spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

mercoledì 24 luglio 2013

I VERI SINTOMI DI MALESSERE DELL'EUROZONA

IL DEBITO PUBBLICO E’ SOLO UN SINTOMO DEI MALI DELL’EUROZONA.


di Gianluca Dipierri, 24.07.2013















Ancora tristi record negativi per l’Italia.
Nel primo trimestre 2013 il rapporto debito/Pil dell’Italia tocca quota 130% contro il 127% dell’ultimo trimestre 2012 e il 123,8% del primo trimestre dello scorso anno. Un dato che sicuramente fa temere per la stabilità e tenuta dei conti pubblici soprattutto per il futuro a causa del prolungarsi della recessione, ma che rappresenta solo un modo catturare l’attenzione ancora una volta su un sintomo e non sulle vere cause dei mali dell’eurozona.

 Le riforme attuate dal governo Monti hanno agito sul sintomo (il debito pubblico) e sono costate all’Italia lo scorso anno circa il 10% di rapporto debito/Pil e una flessione del Pil del 2,5%. Ma sembra che nulla è cambiato perché il governo Letta ha annunciato già dal suo insediamento il rispetto del tetto del 3% sul rapporto deficit/Pil tenendo fede a quanto stabilito a Bruxelles.


Nonostante le misure di austerità portate avanti dai governi dei Piigs sotto incalzante pressione della Troika, le cose non stanno migliorando perché gli squilibri strutturali all’origine della crisi dell’eurozona sono tutt’ora presenti. Che il problema non fosse il debito pubblico questo era chiaro già a molti economisti (De Grauwe, Krugman, Roubini, Bagnai ecc.) quindi resta sorprendente il fatto che si continui a puntare il dito contro il debito pubblico come causa della crisi dell’eurozona.
In realtà il rapporto debito pubblico/Pil stava scendendo (o rimanendo costante) in tutti i Paesi periferici dell’Eurozona. Il debito pubblico/Pil in aggregato è sceso dal 72% del 1997 a 67% del 2007. Quindi è chiaro che nel periodo precedente alla crisi il rapporto debito/Pil stava scendendo anziché salire. Nello stesso periodo il debito privato verso creditori esteri è salito vertiginosamente in tutti i Piigs. Il tutto è stato favorito dall’adozione della moneta unica e dalla deregolamentazione dei mercati dei capitali.
Questa è spiegazione principale del perché Paesi come la Spagna e l’Irlanda con un debito/Pil bassissimo (rispettivamente 36% e 25%) sono stati i primi ad avere problemi mentre solo in un secondo momento è stata la vota della Grecia. Ovviamente la causa dei loro problemi (come quelli dell’Italia anche se in misura minore) è da ricercare nell’elevato accumulo di debito privato verso l’estero (soprattutto verso la Germania).

Infatti il debito privato nel periodo 1999-2007 ha raggiunto complessivamente circa il 100% del Pil in entrambi i Paesi, mentre la parte di debito estero ha raggiunto nello stesso periodo il 60% in Irlanda e il 40% del Pil in Spagna. Ma come è potuto succedere questo? Dall’adozione della moneta unica i Piigs hanno registrato costantemente un notevole deficit nelle partite correnti che è stato finanziato da debito estero. Favorito tutto ciò dall’adozione della moneta unica che azzera il rischio di cambio e favorisce i movimenti di capitale, i Paesi centrali (in primis Germania) dell’eurozona hanno provveduto a finanziare tali deficit con i surplus commerciali accumulati negli anni. Ma come hanno fatto i Paesi centrali ad accumulare questi surplus? La risposta a questa domanda è contenuta nel cd ciclo di Frenkel. Roberto Frenkel ha studiato le crisi finanziare degli ultimi anni (Argentina, Russia, Eurozona ecc.) ed ha trovato un tratto comune a tutte queste crisi: l’adozione di un tasso di cambio rigido (nel nostro caso una moneta unica) e la deregolamentazione dei mercati dei capitali. L’adozione di un tasso di cambio fisso rende “credibile” il Paese periferico ed iniziano così i grandi afflussi di capitale verso il settore privato che offre rendimenti migliori rispetto al centro. Il grande afflusso di capitali verso il paese periferico comporta un aumento considerevole nell’erogazione dei crediti seguito da un abbassamento dei tassi d’interesse. La facilità di accesso al credito favorisce l’aumento dell’occupazione e del prodotto. Tutto questo fa poi registrare un aumento del tasso d’inflazione rispetto al paese centrale.

 Il problema sorge proprio a questo punto per i Paesi periferici. Infatti con un cambio rigido (o una moneta unica nel nostro caso) i differenziali di inflazione rappresentato un apprezzamento dei beni e servizi dei Paesi periferici (rivalutazione reale) e un conseguente deprezzamento dei beni e servizi dei paesi centrali (svalutazione reale) con una conseguente perdita
di competitività dei Paesi periferici che iniziano a registrare deficit nelle partite correnti finanziati da ulteriori afflussi di capitale. Nel caso dell’eurozona a favorire la perdita di competitività dei Piigs sono state anche le riforme del mercato del lavoro in Germania che hanno portato ad una moderazione salariale ed un ulteriore abbassamenti dei prezzi rispetto alla periferia generando così ulteriori differenziali di inflazione tra centro e periferia. Ad un certo punto ci si rende conto che il tasso di cambio fisso non è più credibile.

 Per questo motivo gli investitori iniziano a ridurre la propria esposizione agli asset a rischio svalutazione causando il cosiddetto sudden-stop (uno stop improvviso). I Paesi centrali chiudono i rubinetti dei prestiti alla periferia. Per continuare ad attirare capitali, si iniziano ad alzare i tassi di interesse (nel caso dell’eurozona esplosione degli Spread), ma ovviamente si tratta di una situazione che non può reggere a lungo perché il cambio insostenibile è destinato alla rottura e conseguente svalutazione. Questo è quello che la storia e la teoria economica insegnano. Questo è successo nel ’92 in Italia con lo SME, questo è quello che è successo in Argentina con l’aggancio valutario del pesos al dollaro nel ’91 e conseguente crisi finanziaria del 2001. Si continua a mascherare quello che è il vero problema all’origine della crisi e puntare il dito contro il debito pubblico che in questa circostanza c’entra davvero poco. Come i dati dimostrano, non è la causa della crisi dell’eurozona ma solo il sintomo.

 La causa è da ricercare nell’esplosione del debito estero che ha finanziato i settori privati. Solo in un secondo momento gli effetti della crisi del settore privato si sono manifestati sul debito pubblico. Infatti lo Stato è intervenuto per sostenere il settore privato attraverso gli ammortizzatori sociali (sussidi di disoccupazione, cassa integrazione ecc.) e attraverso il sostegno alle banche andate in crisi (vedi Monte Paschi di Siena e i Monti Bond) “pubblicizzando” così parte del debito privato. Inoltre ad aggravare la situazione dei conti pubblici sono stati i vari versamenti al fondi salva stati EFSM (European Financial stability mechanism) ed ESM (European stability mechanism) insieme alla flessione del Pil che ha generato minor gettito per le casse dello Stato. Ma si sa lo Stato è più grosso ed è il nemico ideologico per eccellenza degli “spaghetti-liberali” ed è facile attribuire la colpa allo Stato “brutto e cattivo”. In Italia il tutto è alimentato dai vari scandali che negli ultimi hanno coinvolto il mondo della politica relativamente alle storie dei rimborsi elettorali e i rimborsi spese di cui hanno abusato i vari onorevoli.

Quindi è facile per i vari giornalisti e commentatori inculcare alla gente che la causa della crisi è da attribuire ai costi della politica elevati, gli sprechi, la corruzione e dell’evasione fiscale ecc. Questo non significa che l’Italia deve essere sprecona, corrotta e che i costi della politica non dovrebbero essere ridotti ma è necessario risolvere prima gli squilibri a monte nell’eurozona altrimenti ogni azione finalizzata a migliorare l’efficienza della spesa pubblica non risolverà il problema strutturale che ha causato tale crisi. Ovviamente c’è poco da essere ottimisti perchè la crisi dell’eurozona è tutt’altro che superata. L’ottimismo che regna nel governo serve solo a prendere tempo e a mascherare la nostra reale situazione.



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