spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

giovedì 25 luglio 2013

UN ANALISI TECNICA ECONOMICA SUL VANTAGGIO DELL'ITALIA DI USCIRE DALL'EURO.

“Impatto economico dell’uscita dall’euro dei paesi sud europei” secondo la Bertelsmann Stiftung: l’Italia possibile artefice del crollo economico mondiale?


Si vuole analizzare un interessante documento pubblicato dal Bertelsmann Stiftung, eminente think tank tedesco, relativamente ai supposti effetti legati ad un’uscita selettiva dall’euro.
 Il documento si intitola “Economic impact of Southern European member states exiting the eurozone”, del Giugno 2012. Secondo l’autore, tale documento non ha avuto l’eco che meritava, soprattutto in relazione ai contenuti espressi, che si ritiene molto “forzati” per quanto riguarda il coinvolgimento dell’Italia, oltre che per le conseguenze di una interpretazione acritica  dei risultati proposti. Tale documento va letto congiuntamente con il più conosciuto “twin paper” della stessa fonte del Gennaio 2013, in cui si dà conto di come il vantaggio competitivo accumulato dalla Germania negli ultimi 12/13 anni sia ascrivibile in buona parte – sebbene non completamente – all’adozione della moneta unica (“How Germany Benefits from the Euro in Economic Terms”).
Se è permessa una considerazione personale, il fatto che un soggetto tedesco di tale importanza stigmatizzi pubblicamente aspetti economici che vanno decisamente contro gli interessi nazionali (tedeschi) giustifica – almeno in parte – la posizione di leadership che la Germania ha oggi in Europa. Poi, merita andare nei dettagli per smontare, se è il caso, come in effetti riteniamo, la tesi.
In buona sostanza, sembra emergere da un lato una chiara convenienza tedesca alla presenza dell’euro come moneta regionale unica e comune, con indubbi vantaggi accumulati dalla Germania. Dall’altra viene fatta una valutazione sui costi associati all’uscita dall’Euro – vari scenari – con dettaglio di costo a livello dei principali Paesi mondiali.
La cosa che stupisce sembra essere che l’uscita dei paesi periferici dall’Euro inclusa l’Italia determinerebbe quasi un collasso dell’economia globale, con un danno non solo della Germania ma anche degli Stati Uniti, Giappone, mercati emergenti etc. nell’ordine di svariate migliaia di miliardi di EUR (trillions, più di 17).
Il messaggio è forte, apparentemente al limite di ogni basilare criterio di ragionevolezza: ma come può essere che tutti i paesi mondiali debbano subire un tale danno in relazione ad un evento che, in termini di lontananza politico/economica, può essere abbastanza scorrelato che so, ad una economia messicana piuttosto che coreana? E, aggiungo, come è possibile che nessuno ci guadagni da un tale evento? Dunque, si tratterebbe di un caso più unico che raro, un evento che porta danno a tutti e vantaggio a nessuno…  Comincia a sorgere qualche dubbio, ritengo, o quanto meno sembra necessario un approfondimento.
Rileggendo il documento, notiamo che si tratta semplicemente dell’applicazione di un modello tipo ”black box”, di cui non vengono forniti ulteriori dettagli. Ossia, le conclusioni derivano dall’applicazione di un modello econometrico che per definizione si basa su certezze modellistiche, e che per propria natura non si possono ritenere facilmente estendibili a percorsi assolutamente non convenzionali quale può essere un evento traumatico ed irripetibile quale l’uscita dalla moneta unica.
 Le conseguenze sembrano inoltre differire rispetto ad esperienze passate di rottura di “peg” e/o svalutazioni puntuali, leggasi Argentina 2001 o Thailandia 1998, situazioni in cui il paese svalutante ha avuto un’evoluzione assai positiva in termini di crescita a valle di detto evento.
Dunque, riteniamo che il documento possa essere considerato come pervaso da un forma quasi patologica di “conventional wisdom” di gailbraithiana memoria, per altro dimenticando l’evoluzione degli eventi recenti quali gli ormai evidenti e riconosciuti danni causati da decisioni errate suggerite da una delle fonti principali di saggezza convenzionale come l’FMI (memento, il moltiplicatore fiscale maggiore di uno nel recente caso Grecia, quando invece era stimato attorno a zero virgola cinque), oltre che dalla stessa UE con un eccessivo richiamo al rigore (tacendo il fatto che l’austerity causa una riduzione di consumi e quindi riduzione del GDP potenzialmente in misura maggiore della riduzione del debito, come è successo e sta succedendo in Grecia, Spagna, Italia…).
Ma è la dimensione del danno stimato che stupisce: a stare dietro alle valutazioni fatte dal Bertelsmann Stiftung stiamo parlando di un danno cumulato associato a detto evento – italia inclusa, caso GPSI exit – fino al 2020 di oltre 17 mila  miliardi di EUR! Ossia l’equivalente del prodotto interno lordo italiano cumulato di una decina di anni!.
In questo contesto, chiaramente dissuasivo – e ci mancherebbe fosse altrimenti, vista la fonte tedesca, chiaramente al centro di un evidente conflitto di interesse nazional/strategico -, è chiaro che se le dimensioni del danno non vengono contestualizzate e/o corrette per il tramite di opportune ed approfondite analisi, tutti gli Stati coinvolti in tale ipotetico danno planetario faranno di tutto per evitare l’evento. Ossia, sarebbe utile un’attenta analisi e verifica dei numeri in esso contenuti, anche alla luce delle numerose evidenze ben contestualizzate relative agli effetti di un’eventuale uscita dalla moneta unica presentate in questo sito. Il prof. Brunetta è avvertito.
Dunque, visti i contenuti dello studio proposto, gli effetti attesi possono essere riassunti in pochi concetti: da una parte ben si spiega il poco o nullo supporto che proviene da oltreoceano ad eventuali riconsiderazioni dell’euro attuale, in primis dalla corrente amministrazione USA, nonostante le non velate critiche di stimatissimi e numerosissimi autori i quali non perdono l’occasione per stigmatizzare come la moneta comune nella struttura attuale non funzioni (la lista dei detrattori è impressionante!). Dall’altra, senza un’opportuna rivisitazione dei risultati pubblicati da studi come quello preso in considerazione appare evidente come l’Europa germano centrica stessa utilizzi analisi siffatte per giustificare lo status quo, dimenticando che molto probabilmente si sta andando non proprio nella direzione paventata dal Trattato di Roma, quanto meno nei passi in cui viene fissato l’obiettivo di una crescita omogenea nei vari Paesi. 

E’ quindi essenziale che vengano valutati correttamente ed in dettaglio – oltre che nelle sedi istituzionali opportune – gli effetti di un’eventuale uscita dei Paesi euro periferici dalla moneta unica, essendo tale passo propedeutico ad una successiva uscita (ma solo in assenza di un reale ammorbidimento delle posizioni nord europee, ndr).  E’ chiaro che, facendo ad esempio riferimento ad altri studi pubblicati su scenarieconomici.it, se gestita opportunamente l’uscita dall’euro genererebbe una ripresa nei paesi europerificerici, ma limitatamente a quelli che possano vantare una base industriale e manifatturiera che permetta di sfruttare il vantaggio competitivo derivante da una forte svalutazione valutaria. In tale contesto l’Italia sembra essere l’unico Paese effettivamente in grado di trarne vantaggio – principalmente a danno dei competitors del nord Europa -, caso unico tra i paesi euro periferici. Più in dettaglio, facendo la rima ad un articolo apparso recentemente sulle principali testate giornalistiche in cui si additava all’Italia una bassa competitività anche a causa degli alti costi dell’energia , è bene ricordare come una svalutazione valutaria avrebbe anche un vantaggio competitivo a livello dei costi energetici da fonte rinnovabile: infatti ad oggi le rinnovabili italiane – fino al oltre il 48% in termini di potenza di punta disponibile in rapporto alla domanda massima – sono sovvenzionate da incentivi a valore fisso che, in un contesto di svalutazione valutaria permetterebbero una forte erosione del costo annuo ad oggi sostenuto dalla collettività rispetto ai competitors stranieri. Ossia, svalutazione con conseguente inflazione uguale incremento di competitività sistemica in termini di minor costo energetico per le energie rinnovabili, a compensazione di un eventuale maggior costo per le energie convenzionali dato dal probabile incremento del costo del petrolio.
Se aggiungiamo il fatto che, legalmente, l’Italia sembra l’unico Paese ad avere uno stock di debito pubblico legalmente denominato nella valuta nazionale – ossia facilmente riconvertibile in euro – si capisce bene il perché sia l’Italia l’unico paese a fare veramente paura all’Europa attuale. O, detta in altro modo, potrebbe emergere che i Paesi periferici servono più all’Europa germanocentrica – per via di svalutazione implicita dell’euro attuale data dalla presenza dei paesi periferici rispetto a quello che sarebbe un ipotetico marco in un Europa senza di essi – di quello che l’Europa serva ai paesi oggi in crisi, di fatto lasciati andare alla deriva (leggasi miseria) dalle istituzione (nord)europee.




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