La tristezza del Partito
democratico
Il 23 aprile si è svolto un evento di una tristezza
straordinaria, ed è stato anche un modo per capire il fallimento totale di un
progetto politico, quello del Partito democratico, lanciato con grande clamore
nel 2007.
Il set era in stile anni cinquanta: una stanza,
qualche sedia, un simbolo triste alle spalle. Quattro persone sedute dietro a
una scrivania: facce tristi, tirate. Al lato, un podio di legno ingombrante da
cui parlavano una serie di persone chiamate dal palco. L’evento era la
direzione del Pd, trasmessa in streaming come adesso, dopo la cosiddetta
rivoluzione di Grillo, si deve fare sempre.
Due delle quattro persone sedute dietro la scrivania
si erano già dimesse, ma stavano ancora lì. Erano degli sconfitti, non solo
dalle elezioni (che, in realtà, avevano anche vinto) ma anche dalla storia.
Stavano lì, parlavano tra di loro (ma anche a tutti) in un linguaggio
assolutamente incomprensibile, vecchio, datato, superato, obsoleto. Erano loro
stessi obsoleti.
Ma per loro quest’evento, un incontro del genere, era
normale, da tutti i giorni. È la loro vita da politici di professione. Ma della
vita di fuori, normale, e del linguaggio usato dalle persone normali, non sanno
assolutamente niente.
Il Pd è questo, esattamente questo. Un partito con
varie anime personalistiche chiamate impropriamente “fazioni”, nato da due
partiti con varie anime e privo di una base popolare. Mai provato ad andare a
un riunione del Pd per esempio a Milano? Sono così, esattamente come erano
descritti da Michele Serra negli anni ottanta nel suo libro Il nuovo che
avanza. Per anni la gente li ha votati solo perché non erano Berlusconi,
turandosi il naso, senza entusiasmo.
La direzione in streaming è stato un momento
antropologico, il ritratto di un gruppo di persone senza un progetto, senza
un’idea originale, senza una strategia, senza un senso del mondo reale, senza
la capacità di comunicare neanche tra di loro. Ma quale internet: non hanno mai
capito neanche la tv! Era una visione della politica allo sbando. Andrebbe
studiato nelle università con un seminario dal titolo: “La fine di un mondo”.
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