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martedì 25 giugno 2013

il Nuovo Ordine Mondiale

Nuovo Ordine Mondiale, i boss del web e la grande politica





Stati transnazionali? Religioni più o meno laiche? Modelli di comportamento e lifestyle globalizzati? Lobby e gruppi di pressione? Facebook e Youtube, i due grandi social network che “autodichiarano” di aver superato la mitica soglia del miliardo di membri, stanno modificando alcuni aspetti della geopolitica mondiale e in particolare della politica in Usa. Secondo Glauco Benigni, questi due giganti non sono più definibili semplicemente “comunità digitali”, perché il comportamento dei loro membri – e dei loro proprietari – li rende trasmutabili in altre macroentità. Ai membri, l’ingresso nella “nazione” digitale conferisce di fatto uno status che prima non esisteva: «Aprire un account è come ottenere una carta d’identità, una sorta di passaporto. E soprattutto aderire, quasi sempre beotamente, alla mappata di “terms and conditions”, significa accettare una Costituzione che di democratico ha ben poco. Se ci fosse una Costituzione da Nuovo Ordine Mondiale, sarebbe questa».
Quanto ai super-proprietari del web, la domanda è: si stanno coalizzando per sviluppare una vera strategia politica? Nella nuova mappa del potere, si Bill Gatestratta di soggetti-chiave: per le multinazionali e le agenzie pubblicitarie, sono già ora i maggiori referenti strategici per collocare e promuovere merci e servizi. Mentre le piattaforme “social” violano regolarmente la privacy dei membri, i “poteri digitali” si sono messi al servizio dei diversi partiti. Per il futuro si coalizzeranno come super-partito digitale? «E’ in questa chiave – avverte Benigni in un intervento su “Megachip” – che va letto il recente caso che ha visto Facebook, e il suo patron Mark Zuckenberg, in difficoltà», da quando cioè Zuckerberg – dopo aver flirtato con Apple e aver presentato il suo “graph search”, motore di ricerca concorrente di Google – all’inizio di aprile ha ventilato la possibilità di raccolta fondi a favore del governatore del repubblicano del New Jersey, Chris Christie.
Obiettivo della campagna: una “Comprehensive immigration reform” e una “education reform”. Immigrazione: a Silicon Valley operano “cervelli digitali” arrivati da molte parti del mondo, anche zone altamente strategiche come Cina, India e Russia. Secondo fonti più maliziose, la visione di Facebook dell’immigrazione sarebbe una “captatio benevolentiae” nei confronti di tutti quei membri, non cittadini americani, che sognano di sbarcare prima o poi negli Usa. In questa chiave, l’iniziativa di Zuckerberg sarebbe «un’enorme opportunità per effettuare una macroscopica raccolta fondi, in arrivo da ogni angolo remoto del pianeta, a sostegno dell’operazione». Sta di fatto, aggiunge Benigni, che il Senato americano sta per mettere nuovamente mano all’argomento, per cui l’eventuale pressione da parte di Facebook apparirebbe impropria. Addirittura «inquietante», secondo “Megachip”, la menzione relativa alla “education”, «nell’ipotesi che Zuckerbergun colosso del web, unitamente ad altri partner rilevanti, si dia come obiettivo quello di “educare” le nuove generazioni».
Operazione già pienamente in corso, in deroga a qualsiasi progetto governativo, tant’è vero che all’Onu le organizzazioni internazionali preposte alla cosiddetta “educazione” temono una sovrapposizione di “linee guida” con la quale sarebbe difficile confrontarsi. La “cosa” ancora priva di nome era stata definita un’“advocacy start up” (l’inizio di un patrocinio) e rientrava dunque in quel grande solco tracciato dalla cittadinanza attiva. Fin qui, ufficialmente, tutto bene. Senonché il 9 aprile, “Politico”, una pubblicazione online Usa di tutto rispetto, “intercetta” una email definita “Prospectus” e inviata ai membri del “board” e dello “staff” da uno storico personaggio: Joe Green, uno dei compagni di stanza di Zuckerberg ad Harvard. Una volta “intercettato”, aggiunge Glauco Benigni, il testo appare ridondante di affermazioni incaute: i Joe Greenboss digitali Bill Gates (Microsoft) e Marc Andreessen (Mosaic e Netscape) sarebbero entrati a tutto tondo nella partita.
Altra affermazione rilevante – e smentita – è il nome dell’operazione, che secondo Joe Green doveva essere “Human Capital”. Il gruppone degli aderenti all’operazione, forse bruciata nella sua versione iniziale dalla “manina” che ha messo in piazza quella email, secondo Green era composto dal fondatore di Netflix Reed Hasting, dal creatore di Twitter Jack Dorsey, dal cofondatore di Linkedin Reid Hoffman, più altri boss di Dropbox, Kynga, Instagram e alcuni venture capitalists, probabilmente pronti a sostenere l’operazione con bei soldini. I semi dell’iniziativa, secondo “Politico”, sarebbero stati gettati la scorsa estate nel corso di un incontro dei boss della tech industry, durante il quale i presenti avrebbero invocato la formazione di una rappresentanza per difendere la loro visione industriale e politica. Qualcosa di simile alla Motion Pictures Jack DorseyAssociation, il cartello delle major hollywoodiane, o addirittura al super-cartello farmaceutico Big Pharma.
A questo punto, aggiunge l’analista di “Megachip”, c’è da dire che – nei confronti delle proposte Facebook per l’immigrazione – altri boss digitali avrebbero piani diversi: tra questi Eric Schmidt di Google e i vertici di Intel, Oracle e Cisco. «Esiste dunque un altro fronte che, al momento, non ha assunto posizione pubblica». In una sezione del “Prospectus”, definita “il nostro assetto tattico”, Green si concedeva infine toni da Big Brother, con frasi che sembrano incitazioni ad assumere il controllo delle “avenues” della distribuzione. Tra queste: «Il popolo della tecnologia può essere organizzato in una delle forze politiche più potenti», come dimostrato dal Sopa / Pipa, il grande black out della Rete Eric Schmidtavvenuto il 21 febbraio 2012 per protestare contro la votazione del Parlamento Usa sui provvedimenti a favore del copyright.
«La nostra voce ha un gran peso perché siamo popolari», dice Green. «Tra noi c’è gente con un sacco di denaro, e questo può avere una grande influenza nell’attuale campagna di finanziamento». Insomma, la faccenda sembra essere un bel campo di battaglia del futuro, osserva Glauco Benigni: «Oltre al braccio di ferro con la finanza e con le banche, i governi – primo fra tutti quello Usa – dovranno fare i conti con i nuovi poteri digitali e con le loro spesso agguerrite comunità». Lo scontro non è più limitato al grande fronte “copyright – no copyright” ma si estende a due settori chiave per il controllo dell’umanità di oggi e soprattutto di domani: «Le migrazioni di individui e la gestione delle menti, la cosiddetta educazione». Di questo, fra un Tweet e l’altro, si stanno occupando i miliardari del web.

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