Il Pubblico Ministero e il Giudice in Italia
Il rischio della giustizia politica. Imparzialità. Sistemi anglosassoni e americani, europei e italiani. Eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Principio di legalità.
di Ferdinando Imposimato
La maggioranza di centro destra rilancia il progetto di mettere il Pubblico Ministero al servizio del potere esecutivo. Non solo. Il sogno del premier Berlusconi e di Fabrizio Cicchitto, entrambi ex appartenenti alla loggia massonica di Licio Gelli, è di mettere anche il giudice al servizio del Governo. Ma questo progetto va contro la Costituzione repubblicana.
La nostra Costituzione all'art.104 stabilisce che la magistratura – che comprende giudici e pubblici ministeri- costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
Si potrebbe essere indotti a chiedersi quali siano state le ragioni che inducano il legislatore a fissare con legge il principio della imparzialità del giudice, che dovrebbe essere insito nella stessa funzione del giudicare. Questa esigenza nasce dalla drammatica esperienza della giustizia politica- tipica dei regimi fascisti e comunisti-, che è negazione del concetto stesso di giustizia. Da ciò deriva come tra tutte le virtù di cui il giudice deve essere dotato -l’imparzialità, la saggezza, l’onestà, l’equilibrio- , la prima sia la più importante. Basti pensare alle conseguenze devastanti che possono derivare dalla giustizia di parte. La violazione del principio di imparzialità, oltre a ledere il diritto di tutti i cittadini alla tutela dei propri beni – la proprietà, la sicurezza, la vita, la reputazione, l’onore, l’ambiente- si traduce nella violazione delle regole della democrazia.
L’imparzialità è dunque la prima garanzia dei cittadini, contro il rischio della giustizia politica. Il problema è eterno. In tutte le epoche chi governa cerca di assoggettare i giudici al proprio potere per garantirne il rafforzamento e la conservazione. I precedenti da citare sarebbero moltissimi. Valga per tutti il ricordo della vicenda drammatica di Papiniano e Ulpiano, che erano i vertici della giurisdizione – qualcosa di simile alla Corte di Cassazione - al tempo dell’Imperatore Caracalla. Chiamati dall’Imperatore a difenderlo dinanzi al Senato per l’omicidio del fratello Geta, si rifiutarono entrambi di scendere nell’agone politico, prescindendo dal condividere la liceità morale del comportamento dell’Imperatore. Essi preferirono essere decapitati piuttosto che rinunziare alla loro terzietà e indipendenza rispetto all’imperatore ed al Senato che erano espressione del potere esecutivo e legislativo. E se è vero, dunque, che il giudice è un uomo come gli altri, è vero anche che a differenza degli altri deve sapere reprimere le sue passioni e tenere lontane le tentazioni di mettersi al servizio del potere, pena l’impossibilità di svolgere degnamente la sua funzione.
Si discute anche della imparzialità del PM. Peraltro spetta al PM, che è anche organo promotore di giustizia, la ricerca ed acquisizione non solo delle prove a carico ma anche degli elementi a favore dell'imputato. L'art.358 cpp stabilisce che “il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. In detta fase il PM non è parte, non essendo ancora insorto alcun conflitto tra l'ordinamento ed un determinato soggetto privato, bensì l'unico organo preposto, nell'interesse generale, alla raccolta ed al vaglio dei dati positivi e negativi afferenti a fatti di possibile rilevanza penale.
Dopo l'esame dei poteri e doveri del pubblico ministero, appare evidente che egli ha un compito di ricerca imparziale della verità. Ed è questo compito di ricerca imparziale della verità che differenzia nettamente il p.m. italiano dal prosecutor dei sistemi anglosassoni; in questi sistemi anglosassoni il p.m. deve sostenere sempre e solo la tesi accusatoria, anche quando si trova di fronte ad una persona innocente. E questaregola abominevole è dovuta a varie ragioni: anzitutto al fatto che i meriti professionali del prosecutor e la sua conferma alla scadenza del mandato – essi infatti sono eletti dal popolo ogni quattro anni- sono legati unicamente al numero delle condanne, indipendentemente dalla innocenza o colpevolezza degli accusati.
Perfino i governatori dei vari stati americani costruiscono la loro sinistra fortuna politica sul numero delle condanne a morte eseguite sotto il loro governo. Così è avvenuto che il governatore della Virginia Jim Gilmore, avendo ottenuto una serie di funeste ed ingiuste condanne a morte, anche di innocenti, sia stato scelto dall'ex Presidente George Bush come suo consulente alla Casa Bianca. Negli Usa il povero accusato, spesso un personaggio fragile psichicamente ed economicamente, è dunque schiacciato in una morsa mortale tra il p.m. ed il Governatore. Con una pubblica opinione giustizialista e assetata di sangue. Questo abominio è aggravato dal fatto che spesso il p.m. si trova di fronte a persone prive di fatto di qualunque difesa: neri, latino americani, africani, asiatici, italiani privi di ogni risorsa. Il risultato di molte cause è segnato, quasi inevitabile: la condanna degli accusati a pene severissime, spesso alla pena di morte. E quando l'errore viene scoperto, è troppo tardi per correggerlo, e nessuno paga. La revisione non produce alcuna conseguenza contro i responsabili dell'accusa e delle Corte fallaci, e tanto meno dei governatori. Il caso del martire Rocco Derek Barnabei, condannato a morte senza una prova credibile e contro ogni logica (avrebbe violentato la propria fidanzata con cui da tempo aveva normali rapporti sessuali), è emblematico delle storture della giustizia americana.
In Europa il rischio di una subordinazione del Giudice e del PM al potere politico non è solo del sistema italiano. In Francia si cerca di abrogare il Giudice Istruttore, che è attualmente il referente naturale del PM. E questo per creare un sistema in cui il PM che non sia sottoposto al controllo di un magistrato indipendente, come è oggi il Giudice istruttore in Francia, ma solo del Ministro della Giustizia. Che in Francia è tal Mitterand che in un libro confessa, senza vergognarsi, di andare nei paesi del sud est asiatico a fare sesso, stando a quanto riferisce il Corsera del 10 ottobre 2009. E noi sappiamo che le vittime di questo commercio sono bambini. Egli peraltro sostiene di avere fatto sesso solo con adulti; se avesse fatto sesso commettendo violenza carnale, poiché il consenso di minori al di sotto dei 14 anni non ha valore. Mentre per quelli di età superiore ai 14 anni e inferiore ai 18 anni, bisogna decidere caso per caso. In Italia, il Ministro Mitterand dovrebbe essere perseguito per turismo sessuale in danno di minori, punito gravemente. Ma in Francia forse non esiste una legge come quella vigente in Italia (art 600 quinquies cp).
Nell'ordinamento italiano, a differenza che negli USA, il pubblico ministero viene scelto mediante unconcorso pubblico, previsto dalla Costituzione (art.106). Questo significa che egli non è di nomina politica, come è nei sistemi anglosassoni. In secondo luogo la progressione in carriera non è legata alla quantità di condanne ma al numero dei procedimenti risolti in qualunque modo, ed alla sua abilitànello svolgere le indagini preliminari. Evitando errori giudiziari.
Noi deploriamo gli orrori della giustizia americana in cui il Prosecutor è alle dipendenze del Ministro della Giustizia e un innocente come Chico Forti è stato condannato all'ergastolo per un omicidio che non ha commesso e per il quale non aveva alcun interesse sulla base del nulla: non ci sono né prove né indizi né sospetti. Ci sono solo dei comportamenti scorretti da parte degli investigatori e dei giudici che hanno totalmente disapplicato le regole del giusto processo.
Legato al problema della imparzialità è quello della invocata “funzione politica” del pubblico ministero. Parliamo della funzione che l'ufficio del pubblico ministero può e deve svolgere nella vita pubblica e quindi nel senso più elevato del termine.
A questo riguardo è sempre utile risalire – malgrado l'evoluzione che ha assunto rispetto al significato originario- al principio della separazione dei poteri, enunciato due secoli fa da Montesquieu; il quale ammoniva che “non vi è libertà quando il potere giudiziario non è separato da quello legislativo e da quello esecutivo”, perché diversamente “il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore”. Forse sarebbe meglio dire che il giudice ed il pubblico ministero possono essere strumenti nelle mani deglioppressori che governano. Questo vale non solo se la confusione dei poteri sia la legge scritta, il che accade di rado, ma anche quando si verifica di fatto, come lo straripamento di un potere sull'altro. Come fa spesso il Premier ai nostri giorni, pensando di essere legibus salutus.
Come è necessario guardarsi dal pericolo che il potere politico voglia controllare il pubblico ministero, così occorre evitare anche che il potere giudiziario si arroghi finalità politiche che non sono di sua competenza. Indubbiamente l'esercizio del potere giudiziario, come di ogni altro potere, non può mai essere del tutto esente da una certa connotazione politica, specie quando investe organi della pubblica amministrazione o del parlamento, purché intesa a garantire il principio che la legge è uguale per tutti.
Per evitare il superamento del limite oltre il quale la purezza o la nobiltà del fine rischi di trasformarsi in strumento, magari inconsapevole, di finalità estranee alla applicazione imparziale della legge, occorre riandare all'insegnamento del grande Francesco Carrara. Che così scrisse: “Giustizia e politica non nacquero sorelle. Quando la politica entra dalla porta del tempio, la Giustizia se ne fugge impaurita per tornarsene al cielo”.1
Spetta però soprattutto ai giudici di esercitare un vigile controllo sull'operato dei p.m. e trovare ungiusto equilibrio per evitare che il perseguimento di queste finalità investigative si risolva in una lesione dei diritti individuali. Ma la cosa peggiore che si possa fare è di sottoporre il PM al servizio del potere politico, cosa vietata dalla Carta fondamentale.
L'altro punto fondamentale della giustizia è l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, a prescindere dalla posizione sociale e dalla funzione. Se al titolare del potere di governo è lecito fare ciò che vuole, compresi i delitti più gravi, come la corruzione e la associazione mafiosa, tutti gli altri cittadini si sentiranno liberi di fare altrettanto. Ed i mafiosi avranno diritto di ritenere che loro sono discriminati rispetto al Presidente del Consiglio. E i giudici non se la sentiranno di condannare i cittadini corrotti e non il Presidente del Consiglio corruttore. E sarà vanificato il principio di legalità che deve obbligare tutti i cittadini, indistintamente. E questo privilegio in Italia si cerca di attuarlo a favore del Presidente del Consiglio per gravi delitti commessi fuori dall'esercizio delle funzioni.
Ferdinando Imposimato
1 F Carrara: Programma, parte speciale, vol.VII
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