spirito critico

PENSATOIO DI IDEE

martedì 2 luglio 2013

ASSEDIO ALL'ITALIA LAICA, UN RIPENSAMENTO CULTURALE DELLA LAICITA' DELLO STATO

Il “superpartito di Dio” e l’assedio all’Italia laica



Complice il "do ut des" con i governi dell’ultimo ventennio, l’ombra nera delle gerarchie cattoliche continua ad oscurare l’Italia della Costituzione, laica e repubblicana. Quella per la laicità è dunque una battaglia urgente e inderogabile, culturalmente e politicamente. Una anticipazione dal nuovo libro di Michele Martelli, "Il laico impertinente. Laicità e democrazia nella crisi italiana", in questi giorni in libreria per Manifestolibri.

di Michele Martelli

Senza la laicità la democrazia
è una scatola vuota

1. L’Italia fin dal secondo dopoguerra è stata una e trina. Da stupirsi che sia rimasta una, pur essendo trina. Prima c’era l’Italia clerical-vaticana, democristiana, maggioritaria, quella social-comunista e quella liberal-radicale, combattiva sui temi della laicità, ma organizzativamente frammentata e ultra-minoritaria. Dopo il crollo, per incapacità di autorinnovarsi, del Pci, e la scomparsa del Psi craxiano, travolto da Tangentopoli insieme alla Dc andreottiana, le vecchie carte si sono scombinate ed è sorta una nuova tripartizione: all’Italia clerical-vaticana, pur pesantemente sconfitta nei referendum su divorzio e aborto, ma già di nuovo all’offensiva sui temi bioetici, e all’Italia laica, che, nonostante le vittorie referendarie, è rimasta troppo debole sul piano politico-organizzativo, si è aggiunta quella rampante e acchiappa-tutto di Berlusconi, che possiamo chiamare Berlusclonia (il paese dei berluscloni, i cloni di Berlusconi).

Il mondo-fiction, tipo “Reality”, del signore di Arcore, che il 24 ottobre 2012 ha dichiarato ufficialmente di non ricandidarsi per le elezioni politiche dell’aprile 2013 (dichiarazione smentita da lui stesso all’inizio della campagna elettorale, di cui è diventato uno dei protagonisti), sembra che sia destinata sempre di più a spappolarsi sotto l’enorme peso di scandali, corruzioni e ruberie di Stato, di cui la caduta della Giunta lombarda del Celeste Formigoni e il Laziogate ne sono state le ultime manifestazioni. «Meglio il carcere che il Pdl»: le parole dell’ex capogruppo consiliare del Pdl alla Regione Lazio Franco Fiorito detto “er Batman” (il “nipote di Bud Spencer”, come Ruby lo era di Mubarak, secondo uno spiritoso slogan che ha circolato sul web all’epoca del suo arresto, nell’ottobre 2012), ne sono l’epitaffio. Al suo fianco, si è fatta avanti un’altra Italia: sotto l’aspetto che qui ci riguarda, è l’Italia tecno-bancocratica di Monti, Passera, Fornero, emanazione più o meno diretta dei poteri forti interni e internazionali, altrettanta collusa col Vaticano di quella berlusconiana.

Avvinghiate in una lotta impari, l’Italia laica ha purtroppo sempre subìto i colpi, l’assedio, l’attacco concertato delle altre due, talvolta divise su altri fronti ma costantemente alleate su quello antilaico. E li ha pesantemente subìti anche col governo di Mario Monti, prosecuzione “tecnica” dell’antilaicismo democristiano e berlusconiano (non a caso è stato coniato, sempre in rete, il termine di “Berlusmonti”, che fa il paio con l’altro di “Caimario”). Ieri come oggi, tuttavia, non è facile distinguerle, le tre Italie (il governo Letta di “larghe intese”, benedetto dalla Cei, e nato dalla confluenza di Pdl, Lista civica di Monti e Pd, né è l’estrema dimostrazione). E ciò dipende anche dalla difficoltà, tutta italiana, di dare un significato preciso ai termini di laicità e laicismo, data la babele linguistica e concettuale che si è voluto e si vuole artificiosamente creare su questo tema.
Vediamo tre casi tipici degli ultimi anni.

Il primo, poco noto, è quello di Maria Grazia Pavin, accaduto a Sassari, alla fine del 2008. Gravemente ustionata per un incidente sull’80% del corpo, tra l’amputazione di una mano e di un piede e la morte, Maria Grazia sceglie la morte. Chi decise di rispettare la sua scelta, genitori medici e magistrati, ha espresso l’Italia laica, ossequiosa della Costituzione, art. 32, c. 2: «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». In nessun caso, dunque: perché violare la libertà di scelta del malato significa violare la dignità umana. Forse perché i grandi media avevano ignorato il caso, il governo Berlusconi tacque. Ma non la Chiesa gerarchica. «Una cosa orrenda!», disse l’arcivescovo di Sassari, monsignor Atzei, scambiando per laicità la dogmatica del bio-eticismo vaticano. Se avesse potuto, avrebbe imposto a Maria Grazia l’intervento chirurgico. Violando, oltre che la libertà di decisione della paziente, anche la Costituzione.

Il secondo, più duraturo e drammatico, sì da diventare il simbolo della lotta in Italia tra laicità e clericalismo, è stato il caso di Eluana Englaro. Questa volta il governo di Berlusclonia non tace. Anzi! D’accordo con le gerarchie cattoliche, si oppone ai pronunciamenti delle più alti corti di giustizia, Corte di Appello di Milano, Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, che avevano dato via libera al distacco delle macchine di idro-alimentazione dal povero e martoriato corpo della giovane da 17 anni in coma permanente e irreversibile. No, Eluana non doveva, non poteva morire in pace. Anche qui, chi difendeva le ragioni di Eluana, della sua famiglia, dei magistrati che avevano applicato la Costituzione, esprimeva l’Italia laica, assediata e scossa dagli attacchi concentrici delle altre due. Il ministro Sacconi, col plauso del giornale dei vescovi “l’Avvenire” e l’osanna degli integralisti cattolici, sfidando la magistratura, aveva persino diffidato le Regioni e il Servizio sanitario nazionale ad accogliere Eluana per l’estremo congedo: era giusto chiedersi se Sacconi fosse in quell’occasione il ministro della Repubblica italiana, oppure dello Stato estero vaticano.

La terza vicenda, concentrata sul cosiddetto “caso Sallusti”, ora direttore del “Giornale”, riguarda fatti accaduti alla fine del 2007. Una tredicenne torinese, incinta di alcuni mesi, decide di abortire col consenso della madre, e col permesso del giudice Cocilovo, che si limita ad applicare la legge 194/78. Il quotidiano “Libero”, allora diretto da Sallusti, pubblica in prima pagina due articoli violentemente antiabortisti, di cui uno firmato con lo pseudonimo Dreyfus (vi si celava Renato Farina), con la «notizia», falsa, di un presunto ordine di «aborto coattivo» da parte del giudice alla minorenne. Delirante il commento dell’articolista: se ci fosse la pena di morte per chi ha causato l’aborto (giudice, ginecologo, genitori della ragazza), questo sarebbe il caso di applicarla. Il giudice querela il giornale per diffamazione. Sallusti, che rifiuta ostinatamente di rettificare la falsa notizia, nell’ottobre 2012 è condannato, anche in terzo grado, a 14 mesi di reclusione. Quale la ragione di tanta pervicacia? Tentare di ricostituire, nel 2012, alla vigilia delle nuove elezioni politiche, un fronte politico clerical-bioeticistico di destra simile a quello del 2007-2008, fortemente propiziato dal Family Day antiprodiano del cardinal Ruini. Ma questa volta il favore del Vaticano va alla coalizione centrista Monti-Fini-Casini. A scorno di Berlusconia (che tarda a morire). E sempre a danno dei diritti civili e dell’autonomia dello Stato dalla Chiesa.

Ecco, a trovarsi sotto assedio, era ed è, ora e sempre, l’Italia della Costituzione, laica e repubblicana. Quell’Italia che, pur restando fragile e debole, ha tuttavia resistito, da oltre sessant’anni, non solo agli attacchi ripetuti e concentrici di stragismo e brigatismo, trame nere golpiste, servizi segreti deviati, logge segrete P2, P3, P4, ma anche alle aperte e occulte strategie interventiste del Vaticano, che non ha mai smesso di ingerirsi pesantemente nella sfera pubblica italiana. L’Italia delle istituzioni democratiche e della società civile che, in vari modi e con vari mezzi (dai referendum su divorzio e aborto all’approvazione del nuovo diritto di famiglia, dalla lotta contro Tangentopoli alla scoperta e alla denuncia delle vecchie e nuove scandalose caste partitocratiche corrotte, autoreferenziali, il cui strapotere si è spesso intrecciato con gli interessi delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane), ha tentato faticosamente di difendere e ampliare le libertà e i diritti civili costituzionali.
Libertà e diritti misconosciuti da Dc e regime berlusconiano. E che il governo Monti, sotto il pretesto della crisi economica, ha continuato a porre sotto assedio.

2. L’Italia berlusconiana, Berlusclonia: ma che cos’era? Uno strano, irreale paese, dove dirigenti, militanti e spesso anche elettori (almeno nel loro nucleo puro e duro) sembravano tutti, come la famosa pecora Dolly, copie clonate del Padre/Padrone. Bastava vederli e sentirli i suoi cloni, in tv e nei tiggì quotidiani. Eccoli lì, tutti uguali, allineati come soldatini di piombo, apostoli omologati dell’“Unto del Signore”, giacca e cravatta di marca (vera o simulata), impettiti, petulanti e arroganti, pronti a rimbeccare e interrompere ogni voce critica di dissidenti e oppositori.

Eccoli, simil-manichini astrali, sgomitarsi per difendere e diffondere, veri uomini-megafoni, il Verbo arcoriano. All’occorrenza pronti, anche i migliori, i più dotati di competenze, conoscenze e buone capacità argomentative, tutti, in riga, o in fila, a difendere le ragioni di Colui-Che-Aveva-Sempre-Ragione. A bollare di «comunisti» i partiti dell’opposizione. A delegittimare i governi di centrosinistra, nonostante regolarmente eletti dalla maggioranza degli italiani. Ad attaccare la libertà di stampa e informazione. A invocare il divieto di pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Il proprietario di televisioni, giornali, case editrici e agenzie pubblicitarie, controllore anche di due delle tre reti televisive pubbliche, capo di un’esorbitante maggioranza di governo, che cos’era, poveretto, per i suoi clonati? Un perseguitato politico, oggetto di una campagna diffamatoria da parte di presunti mass-media in possesso dell’opposizione. Si era alla favola esopica del lupo e dell’agnello.

Nello strano paese di Berlusclonia il parlamento, nella sua maggioranza, era la cassa di risonanza della voce del governo (e) del Primo ministro. Si (s)governava a forza di decreti-legge, in una manciata di minuti approvati in Consiglio dei ministri e poi altrettanto rapidamente in parlamento, senza alcuna discussione di merito. Ed erano spesso leggi speciali, non per il bene comune ma ad personam. O ad criccam.

Il liberalismo democratico è l’arte della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario, ma anche, economico, mediatico, culturale, in un rapporto permanente di critica e controllo reciproco. Solo così può esistere uno Stato laico, custode del pluralismo culturale e garante dei diritti individuali. In Berlusclonia il potere, escluso quello giudiziario, era in gran parte nelle mani di uno solo.

L’uomo più ricco d’Italia era anche il capo del governo e il maggiore proprietario dei media. Col “lodo Alfano” non avrebbe più potuto essere processato. Attaccava come «delinquenziale» e «diffamatoria» la libertà di stampa, perché non sopportava nemmeno le più timide critiche. Ne fece le spese non solo Biagi, Santoro e Luttazzi, cacciati dalla tv pubblica in seguito al famoso “decreto bulgaro”, ma anche Dino Boffo, costretto a dimettersi dalla direzione di «Avvenire» in seguito alla “macchina del fango” abilmente manovrata da Vittorio Feltri, per l’occasione soprannominato Berlusfeltri.

Avrebbe voluto, il potentissimo ometto di Arcore, contro-riformare la giustizia, subordinando l’operato del Pm al controllo del (suo) governo. Non gli piaceva il dibattito parlamentare: troppo lungo e noioso. Meglio sostituirlo, diceva il nuovo Napoleone in sedicesimo, con la riunione di 4 o 5 capigruppo: più sbrigativa e, ovviamente, più facilmente manipolabile. La democrazia rappresentativa ha rischiato così di soccombere ad una nuova, inedita forma di dispotismo autocratico.

Ma la raffigurazione di Berlusclonia come un tutto compatto e monolitico, cara all’Egocrate di Arcore e ai suoi propagandisti, era irreale e illusoria. Evidenti le contraddizioni tra Berlusconi e Bossi da un lato, e Fini e i finiani dall’altro, esplose poi col famoso dito alzato di Fini («Ma che fai? Mi cacci?») e con la nascita della nuova formazione politica “Futuro e Libertà”, inizio della frana che ha finito col minare dalle fondamenta il Pdl. Per non dire dei conflitti tra Tremonti e Berlusconi, o tra Maroni e Bossi (finiti come si è visto: Tremonti separato da B. e Maroni neosegretario della Lega Nord con Bossi dimissionario, o meglio, dimissionato). Anche in Berlusclonia, nonostante la clonazione continua, giunta, ai tempi di Scilipoti, alla misteriosa (ma non troppo!) nascita di un nuovo clone, il clone-nano, – erano, e sono, dunque presenti contraddizioni pronte ad esplodere. Segno della sua fine imminente.

3. E il governo Monti, il governo dell’ABC (Alfano, Bersani, Casini)? Non è stato altro che la continuazione del governo Berlusconi con altri mezzi. Sul piano economico, ha fatto quel che mister il Cav. non aveva voluto e potuto fare. Se lo avesse fatto, forse non solo non avrebbe messo al sicuro nemmeno le sue aziende dai venti della crisi finanziaria ed economica, ma la sua immagine populista e il suo menzognero libro dei sogni (il “contratto” mai mantenuto con gli italiani; “non metterò mai le mani nelle vostre tasche”; no all’Ici; sì ad un milione di nuovi posti di lavoro; “da noi non c’è crisi perché i ristoranti sono pieni”, ed altre infinite simili ciarlatanerie) sarebbero stati definitivamente compromessi. Meglio passare la patata bollente a Monti.

Aumento della pressione fiscale (Imu e tassazione indiretta); riforma pensionistica ai danni dei più deboli (chi non ricorda le lacrime ministeriali della coccodrilla del welfare Elsa Fornero?), col blocco dell’adeguamento al carovita e lo slittamento dell’età pensionabile; sostanziale abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e introduzione del licenziamento facile (Fornero giunse a dire, per distrazione, che «il lavoro non è un diritto», dimenticando, lei, ministra della Repubblica, l’articolo 1 della Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro»); infine, una modifica costituzionale, rapida e in sordina, ma di enormi effetti per il futuro, che introduce nell’articolo 81 il vincolo del pareggio di bilancio. Tutte misure di tipo neoliberiste volte a colpire lo Stato sociale e i diritti civili. E, per giunta, con la pericolosa conseguenza della riduzione della sovranità politica nazionale sempre più supinamente esposta al ricatto delle agenzie di rating e dei centri finanziari mondiali.

Il “governo tecnico” non ha agito soltanto nel quadro libero-mercatista così caro ai poteri forti internazionali, compendiati dalla Trilateral Commission (di cui, non va dimenticato, il ruolo di Mario Monti come membro e presidente della sezione europea). Ma ha operato anche, tacitamente e sottobanco, a pro di un altro potere esterno e sovrapposto, sovraordinato al nostro: il Vaticano, che da sempre ha concepito l’Italia come il suo “cortile di casa”. Non a caso, data la dichiarata professione di fede religiosa cattolica di Monti e del nucleo più noto e potente dei suoi ministri, da Passera a Fornero a Profumo; per non citare i ministri Piero Giada, il ciellino Renato Balduzzi, e Lorenzo Ornaghi, tutti provenienti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (Ornaghi ne è stato addirittura il rettore); o il ministro Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio. D’altronde, Passera, Ornaghi e Riccardi, poco prima della loro nomina a ministri della Repubblica, avevano partecipato, come noto, al Convegno delle associazioni cattoliche a Todi (21 ottobre 2011), indetto per discutere dell’unità dei cattolici in politica, e benedetto dall’intervento del cardinal Bagnasco.

Infine, ciliegina sulla torta, all’ultimo meeting riminese di Cl (agosto 2012) erano presenti i ministri Ornaghi e Clini, e relatori Fornero e Passera. Centrale fu l’intervento di Mario Monti. Per annunciare, per l’ennesima volta, prossima l’uscita dell’Italia dalla crisi. Come se l’applaudente platea ciellina fosse l’Italia intera, un’Italia che in realtà era stata letteralmente “denudata” dalle misure governative di austerità. Il che a Rimini fu efficacemente espresso dall’originale gesto di protesta e contestazione (ignorato dai media o citato in poche anodine righe) dei tre giovani (due ragazzi e una ragazza) messisi improvvisamente e “scandalosamente” in mutande sotto il palco del premier.

Dunque, un rapporto così stretto del governo Monti col mondo cattolico e col clericalismo estremo non poteva che produrre una politica di servizievoli assist alla Chiesa gerarchica e al Vaticano. Mentre il programma “lacrime e sangue” di rigore, tagli e austerità colpiva le fasce più deboli degli italiani, il tecno-governo confermava una serie di vecchie facilitazioni anticostituzionali pro Ecclesiam, tra cui: a) l’8 per mille alla Cei: circa 4 miliardi all’anno (secondo i calcoli di Curzio Maltese); b) l’insegnamento della religione cattolica (Irc) nelle scuole statali, dove docenti pagati dallo Stato sono scelti dai vescovi e immessi in corsie preferenziali di avanzamento di carriera; c) il finanziamento pubblico delle scuole paritarie cattoliche, perlopiù in mano a Cl e alla Compagnia delle Opere, che selezionano programmi e docenti fidati, “religiosamente, cioè clericalmente corretti”; tutto ciò a cospetto di tagli con la scure alle scuole statali (nonché alla sanità); d) l’estensione dell’Imu, in ossequio all’annosa richiesta della Commissione europea, agli immobili ecclesiastici di tipo commerciale (circa 600 milioni di euro all’anno secondo i calcoli dell’Anci), ma fatta con una legge così pasticciata da meritarsi la bocciatura (nell’ottobre 2012) del Consiglio di Stato per l’imprecisione del criterio di distinzione del “commerciale” dal “non commerciale” e quindi rimasta a tutt’oggi ancora in sospeso nella sua applicazione.

Infine, eloquente il silenzio del tecno-governo sulle questioni bioetiche (coppie di fatto, matrimoni gay, fine vita, eutanasia, ecc.). Cercare di ridurre lo spread dei titoli di Stato che ci allontana ancora dalla Germania, quello sì. Ma cercare di ridurre lo spread bioetico che ci divide dall’Europa più avanzata, no, questo no.
Meglio era non parlarne.

4. E l’Italia clericale e integralista, che in ultima istanza rimane la più forte e longeva, lì da duemila anni? Il suo dominus, il pontefice romano, è oggi una figura bifacciale: da un lato monarca assoluto di uno Stato straniero, la Città del Vaticano, e, dall’altro, capo unico e infallibile (anche se solo quando parla ex cathedra in materia di fede e di costumi: ma vi sembra poco?) della Chiesa cattolica. La quale, a sua volta, è propaggine del Vaticano e, nel contempo, organismo intermedio della società civile dell’Italia repubblicana. Un intreccio che la revisione del Concordato nel 1984 firmata dal governo Craxi avrebbe dovuto, e potuto, districare. Ma non l’ha fatto. Il che ha comportato quella serie di privilegi e regalìe dello Stato alla Chiesa di cui si è parlato poco fa (8 per mille, esenzione Imu, Irc, finanziamento scuole cattoliche, ecc.). Privilegi e regalìe confermate e ampliate dai governi successivi, tecnici o politici, di centro-destra-sinistra.

L’ombra nera delle gerarchie cattoliche continua, oggi come ieri, ad oscurare la nostra società. A configurare ancora l’immagine di un’Italia catto-clericale a “sovranità limitata”, in molti tratti pre-moderna, medioevaleggiante, papocentrica, papolatrica, in cui fondamentali strutture e leve di comando sono controllate e azionate dai vertici di Cei e Vaticano in connessione con una vasta gamma di forze politiche e sociali allineate e coperte. I cui poli sono per un verso le organizzazioni para-ecclesiastiche (Opus Dei, Cl, Compagnia delle Opere, comitato pro-life, ecc.), che indirizzano i fedeli pro o contro questo o quel governo o legge parlamentare (vedi il caso del referendum del 2005 manipolato dal cardinal Ruini contro la legge 40, o l’adunata in Piazza San Pietro del Family Day contro il governo Prodi bis, o l’appoggio a Berlusconi III prima e a Monti poi). E, per altro verso, partiti, correnti, ras nazionali e locali, frazioni e gruppi politici collaterali, complementari, dominanti a destra, ma presenti ovunque, trasversali ad ogni partito e coalizione, veri e propri cavalli di Troia del Vaticano. E che hanno trovato una nuova sintesi politica nel governo Letta.
Una sorta di «Superpartito di Dio» di centro-destra-sinistra. Sul modello divino, anch’esso uno e trino.

Dunque quella vaticana, vaticanizzata, è un’Italia bifronte, eterogenea, a scatole cinesi, spesso occulta, sotto traccia (qui nemmeno accenno, per carità di dio, alla questione dei «finanzieri e banchieri di Dio», come Calvi, Sindona e Marcinkus, o alle oscure motivazioni dell’improvviso dimissionamento di Gotti Tedeschi dallo Ior, o al Vatileaks). Esterna/interna ad ogni governo e coalizione governativa. Con Berlusclonia appariva legata a doppie mani da un’evidente logica di scambio, di do ut des: io do a te le leggi sulla bio-etica di Dio, tu dài a me i voti e il consenso cattolico. Un dare e avere che poteva anche degenerare in un assestare o subire colpi bassi, se e quando l’uno accennasse a minare la credibilità mediatica ed elettorale dell’altro, come provò il killeraggio berlusconiano di Dino Boffo, di cui fu in qualche modo vittima anche la Cei.
Un do ut des che poi, col governo Monti, si è trasformato in una sorta di informale e tacitogentlemen’s agreement. Gli stili cambiano, la sostanza resta.

5 «Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà» (Gramsci). L’analisi impietosa della realtà italiana, che vede la laicità ancora e sempre sotto assedio, deve accompagnarsi alla fiducia nella possibile riscossa. Innanzitutto, infatti, l’offensiva neoclericale degli strateghi del Vaticano non trova un ampio consenso di massa. Né in Italia né tantomeno in Europa. E poi, nonostante il rigurgito dei fondamentalismi, anche la religiosità vacilla. Le chiese continuano a restare vuote, o semivuote (a parte qualche sparuto gruppo di anziani frequentatori di messe spesso mossi dalla paura della morte, dell’ignoto, dell’aldilà). Perfino le folle di credenti, turisti e curiosi, che si radunano nella Roma domenicale a Piazza S. Pietro, sono sempre meno numerose.

L’episodio inaudito della rinuncia di Benedetto XVI al soglio pontificio, dalle ore 20 del 28 febbraio 2013 divenuto ex-papa, ha infine aperto nella Chiesa cattolica una falla che potrebbe mettere seriamente a repentaglio la sua bimillenaria sacralità istituzionale. Se i vicari di Cristo sono due, l’alternativa è o che nessuno dei due in effetti lo è, e allora la carica papale è simile a quella, come è stato detto, di un funzionario. Oppure, se lo sono ambedue due, lo possono essere in molti. Ad libitum.

Resta comunque che il Vaticano attacca lo Stato laico perché ideologicamente perde terreno. Fa la voce grossa perché è culturalmente debole. E le voci e manifestazioni di dissenso della chiesa di base (Comitati di base, “Noi siamo Chiesa”, preti disubbidienti e teologi eretici, fuori dal coro) si infittiscono e moltiplicano. Nemmeno la simpatia populista del nuovo papa Bergoglio sembra segnare finora un’inversione di tendenza.

Nonostante tutto, il processo di laicizzazione delle idee e degli stili di vita, supportato dalle conquiste senza soste della scienza e della tecnica, non si ferma. Sono in aumento le coppie di fatto, i matrimoni civili, i divorzi. Anche fra i cattolici. I giovani, nella loro stragrande maggioranza, ignorano il Catechismo. La cui etica assolutistica, con i suoi dogmi intoccabili, gli è sempre più estranea. Persino tanti giovani di Cl, in disobbedienza al precetto della castità prematrimoniale, mostrano di non disprezzare i vantaggi di una libera e sperimentale convivenza more uxorio.

Sul terreno politico-istituzionale, tuttavia, in Italia la laicità resta troppo fragile. Da un lato indifesa dalle forze di sinistra, in particolare il Pd, che, condizionato al suo interno dalla componente “popolare” e da quella ciellina in ascesa, si muove con indecisione e opportunismo, tra un compromesso e l’altro: disperso e frammentato, una sorta di novello “esercito di Franceschiello”. Come accadde simbolicamente in occasione del Family Day ruiniano, nel maggio 2007: tutti in “libera uscita”, chi a casa davanti alla tv, chi in vacanza con parenti ed amici, e chi in piazza col catto-fondamentalista spagnolo Kiko Argüello. Come han dimostrato anche le primarie del 2012, in cui i programmi dei due contendenti, il segretario Bersani e il rottamatore ciellino Matteo Renzi, era concordi nell’eludere la questione della laicità dello Stato. E come dimostra infine la completa assenza dei temi bioetici dal programma del governo Letta.

Dall’altro lato, la laicità è stata vilipesa o ignorata dalle varie e variamente colpevoli maggioranze parlamentari. Esempio lampante, quello delle scuole statali: nella tempesta della crisi, decurtate di fondi. Al contrario delle scuole cattoliche. Nel settembre 2009, all’inizio del nuovo anno scolastico, in forza della controriforma Gelmini, nelle scuole statali persero il posto circa 40 mila docenti precari. Ad esclusione però di quelli di religione, di nomina vescovile. L’Irc è anticostituzionale, ma è come i fili d’alta tensione: vietato toccare, pericolo di morte (politica). Allorché il ministro “tecnico” Profumo si lasciò, non si sa come, dal sen sfuggire, nell’ottobre 2012, l’idea che nella scuola pubblica si dovrebbe insegnare non “religione cattolica”, ma “storia delle religioni” (nello spirito del Concordato del 1984), dinnanzi alle decise e rabbiose reazioni delle gerarchie cattoliche e dei loro supporters, dovette fare immediato dietrofront.

Gli esempi del connubio, del vecchio e nuovo regime concordatario in atto tra Vaticano e governi italiani dell’ultimo ventennio, potrebbero facilmente moltiplicarsi (gli articoli qui raccolti ne sono una piccola testimonianza relativa all’ultimo governo Berlusconi e a quello successivo, clerical-tecnico-bancario, di Mario Monti).

A riprova che la difesa dell’Italia laica e repubblicana rimane oggi un compito urgente e inderogabile. Culturalmente e politicamente.

(1 luglio 2013)

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