di GIANLUCA MARCHI
Qui sotto c’è l’analisi che ho scritto ieri dove dicevo di non capire granché delle mosse ultime della Lega e di Maroni, se non che mi sembrano ispirate da una tendenza destinata a portare il Carroccio a confluire sostanzialmente nella pancia del Pdl. Evidenziavo anche che annunciare di stare all’opposizione del governoLetta dopo aver convintamente votato per la rielezione di Napolitano mi sembrava solo del tatticismo per calmare gli animi di militanti ed elettori schifati per l’appoggio a Re Giorgio. Adesso apprendiamo che quell’opposizione non è più tanto certa: per domani il segretario federale annuncia una riunione della segreteria politica per decidere la posizione da assumere verso Letta, ma dalle colonne del Corriere della Sera già si dichiara pronto a votare la fiducia, legando questo atteggiamento a una presunta attenzione ai problemi del Nord. Fino a 48 ore fa il sì alla fiducia era legato ai due pilastri del programma lumbard, la Macroregione del Nord e il 75% delle tasse sul territorio, punti impossibili da inserire nel programma di un governo romano.Ma nell’intervista al Corriere Maroni sostiene: “Nel nostro incontro di giovedì io ho portato tre spunti. Primo, la macroregione, che peraltro è contenuta nel documento messo a punto dai “saggi” riuniti da Giorgio Napolitano. La riorganizzazione del sistema fiscale nel suo rapporto tra centro e periferia, quello che noi abbiamo sintetizzato nello slogan sul 75 per cento delle tasse che rimangono sul territorio. E infine la riforma federale dello Stato. Che può avvenire attraverso la convenzione, uno strumento rilanciato da Enrico Letta che io penso possa essere la strada giusta per arrivare al risultato”. E per la presidenza della convenzione corre anche il nome di Giancarlo Giorgetti, tanto per essere chiari.
Dunque la conversione viene legata a una molto generica attenzione al Nord e alle questioni federaliste ritirate fuori dal cassetto. Ma il Carroccio può sostenere che non vuole poltrone a uso e consumo di qualche militonto (salvo Copasir o Vigilanza Rai, molto care al Cavaliere). L’impressione è che la Lega sia stata richiamata all’ordine dal comandante Berlusconi di ritorno dal Texas, il quale deve aver fatti ai vertici leghisti più o meno un diuscorso del genere: “Non possiamo essere alleati nelle tre maggiori Regioni del Nord e su fronti opposti al governo, quindi trovate il modo che volete, ma non votate contro”. Detto fatto, ecco la conversione a più miti consigli: domani la segreteria politica dirà di sì, magari appellandosi al programma stilato dai dieci saggi, fra cui il solito Giorgetti.
Evviva, possiamo dire che ormai è nato il partito unico del centrodestra! La Lega si accoda e voterà la fiducia, come due giorni fa aveva annunciato Flavio Tosi in una intervista al Messaggero. Ma chi è il vero segretario della Lega: Maroni o Tosi? O forse Berlusconi?
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Devo confessare che da qualche tempo a questa parte la Lega di Maroni faccio fatica a comprenderla e a seguirla. Dipenderà certamente da un mio limite, ma non riesco a capire dove il Carroccio 2.0 voglia andare, se non pensare che stia procedendo a trasformarsi né più e né meno che in una corrente del Pdl o del contenitore di centrodestra che si ridisegnerà dopo l’uscita di scena diBerlusconi.
Cominciamo dagli ultimi episodi. Il voto, tra l’altro convinto, assicurato dai grandi elettori padani alla rielezione di Giorgio Napolitano è apparso come un qualcosa di indigeribile, come indigeribile era apparso l’appoggio convinto a Franco Marini, tutti personaggi che inorridiscono al solo sentir parlare diPadania, la ricerca della cui indipendenza resta ancora nell’articolo base dello statuto leghista. A meno che tale statuto si sia trasformato in carta igienica e la Lega Nord se ne impippi di quanto scritto nel suo atto costititutivo, il quale, è bene ricordarlo, non è mai stato modificato, nemmeno nel congresso dello scorso anno. Così viene il sospetto che i leghisti abbiano votato Re Giorgio per obbedire alle indicazioni impartite da Silvio Berlusconi, il quale non è mai stato così contento in vita sua come il giorno in cui ha contribuito a rimandare al Quirinale quel vecchio comunista che approvò i carriarmati sovietivi a Budapest nel 1956! D’altra parte non è un caso se dietro le quinte il probabile governo Letta viene già apostrofato come l’esecutivo Napolitano-Berlusconi e, dunque, l’alleato-ancella leghista faccia pure i suoi giochetti ma non rompa i maroni nelle strategie vere del Cavaliere.
A questo punto coerenza avrebbe voluto che, dopo aver votato Napolitano, la Lega si dichiarasse favorevole anche al governo che il presidente della Repubblica sta confezionando attraverso Enrico Letta. Anche perché il programma sarà quello redatto dai dieci saggi, fra i quali, è bene ricordarlo, il leghistaGiancarlo Giorgetti ha svolto un ruolo di tutto rispetto. E invece no, la Lega sarà all’opposizione del governo Letta, ma “sarà un’opposizione concreta” ha sibilato Maroni, che ormai pronuncia questo vocabolo e le sue declinazioni ogni due per tre (governo della concretezza in Lombardia, la rivoluzione della concretezza, opposizione concreta), tanto che potremmo parlare di “concretismo maronita“. Sarà all’opposizione, la Lega, a meno che nel programma di governo non ci saranno i due cardini fondamentali della nuova stagione: la Macroregione del Nord e il 75% delle tasse sul territorio. Siccome si tratta di una pia illusione, il Carroccio sarà opposizione, cioè si troverà su posizioni politiche formalmente diverse rispetto all’alleato col quale governa nelle tre principali Regioni del Nord e insieme al quale dovrebbe realizzare quei due obiettivi che l’esecutivo romano escluderà a priori con l’apporto fondamentale dell’alleato (al Nord) Pdl. Delle due l’una: o il Pdl è un partito dissociato, che propugna un programma a una latitudine e contemporaneamente lo nega al centro, oppure Macroregione e 75% delle tasse trattenute sul territorio sono stati solo due specchieti per le allodole utili a vincere le elezioni lombarde e morta lì. Lascio al lettore decidere per quale delle due ipotesi sono portato a propendere.
La politica, seppure con gli arzigogoli e i bizantinismi italici, procede per linee più semplici di quanto si possa immaginare, mentre qui c’è un evidente salto logico, manca totalmente la… concretezza, tanto per stare in tema. E inoltre la scelta di Maroni di schierare la Lega all’opposizione appare più che altro una tattica per cercare di recuperare immagine presso militanti ed elettori ai quali il sostegno a Napolitano è andato proprio di traverso. Ma di troppo tatticismo si finisce per affogare…
C’è poi qualche cambiamento intervenuto da qualche giorno a questa parte che fa intuire una possibile tendenza. Mentre in campagna elettorale il segretario e i suoi parlavano espressamente di riprendere e rinnovare il progetto volto a fare della Lega il partito egemone del Nord intorno a cui costruire il blocco politico per realizzare la Macroregione (modello Verona, tanto per intenderci), adesso si preferisce parlare di “coalizione egemone”: è solo una sfumatura lessicale oppure significa qualcosa di più? Probabilmente è un passaggio per sancire che il partito egemone è andato a farsi benedire e che il futuro è la coalizione, cioè un partitone di centrodestra che avrà come socio di maggioranza il Pdl. E d’altra parte il continuo richiamo alla Csu bavarese (su cui insiste da tempo Flavio Tosi con l’avallo di Maroni) non è casuale: la Csu è la democrazia cristiana in versione bavarese della Cdu, cioè la democrazia cristiana federale, che in Baviera non si affianca affatto alla prima, perché in sostanza sono la stessa cosa. Di conseguenza la eventuale “Csu padana” altro non sarebbe che la versione nordista della “Cdu italica”, cioè il Pdl con fusa dentro la Lega.
Diverso il discorso sarebbe se il vertice leghista si riferisse invece al modello Catalano, dove il partito storicamente autonomista, e oggi indipendentista, CiU, non ha fratelli maggiori a Madrid e a Barcellona non è alleato con il Pp. Ma quel modello Maroni e la Lega lo hanno ormai messo in soffitta da diversi mesi, nonostante stia procedendo verso il referendum per l’indipendenza della Catalogna.
Mi sia permesso, per concludere questa analisi, di esprimere una certa perplessità, se non proprio delusione, per le ultime dichiarazioni rilasciate da un esponente leghista che continuo a pensare sia uno dei pochi, se non l’unico, a poter riportare la Lega sui binari più in linea con la sua origine: Luca Zaia. Che il governatore del Veneto in questi giorni abbia definito Giorgio Napolitano un “patrimonio nazionale” e ieri, in occasione della festa del 25 Aprile, abbia auspicato il recupero dello spirito costituente che ha fatto l’Italia del dopogruerra, mi spinge a pensare che l’uomo sia sul punto di rinunciare a condurre una battaglia interna al movimento, forse troppo preoccupato per la sua riconferma nel 2015. Quelle parole sarebbero state consone in bocca a Tosi, proprio colui che gli vuol soffiare la carica di governatore.
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