spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

mercoledì 17 luglio 2013

l’età del petrolio non è ancora finita.

Shale gas e rivoluzione energetica: l’età del petrolio non è ancora finita.


di Angelantonio Rosato

Gli idrocarburi non convenzionali stanno stravolgendo il mercato energetico. L’emisfero occidentale (Stati Uniti in testa) diventerà l'Eden petrolifero e gasifero del XXI secolo, con gravi conseguenze per Medio Oriente e Russia.


[Carta di Laura Canali]
Come sta cambiando il quadro energetico mondiale?
 C’è un continente che sta rapidamente diventando l’eldorado dei cercatori di petrolio e gas di oggi e di domani. Quale? L’America.

La vera novità del XXI secolo è l’American energy revolution, ossia la rivoluzione energetica dello shale gas (gas da scisti bituminosi) e del tight oil (petrolio da scisti bituminosi) nel continente americano; rivoluzione che sta provocando l’immissione massiccia sul mercato di idrocarburi non convenzionali, spesso a prezzi competitivi.

Oggi lo shale gas rappresenta già circa il 25% dell’offerta di gas naturale negli Usa e secondo le previsioni potrebbe raggiungere il 50% entro il 2030. Migliaia di nuovi pozzi di gas sono stati scavati in Pennsylvania, Texas e Oklahoma. Altri seguiranno a breve.

In realtà, la rivoluzione energetica americana non riguarda solo lo shale gas, ma anche il petrolio non convenzionale. È in corso un vero e proprio boom nella produzione ditight oil in North Dakota. La Bakken/Three Forks, una tight oil formation che si estende tra il North Dakota ed il Montana, come potenziale produttivo potrebbe diventare l’equivalente di un grande paese del Golfo Persico all’interno degli Stati Uniti.

E siamo solo all’inizio. Quello che ci attende è una rilevante de-convenzionalizzazione dell’offerta petrolifera internazionale, soprattutto di quella proveniente dal continente americano. Nei prossimi decenni, vedremo crescere in misura esponenziale la quantità di quelli che vengono definiti unconventional oil, ovvero tight oil dagli Usa, petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, extra-heavy oil dal Venezuela, e pre-salt oil dal Brasile.

Le novità non arrivano solo dall’America e dal petrolio: lo scorso 12 marzo il ministero dell’Economia del Giappone ha ufficialmente reso pubblica la prima estrazione sottomarina (Mare di Honshu) di gas ricavato da cristalli congelati di idrato di metano. Le riserve potenziali di quello che viene comunemente chiamato "ghiaccio che brucia" sono immense: le stime oscillano tra i 16 e i 27 mila miliardi di metri cubi.

Ma c’è dell’altro: sotto i nostri occhi sta avvenendo contemporaneamente anche unoil boom convenzionale. La produzione dai tradizionali giacimenti sta crescendo in tutto il mondo a ritmi inaspettati.

Sommando gli effetti della crescita della produzione petrolifera convenzionale e non, appare che “quattro paesi mostrano il più alto potenziale in termini di effective production capacity growth (crescita della capacità di produzione effettiva): essi sono nell’ordine Iraq, Usa, Canada, e Brasile. Questa è una notizia perché tre su quattro di tali paesi si trovano nell’emisfero occidentale, e solo uno - l’Iraq - appartiene al tradizionale centro di gravità del mondo petrolifero, il Golfo Persico. Il più sorprendente fattore del quadro globale, tuttavia, è l’esplosione della produzione petrolifera degli Usa”. (1)

Il petrolio non sta per finire, come molti pensano e troppi predicano; anzi l’emisfero occidentale (Stati Uniti in testa) sta diventando il nuovo Eden petrolifero e gasifero del XXI secolo. Questo oil revival avviene grazie ai massicci investimenti nella produzione ed esplorazione del petrolio e del gas effettuati a partire dal 2003 e che hanno raggiunto il loro climax a partire dal 2010, con un ciclo di tre anni del valore di oltre 1,5 trilioni di dollari.

In particolare gli Usa potrebbero arrivare a produrre, entro il 2020, 11,6 milioni di barili/giorno di greggio e Ngls (Natural Gas Liquids), diventando il secondo più grande produttore petrolifero mondiale dopo l’Arabia Saudita. Inoltre, secondo l’Iea (International Energy Agency), per quella stessa data gli Usa diventeranno esportatori netti di metano, e a partire dal 2035 potrebbero addirittura raggiungere il tanto agognato traguardo dell’energy independence.

Questo avrebbe ripercussioni geopolitiche importanti, per esempio sui paesi del Medio Oriente e sulla Federazione Russa, che rischiano seriamente di perdere la loro posizione di preminenza come produttori e soprattutto come esportatori di idrocarburi.

In verità, ciò sta già accadendo per quanto concerne Mosca: l’anno scorso Gazprom (monopolista del gas russo) ha assistito inerme ad un declino dei suoi profitti pari al 15% (6,5 miliardi di dollari) e a una diminuzione delle sue esportazioni verso i paesi dell'Unione Europea del 9% (2). Da notare che Gazprom realizza da sola il 10% dei ricavi derivanti da esportazioni di tutta la Federazione.

Alla base sia della rivoluzione energetica dello shale gas sia del boom produttivo convenzionale c'è la tecnoscienza, ossia la Technological Revolution. Nel caso specifico l’avvento delle più efficaci, raffinate e soprattutto economiche tecnologie di ricerca geologica, sviluppo e produzione applicate ai giacimenti, sia convenzionali sia non convenzionali.

In particolare, l’utilizzo combinato di due tecnologie - horizontal drilling ehydrofracking - all’inizio pensate soprattutto per lo sfruttamento dei pozzi non convenzionali, si sta ora diffondendo anche allo sviluppo dei giacimenti convenzionali, con l’effetto di aumentare la redditività di pozzi già maturi, magari considerati già in via di esaurimento. Con tali tecnologie si prolunga di fatto la vita dei giacimenti e più in generale si accrescono le riserve disponibili di petrolio, senza bisogno di scavare nuovi pozzi.

Tuttavia, il mero calcolo algebrico della differenza tra consumo di greggio e riserve attualmente disponibili non ci aiuta a fare previsioni sul futuro del petrolio. La questione è più complessa perché entra in gioco il fattore Ricerca&Sviluppo, ovvero le innovazioni tecnologiche applicate a ricerca, produzione e consumo del greggio.

Non sono solo le scoperte di nuovi pozzi ad aumentare la quantità di idrocarburi disponibili; un ruolo fondamentale è giocato dalle nuove tecniche estrattive e dall’incessante progresso tecnologico che agiscono come un moltiplicatore di disponibilità nei confronti dei giacimenti già conosciuti, accrescendo continuamente la loro redditività. Da notare che il tasso di recupero dai giacimenti tradizionali non supera attualmente il 35% del petrolio ivi presente; ossia è teoricamente possibile recuperare dai pozzi già esistenti un ulteriore 65%, poco meno del doppio di quanto si estrae oggi, il che vorrebbe dire quasi raddoppiare le riserve disponibili.

Comunque vada, l’innovazione tecnologica accrescerà in maniera significativa le riserve disponibili, anche se nessun nuovo pozzo venisse scoperto negli anni a venire. Ciò tuttavia è alquanto improbabile considerando le dimensioni del pianeta e la presenza di aree molto promettenti e ancora in gran parte inesplorate come l’Artico, che sta diventando sempre più accessibile a causa del riscaldamento globale.

Insomma, l’era del petrolio potrebbe essere ben lungi dal finire, malgrado i luoghi comuni. È bene sottolineare che il petrolio non serve solo per fare la benzina, ma anche per produrre plastiche di ogni genere, presenti nella maggior parte degli oggetti che usiamo abitualmente, dai tablet alla carrozzeria dei ciclomotori.

L’utilizzo massiccio del greggio da parte dell’uomo potrebbe durare ancora a lungo, a meno che nel frattempo non si trovi qualcosa di meglio.

Negli anni Novanta l’ex ministro del Petrolio saudita, Zaki Yamani, ammonì i rappresentanti degli altri petro-Stati con queste parole: “l’età della pietra non è finita perchè sono finite le pietre”.

Quello che il ministro intendeva è che lo stesso sarà per gli idrocarburi: smetteremo di utilizzarli non quando saranno finiti, ma perché avremo trovato una forma di energia più affidabile, economica, abbondante ed ecologica.

Nel frattempo probabilmente assisteremo ad una lunga fase di transizione in cui idrocarburi, rinnovabili e altre forme di energia convivranno insieme.

Pertanto, quando potremo finalmente abbandonare il petrolio come fecero i nostri antenati con le pietre? Non conosciamo la risposta, ma forse vale la pena ricordare che il Medio Evo, considerato una fase storica di transizione, durò circa mille anni.

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