l Palazzo dei morti si è arreso al diktat contro l’Italia
«Vilipendio al popolo italiano», tuona Giulietto Chiesa: l’inaudita rielezione di Napolitano al Quirinale, maturata con la resa del Pd ormai “suicidato” da Bersani, è un oltraggio per i milioni di italiani che invocavano, con Grillo, il nome di Stefano Rodotà come garante di una Costituzione calpestata dalla casta dei partiti e demolita giorno per giorno dall’oligarchia tecnocratica europea, che mira a cancellare lo Stato e il suo sistema di protezioni sociali, sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore. «Come avrete capito – protesta “Megachip” – riavremo un governo molto peggiore del terribile governo Monti. E si va allo scontro, politico e sociale». Drammatici gli appelli alla mobilitazione popolare: dal leader del “Movimento 5 Stelle”, che parla di “golpe”, a Paolo Flores d’Arcais che su “Micromega” esorta gli italiani che hanno assediato Montecitorio a restare in piazza, «contro la vergogna di un presidente dell’inciucio, e del salvacondotto per il Caimano».
Impressionante, il 20 aprile, lo spettacolo del Palazzo assediato e delle tessere del Pd date alle fiamme: «Il Pd è finito e ci sarà un esodo massiccio di militanti ed elettori ingannati», annuncia “Megachip: «Anche a quel popolo dovremo parlare per difendere la democrazia». Il clima è di emergenza politica nazionale: l’esausta nomenklatura della Seconda Repubblica si è arresa a Monti e a Napolitano, non è riuscita a costruire un governo e nemmeno ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica. «A mio avviso – disse Carlo Azeglio Ciampi nel 2006 di fronte all’ipotesi di rielezione – il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato». Quando un presidente della Repubblica che dura sette anni viene rieletto per altri sette, aggiunge ora Giorgio Cremaschi, «siamo in un sistema più simile all’antica monarchia elettiva polacca che a quello delineato dalla nostra Costituzione».
Napolitano però è andato oltre: «Quando questo stesso presidente ha di fatto governato per quasi un anno e mezzo attraverso un presidente del Consiglio da lui nominato senatore a vita, che ha ricevuto la fiducia delle Camere sotto la pressione incostituzionale dello spread – aggiunge Cremaschi su “Micromega” – siamo in un sistema più simile alle repubbliche presidenziali che a quella parlamentare costituzionale». E se poi questo stesso presidente «nomina una commissione di saggi che prepara un programma che probabilmente sarà adottato dal nuovo governo di emanazione presidenziale, al cui sostegno nessuna delle forze che lo hanno rieletto potrà ovviamente sottrarsi, questo somiglia ad una repubblica presidenziale senza neanche il voto del popolo». Situazione pessima, dato che «tutto questo avviene nel quadro di un accordo, frutto della disperazione ma non per questo meno sostanziale, tra i partiti che si sono alternati a governare in questi venti anni». Per cui, «usare la parola regime non è certo un errore: “inciucio” è solo la sua definizione gergale».
Quattro persone – Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti – si sono «incontrate in un salotto» e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, «di nominare Amato presidente del Consiglio, di applicare come programma di governo il documento dei dieci saggi di area Pdl-Pd che tra i suoi punti ha la mordacchia alla magistratura e il mantenimento del finanziamento pubblico ai partiti». Nel dopoguerra, afferma Grillo, anche nei momenti più oscuri della Repubblica, «non c’è mai stata una contrapposizione così netta, così spudorata tra Palazzo e cittadini». Rodotà? Era la speranza di una nuova Italia. Amaro il verdetto delle urne: ineleggibile. «Che cos’ha Rodotà che non va?», si domanda Cinzia Gubbini su “Popoff”. «Una cosa: Stefano Rodotà non è una persona ricattabile». Grillo concorda: Rodotà «è sopra le parti, incorruttibile. Quindi pericoloso. Quindi non votabile». L’azione democratica del “Movimento 5 Stelle” «ha aperto gli occhi ormai anche ai ciechi sull’inciucio ventennale dei partiti».
Da solo, però, il M5S non può cambiare l’Italia: «E’ necessaria una mobilitazione popolare, dobbiamo essere milioni: qui o si fa la democrazia o si muore come paese», dice Grillo. Flores d’Arcais concorda: la vera battaglia comincia adesso, sull’onda dell’indignazione popolare che sta dilagando, «di fronte a un Pd che rifiuta di votare Stefano Rodotà, che avrebbe avuto una larghissima maggioranza, e preferisce accordarsi col putiniano di Arcore». Morte clinica del partito di Bersani che, «pur di non votare Rodotà, che è stato presidente del Pds, da cui il Pd è nato, preferisce votare insieme a Gasparri e Brunetta, Santanchè e Scilipoti, oltraggiando e tradendo i propri elettori». Tenete i nervi saldi, raccomanda Peter Gomez sul “Fatto Quotidiano”: il peggio deve ancora venire, perché la rielezione di Napolitano «certifica il comatoso delirio di onnipotenza in cui si trovano i partiti: di fronte alla decomposizione economica e sociale del paese, una classepolitica di nominati è capace solo di replicare lo status quo».
In molti gridano al golpe, «e non è difficile capire perché», aggiunge Gomez. I cittadini chiedevano il cambiamento: volevano nelle istituzioni uomini e idee nuove perché quelle vecchie avevano portato l’Italia alla deriva. «Invece, dopo il Colle, ci sarà un governo con tutti dentro: seguendo il programma dei 10 saggi. Nessun taglio al finanziamento pubblico ai partiti, riforme contro giudici, stampa e intercettazioni. Niente colpi d’ala nell’economia». A pretenderlo, «dopo aver ottenuto il bacio della pantofola dai sedicenti leader che sono andati al Quirinale per imploralo», è stato proprio Napolitano, scrive Gomez, citando politici e cronisti. «Lui tenta di negarlo, ma sul sito della presidenza della Repubblica l’oscena nota con cui il capo dello Stato accetta l’incarico compare accanto a un articolo de “La Stampa” del 14 aprile. Il titolo è significativo: “L’ultima domenica di Napolitano: “Non mi convinceranno a restare”. Basta leggerlo per farsi un’opinione precisa di quanto valga la parola dell’uomo».
«Il bunker in cui si asserraglia la partitocrazia – per colpa della follia del Pd e per la gioia di Silvio Berlusconi, unico momentaneo vincitore della partita – sarà assediato: dai cittadini. C’è da augurarsi che almeno tra loro continui a prevalere la non violenza e il buon senso», aggiunge Gomez, «ma la minaccia che un esecutivo del genere duri per anni, assieme alla certezza che la recessione economica continuerà – a essere ottimisti – ancora molti mesi, non lascia presagire niente di buono». Questo regime che oggi si rifugia alla corte di Napolitano, massimo notaio delle volontà testamentarie anti-italiane partorite tra Bruxelles, Francoforte e Berlino, per Cremaschi «è espressione di una sovranità totalmente limitata dal pareggio di bilancio costituzionale, dal Fiscal Compact, dalla Troika e da tutti i trattati liberisti europei, per cui gran parte delle decisioni economiche vanno in automatico, come ha affermato Draghi». Tutto questo, «con una vera democrazia ha ben pochi rapporti: la forma della nostra democrazia è forse salva, ma la sostanza no».
Che la democrazia costituzionale sia oramai un simulacro, aggiunge l’ex leader della Fiom, lo dimostrerà ancora di più il futuro: «Quando il prossimo governo di emanazione presidenziale continuerà le politiche di austerità, l’opposizione ad esso sarà inevitabilmente e oggettivamente opposizione al presidente della Repubblica». In queste condizioni, Napolitano sarà costretto a gettare la maschera: del resto, il primo a felicitarsi della sua rielezione, prendendo nota del fatto che l’Italia rimane “in mani sicure”, è stato proprio José Manuel Barroso, presidente di quella Commissione Europea che rappresenta il nemico numero uno dell’Italia libera e sovrana, “una e indivisibile”, democratica e “fondata sul lavoro”. Tutto questo avviene grazie alla capitolazione politica dei “ladri di voti”, gli usurpatori Pd e Pdl che «al momento buono, hanno deciso ancora una volta di stare assieme: come hanno fatto quando hanno portato la pensione a settant’anni, cancellato l’articolo 18, imposto l’Imu».
Pd e Pdl, aggiunge Cremaschi, «sono ormai parte integrante della oligarchia politico-economica del paese», che impone decisioni antidemocratiche sulla pelle di tutti. «Poche storie, sono usciti dalla Costituzione Repubblicana e bisogna prenderne atto. Le prossime lotte contro le politiche di austerità e contro il massacro sociale saranno anche contro il presidente Giorgio Napolitano. Non facciano gli ipocriti, è questo ciò che hanno voluto e fatto». Quando ancora l’intellighenzia dell’area di centrosinistra si divideva nel giudizio su Napolitano, garante della Costituzione contro le “leggi ad personam” di Berlusconi o arbitro sempre più invadente di una partita destinata a scivolare verso un nuovo regime chiamato Terza Repubblica, Paolo Barnard definì “criminale” Mario Monti, “sicario” dell’economia italiana inviato dai poteri forti europei col mandato esplicito di demolire il nostro paese. Barnard non si limitò alle parole: all’indomani dell’incarico a Monti, varcò una caserma dei carabinieri e denunciò Giorgio Napolitano per “attentato alla Costituzione”.
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