In tempi di crisi, le fattorie biologiche sociali si dimostrano vincenti offrendo lavoro a persone svantaggiate ma anche a chiunque volesse fare il contadino per qualche mese, imparando un altro mestiere e rigenerandosi a contatto con la natura
La vecchia fattoria resa celebre dall'omonima canzoncina parrebbe il simbolo di un ideale agreste ormai superato.
Non è così: in tempi di mancanza di lavoro e con l'agricoltura di qualità alla base del successo di molti prodotti made in Italy, le fattorie tornano ad essere luoghi vitali capaci di coniugare produzione alimentare e solidarietà, metodi di coltura rispettosi dell'ambiente e turismo.
Le possibilità sono diverse: offrire aiuto alle persone disagiate è la missione delle fattorie biologiche sociali che sono in forte crescita in Emilia Romagna ma un po' in tutta Italia. Secondo una recente indagine dell'Aiab (Associazione italiana per l'agricoltura biologica), nel triennio 2007-2010 l'incidenza nel settore agricolo, privato e cooperativo, delle realtà che praticano l'agricoltura sociale è passata dal 24,3% a circa il 33% del totale. Etica, ambiente e solidarietà sono gli ingredienti di una formula che sempre più produttori biologici stanno sposando e sviluppando.

Ma le fattorie sociali sono anche un modo per promuovere la legalità. Dalle fattorie gestite daLibera Terra, per esempio, sorte su terreni confiscati alle mafie, provengono diversi prodotti che si possono ormai trovare su tutti gli scaffali delle principali catene della grande distribuzione. Si va dai pacchi di pasta di grano duro prodotto sulle ex-proprietà di Brusca e Riina all'olio extravergine proveniente dai terreni sequestrati in Calabria ai Mammoliti e Piromalli, dal vino Centopassi prodotto nel corleonese ai pomodorini secchi, le friselline e i tarallini prodotti sugli ex terreni della Sacra Corona Unita.
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