire Allegri con Seedorf». Sul tormentone dei 101 grandi elettori del Pd che nel segreto non votarono per Prodi, poche novità di fatto, ma un giudizio bruciante: «E’ convinzione di chi conosce la composizione dei gruppi parlamentari che in nessun modo sia possibile raggiungere quota 101, senza includere i 41 renziani». Un’ affermazione apodittica senza supporto fattuale, mentre è drammatico il racconto della resa di Bersani. Nel giorno dei 101, sconfitto dai suoi errori e da Napolitano, improvvisamente dice: «Io stasera mi dimetto e domattina vado da Napolitano a chiedergli di restare».  


 

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