spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

venerdì 26 luglio 2013

GIORGIO NAPOLITANO

Dove sono le alternative a questo governo?


di Giorgio Napolitano, dal Corriere della Sera, 24 luglio 2013











Gentile Direttore, la «lunga consuetudine» e il reciproco rispetto consentono anche a me un discorso schietto e amichevole in risposta alle domande rivoltemi, attraverso il Corriere, da Fausto Bertinotti. O meglio alla domanda essenziale e più attuale, non potendo raccogliere il vasto arco di valutazioni e questioni, storiche o ideologiche, toccate, in ambiziosa sintesi, nella «lettera aperta». La domanda, posta in termini stringenti, riguarda quel che il presidente della Repubblica «non può». Ed è in effetti molto quel che egli non può, sulla base del ruolo e dei poteri attribuitigli dalla Costituzione repubblicana. Ne sono ben consapevole, essendomi attenuto rigorosamente a quel modello, negli ultimi mesi come sempre nel settennato trascorso: a partire da quegli anni 2006-2007 quando con l’allora presidente della Camera collaborammo strettamente e in piena sintonia istituzionale. Non posso certo «congelare» né «blindare» (termini, entrambi, di fantasia o di polemica a effetto) un governo ancor fresco di nomina — nemmeno tre mesi— che è, scrive Bertinotti, solo «una delle possibili soluzioni al problema del governo del Paese».

Ma c’è bisogno di ricordare l’insuccesso del tentativo dell’on. Bersani, che ebbe da me, dopo le elezioni di febbraio, l’incarico, senza alcun vincolo o limite, di esplorare la possibilità di una maggioranza parlamentare diversa da quella che è stata poi posta a base del governo dell’on. Letta? E i successivi e più recenti sviluppi politici hanno forse fatto delineare quella possibilità di cui l’on. Bersani dovette registrare l’insussistenza? Comunque, nessun «congelamento» ovvero «impedimento» — parole grosse —«alla libera dialettica democratica». Il Parlamento è libero, in ogni momento, di votare la sfiducia al governo Letta. Ma il presidente ha il dovere di mettere in guardia il Paese e le forze politiche rispetto ai rischi e contraccolpi assai gravi, in primo luogo sotto il profilo economico e sociale, che un’ulteriore destabilizzazione e incertezza del quadro politico-istituzionale comporterebbe per l’Italia.

So bene che «in caso di crisi», resta «il ricorso al voto popolare» e che da qualche parte si confida nella possibilità «di dare vita» così «a un’alternativa di governo». Ma di azzardi la democrazia italiana ne ha vissuti già troppi. Dovetti io stesso sciogliere le Camere nel febbraio 2008, prendendo atto dello sfaldamento di una maggioranza che si presumeva «omogenea» e dell’inesistenza, allo stato, di una diversa maggioranza di governo. E dovetti penare per evitare lo scioglimento delle Camere nel novembre 2011 e — all’indomani dell’insediamento del nuovo Parlamento —nella primavera del 2013. Si comprenderà che da presidente —guardando anche a decenni di vita repubblicana— io consideri il frequente e facile ricorso a elezioni politiche anticipate come una delle più dannose patologie italiane.


(24 luglio 2013)

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