spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

lunedì 3 giugno 2013

I pericoli della riduzione del deficit, nelle teorie economiche c'è una grande confusione





Joseph E. Stiglitz: I pericoli della riduzione del deficit


















New York – Un’ondata di austerità fiscale è in corso in Europa ed in America. L’entità dei deficit di bilancio – come l’entità della crisi – ha preso molti di sorpresa. Ma nonostante le proteste di ieri dei sostenitori della deregolamentazione, che vorrebbero il governo rimanesse passivo, la maggior parte degli economisti ritiene che la spesa pubblica abbia fatto la differenza nel contribuire a prevenire un’altra Grande Depressione. Molti economisti concordano inoltre che si tratti di un errore guardare il bilancio solo da un lato (sia per il settore pubblico che privato). Non si deve guardare solo a ciò che un paese o un’azienda devono, ma anche al loro patrimonio. Questo dovrebbe aiutare nel rispondere a quei falchi del settore finanziario che stanno sollevando allarme circa la spesa pubblica. Dopo tutto, anche i falchi del deficit riconoscono che non dovremmo concentrarci sul deficit di oggi, bensì sul debito pubblico a lungo termine. La spesa, soprattutto quella per investimenti in istruzione, tecnologia e infrastrutture, può effettivamente portare ad abbassare il deficit nel lungo termine. La miopia delle banche ha contribuito a creare la crisi; non possiamo lasciare che pure il governo sia miope – pungolato dal settore finanziario – e prolunghi questa crisi. Una crescita più rapida ed un rendimento dell’investimento pubblico producono maggiori entrate fiscali, ed un cinque sei per cento di ritorno è più che sufficiente per compensare gli aumenti temporanei del debito nazionale. Un’analisi costi-benefici sociali (tenendo conto dei diversi impatti sul bilancio) rende tali spese, anche quando finanziate con debito, anche più attraenti. Infine, la maggior parte degli economisti concordano sul fatto che, a parte queste considerazioni, le dimensioni appropriate di un deficit dipendono in parte dallo stato dell’economia. Un’economia debole richiede un maggiore disavanzo, quindi la dimensione appropriata del deficit, a fronte di una recessione, dipende dalle circostanze precise. E’ qui che gli economisti non sono d’accordo. La previsione è sempre difficile, ma specialmente in tempi difficili. Ciò che è successo è (fortunatamente) un fatto non quotidiano; sarebbe sciocco guardare alle riprese del passato per prevedere questa. In America, per esempio, cattivi debiti e pignoramenti sono a livelli mai visti per tre quarti di secolo; anche il declino del credito in confronto alla Grande Depressione è ingannevole, perché oggi l’economia è molto diversa, in molte cose. E quasi tutti i cosiddetti esperti si sono dimostrati altamente fallibili – testimoni della lugubre previsione record della Federal Reserve degli Stati Uniti prima della crisi. Eppure, anche con forti disavanzi, la crescita economica negli Stati Uniti ed in Europa è anemica, mentre le previsioni di crescita del settore privato suggeriscono che in assenza di un sostegno continuo del governo, vi è il rischio di una continua stagnazione – di una crescita troppo debole per far tornare la disoccupazione a livelli normali in tempi brevi. I rischi sono asimmetrici: se queste previsioni sono sbagliate e vi è una ripresa più robusta, naturalmente, le spese poi possono essere tagliate e/o le tasse aumentate. Ma se queste previsioni sono giuste, una prematura “uscita” dai rischi della spesa a deficit spingono l’economia verso la recessione. Questa è una delle lezioni che dovremmo avere imparato dall’esperienza americana della Grande Depressione; ma è anche la lezione che emergere dall’esperienza del Giappone alla fine degli anni ‘90. Questi punti riguardano particolarmente le economie più colpite. Il Regno Unito, per esempio, ha avuto tempi più difficili rispetto ad altri paesi per una ragione ovvia: ha avuto una bolla immobiliare (anche se di impatto minore rispetto alla Spagna) e la finanza, che è stata l’epicentro della crisi, svolgeva un più ruolo importante nella sua economia di quanto non facesse in altri paesi. Nel Regno Unito la performance più debole non è il risultato di politiche peggiori, anzi, rispetto agli Stati Uniti, i suoi salvataggi bancari e le politiche per il mercato del lavoro sono state, per molti versi, di gran lunga migliori. Si è evitato l’enorme spreco di risorse umane associato all’alto tasso di disoccupazione che c’è in America, dove quasi una persona su cinque che vorrebbe un lavoro a tempo pieno non riesce a trovarlo. Come l’economia globale torna alla crescita, i governi dovrebbero, ovviamente, avere sul “tavolo da disegno” piani per aumentare le tasse e tagliare le spese. Il giusto equilibrio sarà inevitabilmente oggetto di controversia. Principi come “è meglio tassare le cose cattive che le cose buone” potrebbero suggerire di imporre tasse ambientali. Il settore finanziario ha imposto enormi esternalità sul resto della società. Il settore finanziario dell’America ha inquinato il mondo con mutui tossici, e, in linea con il ben stabilito “chi inquina paga”, delle tasse dovrebbero essere imposte su di esso. Inoltre, tasse ben progettate sul settore finanziario potrebbero aiutare ad alleviare i problemi causati da un eccessivo indebitamento delle banche che sono troppo grandi per fallire. Le tasse sulle attività speculative potrebbero incoraggiare le banche a prestare maggiore attenzione sul come eseguire il loro fondamentale ruolo sociale di fornire credito. Nel lungo periodo, la maggior parte degli economisti concordano sul fatto che i governi, in particolare nei paesi industriali avanzati, con l’invecchiamento delle popolazioni, dovrebbero essere preoccupati per la sostenibilità delle loro politiche. Ma dobbiamo diffidare del feticismo del deficit. I deficit per finanziare guerre oppure a favore del settore finanziario (come successo su vasta scala negli Stati Uniti) portano a passività senza attività corrispondenti, imponendo un onere per le generazioni future. Ma gli investimenti pubblici ad alto rendimento oltre che pagare per se stessi possono effettivamente migliorare il benessere delle generazioni future e sarebbe quindi doppiamente stupido imporre a loro carico debiti da spesa improduttiva, tagliando quindi investimenti produttivi. Queste sono domande per un giorno futuro – a almeno in molti paesi, le prospettive di una robusta ripresa sono, nella migliore delle ipotesi, ad un anno o due di distanza da ora. Per adesso l’economia è chiara: la riduzione della spesa pubblica è un rischio che non vale la pena correre.

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