Marini: il Pd è allo sbando, agli ordini dei poteri forti
Il Pd è in mano ai “potentati” che lo dominano e lo lacerano: parola di Franco Marini, bocciato il 17 aprile 2013 nella corsa per il Quirinale nonostante il sostegno dichiarato di Pd e Pdl, oltre a montiani e Lega. Il “tradimento”? Tutto interno al Pd, e non per colpa del solo Bersani, indeciso su tutto ma anche vittima dei veti incrociati che dilaniano un partito al tramonto, preda di un «dilagante opportunismo». Una piaga che «tocca larghissimamente il gruppo dirigente», dichiara Marini a Lucia Annunziata. Nel Pd «si sono rafforzati più i potentati che una idea larga di partito». E Renzi? «E’ uno che ha un livello di ambizione sfrenata, a volte parla e non si sa quello che dice, cerca solo i titoli sui giornali: se non modera questa ambizione finisce fuori strada». Parole dure e dirette, dall’ex presidente del Senato e già leader della Cisl. Fosse stato eletto al Quirinale, dicono diversi giornalisti, avrebbe probabilmente esordito con un discorso alla nazione pronunciato dal Sulcis o dall’Ilva di Taranto.
La tragedia che si è consumata nel Pd schiantando la balbettante segreteria Bersani, sabotata sia dai renziani che dai dalemiani, secondo la Annunziata è l’atto finale di un partito mai davvero nato, avendo fallito – in origine – la “fusione a freddo” tra ex Pci ed ex Dc. «Un’opportunità storica toccata a Walter Veltroni – sostiene Giovanni Minoli – e che Veltroni non osò sfruttare fino in fondo: nel 2008 avrebbe dovuto restare al suo posto, trovando il coraggio di azzerare la classe dirigente, puntando solo sui giovani: gli stessi che oggi condividono le idee di Grillo». Erede del sindacalista Giulio Pastore e del democristiano Carlo Donat-Cattin, leader della corrente “Forze Nuove” che sosteneva di rappresentare – dal fronte moderato – le istanze del mondo del lavoro, l’ex alpino abruzzese Franco Marini, a lungo restio a confluire nel progetto prodiano, prima l’Ulivo e poi il Pd, ora parla di «un partito allo sbando», dove «c’è rottura, non c’è solidarietà: volgare e ingiusto quello che mi è stato fatto».
La debolezza strutturale del Pd, aggiunge Marini, tocca anche gli ex comunisti, «che non sono più quelli che avevo conosciuto io: oggi, di questi, non “tiene” più nessuno». La catastrofe più evidente: «Non è stata il sabotaggio della mia candidatura, ma la bocciatura di Prodi: il fatto che Bersani, per il suo non-governo del partito, abbia deciso di cambiare strategia a metà strada. Per richiamare Prodi dall’Africa e poi addirittura bruciarlo». Problema: non sai più di chi ti puoi fidare, nemmeno guardandosi negli occhi. «E Bersani è meno colpevole di altri: lui non gestisce le cose da solo». D’Alema e Veltroni «sono dentro anche loro, sono attivi e hanno preso parte al lavoro di questi giorni». Il Pd «deve recuperare credibilità: l’ha persa tutta». Fin qui Marini. Non una parola – né da lui, né dai media – sul ruolo reale dei “potentati” evocati dall’anziano politico. Giornali e televisioni già si sperticano in elogi per l’inquilino del Quirinale, passato dal “sacrificio personale” al “bis storico”. Per la gioia dei “potentati” di mezza Europa, che – nonostante il disastroso Pd – contano di proseguire, come con Monti, l’opera di devastazione sociale ed economica dell’Italia.
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