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lunedì 3 febbraio 2014

i libri che bruciano e la rabbia

M5S, i libri che bruciano e la rabbia

























“La nostra è una rabbia sana”, ripete Beppe Grillo nei suoi comizi. E una rabbia sana deve esistere. E deve esprimere indignazione di fronte all’ingiustizia, determinazione nel combatterla, forza d’essere all’altezza del proprio ruolo. La rabbia, se è sana, non deve mai esprimere se stessa. Ho guardato con sgomento la foto pubblicata dal sostenitore del M5S che ha bruciato un libro di Corrado Augias.
Gettare pagine tra le fiamme non è un errore, non significa essere caduti “nella trappola”, come alcuni commentatori hanno fatto notare all’autore dell’insano gesto. Evoca le ombre più cupe del secolo scorso, offende gli uomini e le donne che sono morti per difendere la libertà di parlare e scrivere, ferisce la dignità della persona umana. E dire che il giorno della memoria è appena trascorso! Non intendo dare al gesto isolato un peso non suo. Ma non posso evitare di domandarmi se chi ha bruciato il libro non si sia sentito, in qualche modo, compreso. Tanto da pubblicarlo e condividerlo sul social networkmentre è ancora in onda l’intervista incriminata di Augias, ospite di Daria Bignardi su La7.
Mettere all’indice giornalisti e scrittori perché criticano il Movimento è da irresponsabiliLa rubrica del blog di Grillo, ‘Giornalista del giorno’ - ha ragione Augias – è inquietante. Chi tra gli attivisti e gli elettori del Movimento ha a cuore la libertà d’espressione deve prendere le distanze da iniziative come questa. Quale utilità porta a una comunità che si dichiara liberamente informata grazie al web? Di certo non serve a coltivare “una rabbia sana”, questo no. Piuttosto a dover prendere poi le distanze da gesti squalificanti.
Qualunque sia lo stato d’animo degli elettori italiani che hanno scelto il Movimento 5 Stelle, i parlamentari eletti non sono i portavoce della rabbia dei cittadini. Non la devono esprimere. La devono capire e fare ciò che è in loro potere per rimuovere le cause del malessere che la genera. Nel rispetto dell’esempio che sono chiamati a dare, del loro ruolo e delle regole che comporta. Anche e soprattutto quando gli altri non le rispettano. Un gruppo di parlamentari che reagisce in modo scomposto, qualunque sia la ragione, sbaglia. Poco importa che li si chiami o meno onorevoli, importa che lo siano. Gli eletti del M5S non sono avventori di un bar, frustrati dall’impotenza di fronte alle angherie della casta. Non sono a Roma per battere i pugni sul bancone e infiammarsi. Occupano uno scranno per dare risposte alle esigenze di milioni di donne, uomini, giovani, lavoratori, disoccupati, imprenditori, studenti. Molti disperati. Tutti arrabbiati.
Ma al parlamentare non spetta di fare da portavoce a quella rabbia, mai. Spetta un compito diverso e più difficile. Se quelli del M5S sono all’altezza di questo compito, lo dimostrino. Il resto: le urla in aula, gli striscioni, i bavagli, gli slogan, non sono niente. Si trasformeranno in niente. O peggio, nella cenere di un libro bruciato.

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