La
vicenda MPS ha ringalluzzito coloro che ritengono che il problema principale
del sistema bancario sia la presenza dei partiti politici negli organi che
controllano le banche (generalmente le fondazioni). In un recente articolo, per esempio, Marco
Travaglio invita Napolitano a lanciare “un bel monito ai politici perché escano
dalle banche (e dalle fondazioni) con le mani alzate e tornino a fare il loro
mestiere: che, sulle banche, è quello dell’arbitro, non del giocatore”.
Le
ragioni per cui ai partiti politici debba essere impedito con la forza di
partecipare al controllo delle banche sono ovvie e non è mia intenzione
discuterle. Quello che invece credo che valga la pena discutere è l’idea, che
mi sembra implicita nelle parole di Travaglio, secondo cui questo basterebbe
perché le banche operino in un sistema di libero mercato. Non è così. Il
problema di gran lunga maggiore del sistema bancario non è che i partiti
controllano le banche, ma che esse (tutte) operano al di fuori delle
regole del libero mercato e quindi che la loro attività, per quanto
generalmente legale (cioè rispettosa della ‘legge’ intesa come provvedimento
particolare, come strumento di potere), è in gran parte illegittima (cioè viola
la legge intesa come principio generale e astratto, come limite al potere). In
altri termini, il problema principale del sistema bancario sta nel fatto che lo
Stato, grazie all’idea di ‘legge’ oggi prevalente (il positivismo giuridico
imposto dalla nostra costituzione), ha concesso alle banche un particolare
privilegio: quello di operare in regime di riserva
frazionaria. Nel momento in cui si togliesse questo privilegio, i partiti
uscirebbero dalle banche alla velocità del fulmine (anche senza il dovuto ricorso
alla coercizione) in quanto le banche diventerebbero un’attività
imprenditoriale come tutte le altre. Tuttavia, finché non si toglie quel
privilegio, che i partiti controllino le banche o meno, i legami fra Stato e
banche continueranno a esserci come ci sono sempre stati da quando è stato
legalizzato il regime di riserva frazionaria (anche in assenza di controllo
delle banche da parte del potere politico) e le banche continueranno a non
operare in regime di libero mercato.
Gli
effetti economici di questo particolare privilegio sono devastanti
ma, visto che i giornalisti sedicenti ‘liberali’ generalmente non sanno
cosa sia il libero mercato e quindi non conoscono questi effetti, questi ultimi
rimangono sconosciuti a molte persone.
Il
regime di riserva frazionaria consente alle banche di creare credito (e quindi
denaro) dal nulla. Se Tizio deposita 1.000 euro nella banca A, questa oggi
è tenuta a trattenere solo una determinata percentuale (poniamo l’1%, cioè 10
euro) e può prestare il rimanente 99% a Caio. Se Caio deposita questo prestito
nella banca B, quest’ultima dovrà, a sua volta, trattenere solo l’1% della
somma depositata e potrà prestare a Sempronio il rimanente 99%. E così via fino
a che i 1.000 euro iniziali non avranno consentito al sistema bancario nel suo
complesso di produrre 99.000 euro di credito (e quindi di denaro) finto, creato
dal nulla (senza che cioè alle sue spalle ci sia del risparmio). Questo
meccanismo è illegittimo in quanto consiste in appropriazione
indebita. Se Tizio prestasse i suoi 1.000 euro alla
banca A egli rinuncerebbe alla disponibilità di quei 1.000 euro. Questa
disponibilità verrebbe trasferita alla banca A, che dovrebbe compensare Tizio
con un tasso d’interesse: in questo caso non ci sarebbe nessun problema.
Ma, depositando (e non prestando) i suoi
1.000 euro presso la banca A, Tizio non rinuncia alla loro
disponibilità: egli li deposita presso la banca per avere determinati servizi
di custodia, di sicurezza, di pagamento, ecc. (oggi egli è addirittura obbligato dallo
Stato a depositarli in banca, non potendo pagare in contanti sopra una cifra
che sembra destinata a ridursi sempre di più) ma il giorno dopo li può usare
per comprare una bicicletta.
Il
problema è che, nel momento in cui la banca A presta a Caio il 99% di quei
1.000 euro, essa trasferisce la disponibilità di quei soldi a Caio.
Quindi, grazie al meccanismo della riserva frazionaria, Tizio e Caio hanno
contemporaneamente la ‘disponibilità’ sugli stessi soldi (più precisamente,
Caio ha la disponibilità sul 99% dei soldi di Tizio). Questo significa che se
un giorno Caio li usa per comprarsi un paio di sci e il giorno dopo Tizio li
vuole usare per comprare una bicicletta (oppure, caso più realistico, se un
giorno a seguito del venir meno della fiducia dei vari ‘Tizi’ nella capacità
delle banche di restituire loro i soldi depositati, questi si presentano
contemporaneamente allo sportello per chiedere i loro 1.000 euro), Tizio con
molta probabilità scoprirà che i suoi soldi non ci sono: la banca A se ne è
appropriata per prestarli a Caio e guadagnarci un tasso d’interesse. Quindi,
come Jesús Huerta de Soto dimostra ampiamente nel suo capolavoro Money,
Bank Credit and Economic Cycles sia sotto il profilo logico-giuridico
che sotto quello storico, “un qualunque uso di questo denaro [quello depositato
presso le banche e non prestato, n.d.r.], in particolare per fare prestiti, … è
un atto di appropriazione indebita”. In un lontano passato, quando la
legge era considerata un principio generale e astratto da scoprire, custodire e
difendere (e non un provvedimento particolare da decidere), questo crimine era
considerato gravissimo (in alcuni casi veniva punito addirittura con la
decapitazione), tant’è che le banche inizialmente lo compivano di nascosto e
vergognandosene. Oggi che la ‘legge’ è diventata la decisione arbitraria del
politicamente più forte, il meccanismo della riserva frazionaria non è più un
reato: mentre l’appropriazione indebita viene generalmente vietata, alle banche
è stato concesso il privilegio di poter commettere questo crimine legalmente.
Il
vantaggio che le banche derivano dal crimine della riserva frazionaria (e ancora di più da quello dell’impedimento
dell’uso del contante che certi cialtroni auspicano e difendono) è chiaro: esse
possono caricare interessi su una montagna di credito generato dal nulla. Gli
Stati hanno concesso questo privilegio alle banche in cambio della possibilità
(spesso tacita) di poter avere accesso a parte di quella montagna di denaro
creato dal nulla per finanziarsi. Gli effetti economici della
riserva frazionaria sono quelli della manipolazione monetaria e del credito: un
periodo di boom economico seguito necessariamente dalla crisi e,
prima o poi, dalla catastrofe. La riserva frazionaria infatti consente di
aumentare la quantità di credito disponibile senza aumentare il tasso
d’interesse (e quindi di mantenere un tasso d’interesse artificialmente basso):
questo segnala la disponibilità di risparmi che in effetti non ci sono. Sulla
base di queste informazioni false verranno fatti investimenti sbagliati, sia per
quantità che per tipologia. Quando l’errore di queste informazioni si
manifesta, il castello di carta crolla, lasciando dietro di se miseria e le
macerie di una struttura produttiva de-sviluppata. Questa miseria e queste
macerie che saranno tanto peggiori e dureranno tanto più a lungo quanto più a
lungo sarà durata la manipolazione monetaria e del credito e quanto più
regolamentati sono l’economia in generale e il cosiddetto ‘mercato’ del lavoro
in particolare.
La
riserva frazionaria, che rende possibile alle banche di svolgere legalmente
un’attività criminale molto profittevole, rende così il sistema economico
strutturalmente instabile e cioè necessariamente esposto a cicli economici di
boom e crisi. È per far fronte a questa instabilità strutturale prodotta
dalla riserva frazionaria che è stato necessario istituire le banche centrali
(i prestatori di ultima istanza, gli stampatori di denaro che, per evitare il
collasso del sistema, potessero andare in soccorso delle banche nei momenti di
crisi trasferendo sulla gran parte dei cittadini, mediante la perdita del
potere d’acquisto della moneta imposta col corso forzoso e di ciò che ne
consegue, il costo di questo salvataggio e cioè del privilegio che lo ha reso
necessario). Quindi se un monito sul sistema bancario ci deve essere, ma non da
parte di un presidente comunista che di privilegi ne sa qualcosa, ma da
parte delle persone intellettualmente libere, è che venga abolito il privilegio
della riserva frazionaria. Ristabilendo la distinzione fra prestito (in cui si
rinuncia a beni presenti per beni futuri) e deposito (in cui non si rinuncia a
beni presenti per beni futuri), occorre:
1. per i depositi,
che le banche siano obbligate a mantenere il 100% di liquidità (il che da un
lato rende inutili le banche centrali, le quali quindi potrebbero essere
chiuse, e, dall’altro, implica che le banche commerciali vengano pagate dai
depositanti per i loro servizi di custodia e non che esse corrispondano ai
depositanti un tasso d’interesse, per quanto misero);
2. per i prestiti,
che le banche ricevano prestiti da privati (pagando un tasso d’interesse) e a
loro volta li facciano ad altri (caricando un tasso d’interesse maggiore) come
avveniva in origine. Faccio notare che oggi, a seguito della contrazione del
credito prodotta dalla crisi e grazie a internet, questa attività comincia ad
avvenire di nuovo nei prestiti fra privati attraverso un intermediario (si
vedano operatori come Smartika per esempio).
Riagganciando
i prestiti (e quindi gli investimenti) ai risparmi si restaurerebbe un pezzo di
legge (si abolirebbe un privilegio) e si
eliminerebbe la possibilità stessa delle crisi economiche cicliche come quella
che stiamo vivendo. In altre parole si introdurrebbe un pezzo di libero mercato
nel settore bancario, libero mercato che oggi non c’è e che non ci sarebbe
nemmeno se i partiti uscissero dalle banche. Dico “un pezzo” di libero mercato
perché il libero mercato (cioè la sovranità della legge intesa come principio
generale e astratto) implica non solo l’abolizione ma l’impossibilità di tutti i
privilegi: dal corso forzoso della moneta alla regolamentazione dei ‘mercati’
del lavoro e degli affitti immobiliari; dalla discriminazione fiscale (per
esempio la progressività fiscale, la tobin tax, eccetera), alla redistribuzione
delle risorse; dalla fissazione arbitraria del tasso d’interesse da parte delle
banche centrali alle altre forme di fissazione dei prezzi; dal finanziamento
pubblico dei partiti a quello dell’agricoltura, dell’editoria, dello sport, del
cinema, del teatro, dell’università, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il
libero mercato, implicando l’impossibilità di tutti i privilegi, implica
l’impossibilità dell’interventismo economico da parte dello Stato in
generale.
Perché
l’abolizione di tutti i privilegi sia possibile, occorre passare dalla
sovranità dei legislatori (chiunque essi siano) o del ‘popolo’, alla
sovranità della legge la quale (non può essere mai ricordato abbastanza
spesso), essendo il risultato di un processo spontaneo di selezione culturale
di usi e convenzioni, è indipendente dalla volontà di coloro che la devono
scoprire e difendere allo stesso modo in cui le regole di una lingua sono
indipendenti dalla volontà di un gruppo di linguisti. Il problema non è chi
comanda (se la maggioranza di Grillo, di Berlusconi, di Monti o di Bersani), ma
l’idea di legge che limita il suo potere: oggi, grazie al positivismo giuridico
imposto dalla nostra costituzione totalitaria, il potere politico (chiunque sia
a detenerlo) è illimitato e la tragedia è che non c’è nessuno dei candidati in
lizza che si ponga il problema di limitarlo. Ma per passare dal socialismo
attuale alla società libera, occorrono persone (e anche giornalisti), che,
nell’osservare e criticare la realtà che osservano, capiscano la differenza fra
leggi e misure; fra potere legislativo (il potere di scoprire e difendere la legge
intesa come principio generale e astratto) e potere politico (il potere di
decidere un provvedimento particolare: non è il potere politico, ma il
potere legislativo che deve fare l’arbitro); fra legittimità e legalità;
fra libero mercato e socialismo. Occorrono cioè persone che non cerchino una
soluzione ai problemi all’interno della stessa struttura totalitaria che li ha
prodotti, ma che abbiano la capacità intellettuale (e il coraggio) di mettere
in discussione quella struttura, di guardare a monte, di cercare le cause dei
problemi, e non solo di osservare gli effetti.
Queste
persone oggi si contano quasi sulle dita di una mano e Marco Travaglio non è
una di esse, il che è evidente non solo nel modo in cui affronta i
problemi del sistema bancario ma anche quando, sempre in buona compagnia, si
scandalizza per il fatto che Berlusconi abbia fatto le sue
quaranta e più ‘leggi’ ad personam ma non si scandalizza
minimamente per il fatto che le abbia potute fare legalmente
(anzi elogia la costituzione che ha reso possibile che ciò avvenisse); oppure
quando condanna l’evasione fiscale a priori, cioè senza prima
giudicare la legittimità (non la legalità) del sistema fiscale, la quale
dipende non solo dal modo in cui sono prelevate le tasse (per esempio se nel rispetto
dell’ uguaglianza davanti alla legge o meno, cioè con assenza o meno di
disuguaglianza legale) ma anche da ciò che queste finanziano (per esempio il
fatto che esse si limitino a finanziare lo Stato minimo o meno, comunque lo si
voglia non arbitrariamente definire).
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