Reddito minimo garantito, il sogno che passi in Parlamento
Adesso la proposta di legge c’è e alla Camera si può discutere di reddito minimo garantito. Il comitato che da anni propone di dare a tutti i cittadini almeno 600 euro al mese ha portato a Montecitorio le 50 mila firme necessarie al sostegno della legge di iniziativa popolare. Il presidente della Camera Laura Boldrini, che ora deve certificare la validità delle firme e poi eventualmente sollecitare il Parlamento a discuterne, ha accolto così il comitato “Reddito minimo x tutti e x tutte”: “Il reddito minimo garantito è uno dei temi che ho portato avanti con più convinzione in campagna elettorale. Il vostro sforzo va nella direzione di trovare una soluzione a chi oggi è disperato”.
Se alla Camera i deputati se ne
occuperanno davvero, sarà quello presentato il testo da cui partire. IlMovimento Cinque Stelle ha il reddito minimo ai primi posti del suo programma, ma non ha mai
articolato una proposta. Non ha mai neppure precisato quale delle tante ipotesi
di reddito minimo abbraccia. Idem il Partito democratico. Il segretario Pier Luigi Bersani lo ha incluso negli otto punti con cui cercava l’intesa con il M5s, ma senza dare dettagli. E
comunque il partito lo considera un punto non certo urgente: tra manovra
correttiva da otto miliardi, aumento dell’Iva da evitare (4 miliardi) e Tares da
gestire, non ci sono le condizioni. Però il testo di legge in Parlamento ci
sarà e ricalca la proposta elaborata dalla più esperta delle associazioni parte
del comitato, il Basic
Income Network, che studia il tema da anni.
L’idea sembra semplice e allettante:
dare “a tutti gli individui (inoccupati, disoccupati,
precaria-mente occupati)” un assegno mensile di 600 euro, che cresce fino
a un massimo di 1.900 per chi ha cinque figli a carico. Non è esattamente
l’idea più grillina (il reddito di cittadinanza), quanto una forma di ammortizzatore sociale per chi non ha un lavoro e la cui erogazione è vincolata alla ricerca
attiva di lavoro. Il beneficiario non può rifiutare l’offerta di un posto
coerente con le proprie competenze o perde il sussidio. I vantaggi sono molteplici, su tutti quello di garantire unaprotezione a tutti i lavoratori, inclusi gli autonomi e i precari, che in Italia
sono da sempre i meno tutelati.
La domanda ovvia è: chi lo paga questo reddito garantito? La proposta di legge si limita a indicare che l’assegno deve essere
erogato dall’Inps e a carico della fiscalità generale, cioè pagato dalle tasse. Quanto
costa non è indicato, ma il Basic Income Network lo ha calcolato: a spanne 20
miliardi di euro all’anno. Circa 15,5 già li spendiamo per gli
ammortizzatori sociali, dirottando quelle risorse sul reddito minimo ne
mancherebbero altri 5, tanti ma non tantissimi. I sostenitori del reddito
minimo non sottolineano però un passaggio decisivo: per assicurare i 600 euro a
tutti ci vuole un’impresa
politicamente titanica, cioè la complessiva riforma degli ammortizzatori sociali (per la quale viene prevista una legge
delega). La proposta portata ieri alla Camera indica quali aiuti dovrebbero essere
ridimensionati o scomparire: assegni e pensioni sociali, assegno ai nuclei
familiari numerosi e quello di maternità base, le pensioni di invalidità, le social card, le pensioni per ciechi e sordi. Non si fa cenno alla
cassa integrazione – indicata solo come non cumulabile – ma qualche
ripercussione inevitabile ci sarebbe. Tutto è possibile, ma una drastica
revisione dell’assistenza in Italia non si annuncia facile. Fino a ieri era un
dibattito interno al M5s e ad alcuni gruppi di economisti. Da ora spetta al
Parlamento decidere se provarci o riservare anche a questa il destino che tocca
a tutte le leggi di iniziativa popolare: l’indifferenza e l’oblio.
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