Indagato Letta da 10 mesi. E nessuno ne parla.
Dopo il rimpallo tra due procure, la Cassazione manda il fascicolo sui centri di accoglienza all’unico magistrato di Lagonegro. I reati ipotizzati sono abuso, turbativa d’asta e truffa.
Come giornali e agenzie
hanno nascosto la notizia che
spaventa gli editori
hanno nascosto la notizia che
spaventa gli editori
Sono almeno sei mesi che giornali e tv evitano di raccontare che Gianni Letta è sotto inchiesta. Nonostante le carte circolino nelle redazioni dei maggiori quotidiani e delle agenzie di stampa, nessun direttore ha pubblicato le intercettazioni che raccontano come le emergenze sono state usate per fare affari e favori. Letta è considerato l’uomo del dialogo e soprattutto il sottosegretario con cui gli editori hanno trattato e tratteranno gli aiuti alla stampa in crisi. L’unica testata che ha offerto una panoramica dell’indagine è stato il mensile campano “La voce delle voci”. Le agenzie di stampa si sono occupate della faccenda solo il 29 aprile per comunicare, su input della Procura di Roma, che i pm avevano chiesto l’archiviazione di Letta. Ma non hanno spiegato per quali reati fosse indagato e oltretutto hanno diffuso una notizia monca. Letta è stato scagionato dall’accusa di associazione a delinquere, ma rimane indagato per abuso, turbativa d’asta e truffa. Su queste ipotesi di reato, si è svolto un surreale ping pong tra le Procure di Roma e Potenza, dove entrambe sostenevano la competenza dell’altra e non volevano occuparsi di lui. Alla fine ci ha pensato la Cassazione, che ha spedito tutto a Lagonegro.
Accoglienza ai clandestini?
Ci pensa Gianni
LE CARTE DELL’INCHIESTA SU LETTA
Ci pensa Gianni
LE CARTE DELL’INCHIESTA SU LETTA
Gianni Letta è indagato da dieci mesi per il business dell’immigrazione. Nessuno però lo sa (o lo scrive). Lo ignora persino il magistrato che dovrà occuparsi di lui. Si chiama Francesco Greco (solo omonimo del procuratore aggiunto di Milano) e lavora da poche settimane a Lagonegro, un comune di 5 mila abitanti in provincia di Potenza, dove la Procura più piccola d’Italia, con un solo pm che fa contemporaneamente il capo reggente e il sostituto, dovrà decidere la sorte dell’uomo più potente del governo dopo Silvio Berlusconi. Con “Il Fatto quotidiano”, che gli chiede notizie sullo stato del fascicolo, Greco cade dalle nuvole. Eppure nel luglio scorso il dossier Letta è stato destinato al suo ufficio dalla Cassazione, dopo un surreale conflitto di competenza fra i magistrati di Roma e Potenza. Tutti però si sono dimenticati di dirgli che sulla sua scrivania sta per arrivare una valanga di informative, corredate da mesi di intercettazioni. Carte che accusano il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in concorso col capo del dipartimento Immigrazione del ministero degli Interni, Mario Morcone, e con alcuni manager de “La Cascina”: una holding di cooperative da 200 milioni di euro di fatturato, braccio secolare di Comunione e Liberazione a Roma, nata come mensa per gli studenti della Capitale, che oggi controlla ospedali, hotel a 4 stelle e ristoranti di grido (come il Pedrocchi di Padova e Le Cappellette di Roma), dove i clienti vip lasciano sulle pareti la loro foto accanto alla dedica di Giulio Andreotti. Letta è sotto inchiesta per reati piuttosto pesanti: abuso d’ufficio (fino a 3 anni di carcere), turbativa d’asta (fino a 2), truffa aggravata (fino a 6).
Potenza del Vaticano
L’indagine parte da Potenza, quando il pm Henry John Woodcock si mette a lavorare su una presunta organizzazione specializzata nell’aggiudicarsi commesse pubbliche truccando le gare. A indagare sono gli uomini della squadra mobile e quelli del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, diretti dal colonnello Sergio de Caprio, alias Capitano Ultimo, l’ufficiale che arrestò Totò Riina. Gli investigatori intercettano e pedinano i fratelli Angelo e Pierfrancesco Chiorazzo, dirigenti della Cascina e di altre società. E quasi subito scoprono che i due stanno tentando di accaparrarsi gli appalti per i centri di assistenza ai rifugiati, grazie agli aiuti di Letta. E’ l’estate del 2008. Giornali e tv lanciano ogni giorno “l’allarme immigrati” e il governo dichiara addirittura lo stato d’emergenza. Letta si muove alla sua maniera. A legarlo alla Cascina non sono solo i rapporti di consuetudine con Chiorazzo, ma è soprattutto la comune vicinanza al Vaticano e ad Andreotti, numi tutelari della cooperativa. Per anni La Cascina ha accumulato appalti dalle Alpi alla Sicilia, dalle università alle strutture pubbliche, dai teatri agli stadi, fino alla bouvette del Senato. Nel 2008 l’Asl di Taranto le ha scucito la bellezza di 8,8 milioni di euro; il comune di Roma altri 20. Non è un mistero che i vertici della Cascina selezionino il personale anche sulla base di elenchi stilati da vescovi e politici di area. Ma il gruppo non disdegna le alleanze trasversali, come quella intrecciata con il governo di Fidel Castro per gestire due hotel di lusso sulle spiagge di Santa Lucia e di Varadero. La crescita tumultuosa, le scelte sfortunate (come quella di Cuba) e 74 milioni di debiti con il fisco, hanno però messo la holding ciellina alle corde.
L’indagine parte da Potenza, quando il pm Henry John Woodcock si mette a lavorare su una presunta organizzazione specializzata nell’aggiudicarsi commesse pubbliche truccando le gare. A indagare sono gli uomini della squadra mobile e quelli del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri, diretti dal colonnello Sergio de Caprio, alias Capitano Ultimo, l’ufficiale che arrestò Totò Riina. Gli investigatori intercettano e pedinano i fratelli Angelo e Pierfrancesco Chiorazzo, dirigenti della Cascina e di altre società. E quasi subito scoprono che i due stanno tentando di accaparrarsi gli appalti per i centri di assistenza ai rifugiati, grazie agli aiuti di Letta. E’ l’estate del 2008. Giornali e tv lanciano ogni giorno “l’allarme immigrati” e il governo dichiara addirittura lo stato d’emergenza. Letta si muove alla sua maniera. A legarlo alla Cascina non sono solo i rapporti di consuetudine con Chiorazzo, ma è soprattutto la comune vicinanza al Vaticano e ad Andreotti, numi tutelari della cooperativa. Per anni La Cascina ha accumulato appalti dalle Alpi alla Sicilia, dalle università alle strutture pubbliche, dai teatri agli stadi, fino alla bouvette del Senato. Nel 2008 l’Asl di Taranto le ha scucito la bellezza di 8,8 milioni di euro; il comune di Roma altri 20. Non è un mistero che i vertici della Cascina selezionino il personale anche sulla base di elenchi stilati da vescovi e politici di area. Ma il gruppo non disdegna le alleanze trasversali, come quella intrecciata con il governo di Fidel Castro per gestire due hotel di lusso sulle spiagge di Santa Lucia e di Varadero. La crescita tumultuosa, le scelte sfortunate (come quella di Cuba) e 74 milioni di debiti con il fisco, hanno però messo la holding ciellina alle corde.
“Pronto, sono Gianni Letta” Per risollevarsi dalla crisi, il vicepresidente Angelo Chiorazzo – 35 anni, celebre per aver organizzato nel ‘97 una contestazione a Oscar Luigi Scalfaro alla Sapienza di Roma, molto stimato dal segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone – punta sugli appalti in uno dei settori più redditizi e meno controllati: gli immigrati. Legatissimo a Clemente Mastella (era con lui sull’aereo di Stato da Roma al Gran Premio di Monza nel 2007), soprannominato nell’Udeur “il vaticanista” per aver organizzato vari incontri fra lo statista di Ceppaloni e Bertone, Chiorazzo ha un altro asso nella manica: proprio Letta. Il 6 agosto 2008 – si legge nelle carte – Angelo è a Palazzo Chigi col cappello in mano. Una delle sue società gestisce già il Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Bari con 1200 ospiti, e sta per aprirne un altro a Taranto da 400 posti. Ogni ospite “vale” fino a 50 euro di rimborsi pubblici al giorno. Il manager fiuta l’affare (il gruppo incassa già 70 mila euro al giorno) e vorrebbe espandersi in tutt’Italia. Letta chiama il capo dell’immigrazione al ministero, il prefetto Morcone, che si mette a disposizione. Due giorni dopo Chiorazzo torna alla carica a Palazzo Chigi con la lista dei “Cara” più appetibili. In cima all’elenco, Foggia e Crotone. Dopo il secondo incontro, Letta richiama Chiorazzo per dirgli che qualcosa comincia a muoversi: “Il prefetto di Crotone mi dice che vuole che lei vada o lunedì o martedì… perchè poi lui va a Cosenza dove è stato trasferito e dice: ‘E’ meglio che lascio le cose fatte’. Allora, o lunedì o martedì mattina la aspetta in Prefettura… eh… a nome mio”. Chiorazzo ringrazia e già sogna parlando con i colleghi: “Crotone è il campo più grande d’Europa, può arrivare a 1300 persone”. Con il fratello Pierfrancesco, aggiunge: “Devi andare in Calabria a battere il ferro finché è caldo (a Crotone l’indagine sarà archiviata, ndr) ”.
Un milione all’Auxilium Chiorazzo seguita a vedere Letta. Il quarto incontro avviene il 2 settembre. Dieci giorni dopo, ecco finalmente i primi risultati: un bell’appalto da un milione e 170 mila euro, destinato alla cooperativa Auxilium di Senise, presieduta da suo fratello, per aprire un nuovo “Cara” a Policoro, provincia di Matera. Com’è stato possibile? La risposta la danno gli investigatori: per quell’appalto “il prefetto di Matera e il sindaco di Policoro sono stati ‘scavalcati’ e messi davanti al ‘fatto compiuto’. Il prefetto Giovanni Monteleone sarà informato solo un giorno e mezzo prima dell’arrivo dei rifugiati e il sindaco Lopatriello sarà convinto ad avallare lo status quo con promesse, di evidente natura clientelare, di assunzioni di persone da lui segnalate. L’esistenza di un’emergenza nazionale diviene così il pretesto utile a dissimulare uno stravolgimento delle regole della buona amministrazione e per accontentare le richieste del Chiorazzo gestore in pectore del “Cara” di Policoro, prim’ancora che ne sia deliberata la creazione”.
Il prefetto non ci sta Occhio alle date: grazie a Super-Gianni, son bastati 11 giorni per aprire un centro da 200 posti che vale 4 milioni di euro l’anno. E poi dicono che la burocrazia è lenta. Il prefetto Monteleone, sentito come testimone, ancora non ci crede: “Giovedì mattina (11 settembre 2008, ndr) mi ha chiamato il prefetto Morcone da Roma dicendomi: abbiamo individuato una struttura a Policoro dove sabato 13 arriveranno i primi 200 extracomunitari perché c’è un’emergenza nazionale. Io sono rimasto molto sorpreso e mi sono sentito bypassato… Non ho avuto la possibilità di chiamare i sindaci e di far vedere che esiste un prefetto”. Anche il viceprefetto Michele Albertini è perplesso. Rifiuta di firmare e chiede una lettera del ministero che autorizzi quella “strana convenzione”, come la definisce lui stesso. Anche perché, spiega agli investigatori, “solitamente si lascia alle sedi locali il compito di individuare le ditte. Qui era già tutto fatto da Roma”. Niente da fare: l’affidamento ad Auxilium non si discute. Nessuno si preoccupa di verificare la capienza del centro. Ecco una telefonata intercettata fra la funzionaria Isabella Alberti e il presidente dell’Auxilium, Pierfrancesco Chiorazzo. Sono le 9.30 del 12 settembre, il Cara è già stato praticamente autorizzato, gli immigrati arriveranno l’indomani. Prima però bisogna mettere a posto le carte.
L’appalto al telefono
La dottoressa Alberti si produce in un esercizio di dettatura che pare il remake della celebre scena di “Totò, Peppino e la malafemmina”. “Allora scriva”, esordisce mentre Chiorazzo prende nota: “Alla direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo. Alla cortese attenzione del prefetto Forlani, Roma. Oggetto: offerta di strutture ed accoglienza sita in Policoro, Matera”. Seguono dieci righe di dettato, dopo di che la signora ha un soprassalto di coscienza: “Senta, ma poi i posti quanti sono?”. E Chiorazzo: “210”. La funzionaria dello Stato per un attimo si ricorda del suo ruolo e pone un problema non secondario: “Ma c’è tutto? Cioè, per un’accoglienza dignitosa, c’è tutto?”. Chiorazzo la rassicura: “Sì, sì, sì, tutto. C’è tutto”. E meno male. Gli investigatori invece annotano: “Nessuna tempestiva verifica preventiva è stata eseguita dal ministero per accertare che effettivamente la struttura fosse in possesso di tutti i requisiti necessari e per verificare la sicurezza e la salubrità dei luoghi”. Solo il prefetto di Matera, un giorno prima di aprire il “Cara”, sguinzaglia una delegazione a controllare. “Sta di fatto”, prosegue la nota, “che dopo gli accessi eseguiti, su apposita richiesta della Prefettura di Matera, dall’Asl5 di Montalbano Ionico, è emerso che la struttura ospitante il Centro, in via del tutto eccezionale, può contenere al massimo 107 persone”. Così il 16 novembre 2008 la Prefettura invia un fax urgentissimo per comunicare che gli ospiti in soprannumero vanno trasferiti. Nel frattempo l’Auxilium potrebbe aver incassato 5 mila euro in più al giorno riempiendo il “Cara” oltre i limiti. Secondo la Procura di Roma, in questa vicenda non ci sarebbe nulla di penalmente rilevante. Il pm Sergio Colaiocco ha fatto archiviare l’accusa di associazione per delinquere contro Letta e Morcone. Poi, pur non essendo competente per territorio, ha lasciato intendere che – se fosse per lui – li scagionerebbe anche dalle altre accuse di abuso, truffa e turbativa. A suo avviso, lo stato d’emergenza legittima tutto. Secondo Woodcock, invece, l’emergenza non farebbe venir meno l’obbligo di chiedere almeno cinque preventivi prima di assegnare un appalto milionario con un paio di telefonate. Ora la parola passa al pm unico di Lagonegro. Se avrà tempo.
La dottoressa Alberti si produce in un esercizio di dettatura che pare il remake della celebre scena di “Totò, Peppino e la malafemmina”. “Allora scriva”, esordisce mentre Chiorazzo prende nota: “Alla direzione centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo. Alla cortese attenzione del prefetto Forlani, Roma. Oggetto: offerta di strutture ed accoglienza sita in Policoro, Matera”. Seguono dieci righe di dettato, dopo di che la signora ha un soprassalto di coscienza: “Senta, ma poi i posti quanti sono?”. E Chiorazzo: “210”. La funzionaria dello Stato per un attimo si ricorda del suo ruolo e pone un problema non secondario: “Ma c’è tutto? Cioè, per un’accoglienza dignitosa, c’è tutto?”. Chiorazzo la rassicura: “Sì, sì, sì, tutto. C’è tutto”. E meno male. Gli investigatori invece annotano: “Nessuna tempestiva verifica preventiva è stata eseguita dal ministero per accertare che effettivamente la struttura fosse in possesso di tutti i requisiti necessari e per verificare la sicurezza e la salubrità dei luoghi”. Solo il prefetto di Matera, un giorno prima di aprire il “Cara”, sguinzaglia una delegazione a controllare. “Sta di fatto”, prosegue la nota, “che dopo gli accessi eseguiti, su apposita richiesta della Prefettura di Matera, dall’Asl5 di Montalbano Ionico, è emerso che la struttura ospitante il Centro, in via del tutto eccezionale, può contenere al massimo 107 persone”. Così il 16 novembre 2008 la Prefettura invia un fax urgentissimo per comunicare che gli ospiti in soprannumero vanno trasferiti. Nel frattempo l’Auxilium potrebbe aver incassato 5 mila euro in più al giorno riempiendo il “Cara” oltre i limiti. Secondo la Procura di Roma, in questa vicenda non ci sarebbe nulla di penalmente rilevante. Il pm Sergio Colaiocco ha fatto archiviare l’accusa di associazione per delinquere contro Letta e Morcone. Poi, pur non essendo competente per territorio, ha lasciato intendere che – se fosse per lui – li scagionerebbe anche dalle altre accuse di abuso, truffa e turbativa. A suo avviso, lo stato d’emergenza legittima tutto. Secondo Woodcock, invece, l’emergenza non farebbe venir meno l’obbligo di chiedere almeno cinque preventivi prima di assegnare un appalto milionario con un paio di telefonate. Ora la parola passa al pm unico di Lagonegro. Se avrà tempo.
di Peter Gomez e Marco Lillo (da Il Fatto Quotidiano, n°1 – 23 settembre 2009)
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