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PENSATOIO DI IDEE

lunedì 17 giugno 2013

CAMBIA IL VOLTO DELL'IRAN?

Limes Oggi

Rohani presidente, l’Iran stupisce ancora


di Nicola Pedde
L'elezione del candidato moderato-riformista rovescia i pronostici e dimostra che Teheran vuole voltare pagina. Khamenei ha permesso un voto libero, ma attenzione: il nuovo presidente è un militante della prima ora, non un nemico della Repubblica Islamica.


[Carta di Laura Canali]
Le undicesime elezioni presidenziali iraniane, vinte da Hassan Rowhani, hanno destato ancora una volta stupore. Non solo all’estero.

La prima e più importante considerazione che può essere formulata a commento dello strabiliante risultato di venerdì 14 giugno, in barba alla tradizionale e stereotipata visione dell’Iran come “la repubblica degli Ayatollah”, è che la Guida Ali Khamenei ha garantito un voto libero e spontaneo.

Per tutti quelli che, da mesi, profetizzavano l’elezione pilotata di un fedele delfino delrahbar alla presidenza, unitamente a un'epocale astensione degli iraniani, deve essere stato difficile accettare l’evidenza dell’elezione al primo turno di un candidato essenzialmente riformista, grazie alla massiccia partecipazione al voto di oltre il 70% degli elettori.

Un trionfo e una manifestazione di sostegno politico
 paragonabile a quello che portò nel 1997 Khatami alla presidenza e successivamente ad un secondo mandato.

Il dato diramato domenica dal ministero dell’Interno
 offre una chiara panoramica sull’esito delle elezioni, confermando la vittoria di Hassan Rowhani con 18.613.329 voti, pari al 50,71% delle preferenze espresse dagli elettori.

Mohammad Baqer Qalibaf, grande favorito della vigilia,
 segue nella graduatoria a grande distanza con 6.077.292 voti, pari al 16.56% del totale. A sua volta seguito da Saeed Jalili con 4.168.946 (11,36%), Mohsen Rezaie con 3.884.412 (10,58%), Ali Akbar Velayati con 2.268.753 (6,18%), Mohammad Gharazi con 446.015 (1,22%). I candidati Haddad Adel e Aref si erano ritirati, portando a sei il numero finale dei candidati.

Hanno quindi votato in totale 36.704.156 iraniani,
 su 50.483.192 aventi diritto, facendo registrare un’affluenza pari al 72,70%, con un numero molto basso di schede bianche o nulle, pari a 1.245.409 (3,39% dei voti).

Chi è Hassan Rowhani?
Nato a Sorkheh, nella provincia del Semnan, il 12 novembre 1948 in una famiglia tradizionale di bazaari con spiccata ostilità alla corona, l’hojjatoleslam Rowhani nasce con il nome familiare di Hassan Feridoon.

Dopo aver frequentato il seminario della città di Semnan,
 prosegue gli studi nel 1961 a Qom, dove è allievo di insigni eruditi, che gli permettono di accedere a una formazione superiore all’università di Tehran, nel 1969. A Qom, Rohani entra in contatto con Khomeini, del quale diviene in breve tempo un acceso sostenitore, prodigandosi in una serie di attività pubbliche in suo favore che gli valgono in più occasioni l’arresto.

Ottenuta la laurea in legge nel 1972,
 Rowhani continua nel suo impegno religioso e politico, dividendosi tra Qom e la capitale, attirando tuttavia sempre più l’attenzione della famigerata Savak (la polizia segreta della dinastia Pahlavi). Nel 1977 è quindi costretto a lasciare il paese, raggiungendo l’anno successivo Khomeini nella sua ultima tappa dell’esilio, nei pressi di Parigi.

Rientra in Iran con Khomeini alla vittoria della rivoluzione,
 contribuendo dall'inizio alla costruzione della Repubblica Islamica e soprattutto alla riorganizzazione delle Forze armate. È eletto in parlamento nel 1980, vincendo il seggio nella sua provincia natìa del Semnan, e poi riconfermato per ulteriori quattro mandati, sebbene spostando il suo collegio a Tehran.

Nei vent’anni in cui è stato parlamentare ha molti incarichi, sia nelle commissioni sia all’esterno del Majilis. Ricopre incarichi di comando politico di rilevante entità durante la guerra Iran-Iraq, venendo insignito prima dell’onorificenza Nasr, e poi di quella Fath al termine del conflitto. È tra i più attivi e brillanti esponenti del clero nella gestione di tutte le difficili fasi della guerra contro l’Iraq, costruendo negli 8 anni di conflitto una solida rete di relazioni all’interno dei vertici militari sia dell’Artesh sia dei Pasdaran e conquistandosi la fiducia e la stima della gran parte dei comandanti militari sul terreno. Nel 1999 è eletto al Consiglio del Discernimento, mantenendo al contempo la sua carica al vertice del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale (Cssn), che dirigeva dal 1989 e che ha mantenuto per ben 16 anni.

Come vertice del Cssn ricopre anche la carica di capo negoziatore
 per il dialogo con l’allora Eu-3, dal 2003 al 2005.

Hassan Rowhani ha sempre svolto il ruolo di esperto di questioni militari e sicurezza,grazie alla sua considerevole esperienza conseguita negli anni del conflitto con l’Iraq. È stato consigliere strategico sia del presidente Rafsanjani sia di Khatami, gestendo la transizione post-bellica del paese e la successiva fase di smobilitazione e trasformazione.

È stato dal 1992 il direttore del Center for Strategic Research, uno tra i più rinomatithink-tank iraniani, dando asilo soprattutto nei primi mesi della repressione post-riformista a un gran numero di accademici ed intellettuali osteggiati dal governo Ahmadi-Nejad.

Non ha preso parte alla vita politica degli ultimi anni,
 non essendo più deputato sin dall’anno 2000, conducendo la propria attività accademica e scientifica nell’ambito del Csr, dove ha tuttavia fortemente favorito la sopravvivenza di una comunità accademica ed intellettuale altrimenti destinata all’oblio o all’esilio.

Ha deciso di scendere in campo per concorrere alle presidenziali ai primi di maggio,nello stupore di gran parte dei conservatori ma anche dei molti riformisti che sino all’ultimo avevano creduto e sperato nella candidatura dell’ex presidente Khatami. In realtà, sin da gennaio del 2013 Rowhani aveva iniziato a chiamare a raccolta i suoi più stretti collaboratori con il chiaro obiettivo di prendere parte alle elezioni, sebbene la caotica organizzazione del gruppo riformista avesse impedito di definire una campagna politica lineare.

Cosa aspettarsi da Rowhani?
Una premessa si impone, prima di formulare qualsiasi considerazione sugli scenari della prossima presidenza iraniana. È necessario sgomberare il campo da un palese errore di lettura che, oggi come in passato, la comunità internazionale e gran parte della diaspora tende a commettere nel leggere la politica dei candidati moderati, riformisti e progressisti.

L’immagine di Khatami ieri, e di Rowhani oggi, come di politici ostili all’impianto della Repubblica Islamica è da rifiutarsi nel modo più netto e categorico. Questa immagine riflette purtroppo il limite della capacità interpretativa della comunità internazionale e di buona parte della diaspora iraniana, confondendo i desiderata con la realtà politica locale.

Hassan Rowhani è un militante clericale rivoluzionario della prima ora,
 un convinto assertore della bontà del messaggio e dell’azione politica dell’Ayatollah Khomeini (di cui è stato stretto e fidato collaboratore), espressione di quel grande ambito politico che ha maturato e condiviso l’esigenza di una evoluzione del sistema politico, non già di una sua eliminazione.

Rowhani è ostile alla visione retrograda o radicale del governo islamico, ma non certo alla sua esistenza. Ha militato a lungo e attivamente per costruire il paese che ora è chiamato a presiedere; non bisogna incorrere nell’errore di considerare un riformista come un nemico dell’impianto istituzionale della Repubblica Islamica.

Le priorità politiche di Rowhani saranno la stabilizzazione del paese, la ripresa economica e il reinserimento dell’Iran nel consesso internazionale.

Il nuovo presidente ha davanti a sé due importanti ed urgenti compiti, connessi tra loro e di pari rilevanza strategica. Il primo è quello di riavviare virtuosamente il dialogo con la comunità internazionale in merito allo sviluppo del programma nucleare iraniano; il secondo è la definizione di misure urgenti per il rilancio dell’economia e della politica industriale.

Rowhani dovrà anche lavorare alacremente per restituire armonia al tessuto politico nazionale,
 andando a cicatrizzare le profonde ferite provocate dal doppio mandato dell’ex presidente Ahmadi-Nejad.

Una prima analisi del voto dimostra con chiarezza
 come poco più di metà degli iraniani abbia votato per Rowhani, mentre l’altra metà ha distribuito il proprio voto in modo più o meno equivalente tra altri 5 candidati. Tra questi, i moderati hanno tuttavia ottenuto la maggioranza dei voti, dimostrando una netta propensione dell’elettorato a favore del cambiamento e della stabilità.

Questo significa chiaramente che anche i tanto temuti - quanto generici, nell’interpretazione attribuita in Occidente - Pasdaran hanno in larga misura votato e sostenuto la necessità di un processo di cambiamento radicale del paese. Come ai tempi di Khatami. Elemento di cui si dovrebbe tener conto in Europa e negli Stati Uniti, che dovrebbero avviare quel dialogo necessario a terminare l’inutile quanto stereotipata e anacronistica percezione dell’Iran.
(17/06/2013)

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